Quella che doveva essere una Turandot al teatro Carlo Felice di Genova nella primavera di due anni fa si è trasformata, causa Covid, nella, sempre pucciniana, Manon Lescaut di domenica scorsa. 

Dal mio punto di vista è stata una bella occasione per riscoprire un’opera si conosciuta ma non così approfonditamente come la sua sorella più famosa.  

Magari i miei compagni di avventura avrebbero preferito la storia di Calaf ,figlio di Timur, a quella dello sfortunato amore tra Des Grieux e la bella Manon ma, sono convinto, che alla fine nessuno di loro abbia avuto rimpianti di sorta. 

Genova, infatti, ci ha accolto con una giornata splendida sia dal punto di vista metereologico   che, altrettanto importante, culinario, preludio ideale all’ingresso al Carlo Felice. 

Bello, il Carlo Felice con la sua architettura così particolare e l’acustica così buona.  

Sembra di essere nel salotto di casa. Un salotto un po’ grande e pieno di gente ma accogliente. 

Manon Lescaut è la terza opera scritta da Puccini ed è stata eseguita per la prima volta nel 1893 a Torino. 

È la prima opera della maturità del genio toscano.  

Non così popolare come Turandot, Madama Butterfly o Tosca (la mia preferita) ma è molto interessante ed estremamente coinvolgente. 

Il “trait d’union” che  la lega alle sue più famose sorelle è la caratura dei due protagonisti principali, Renato Des Grieux, appunto e Manon. 

In tutte queste opere, infatti, c’è una grande differenza di spessore tra i protagonisti maschili e quelli femminili. Tanto sono semplici e monotematici i tenori che svelano quasi subito la peculiarità del loro carattere e la mantengono fino in fondo con una cocciutaggine che niente e nessuno riesce a scalfire, tanto complesse e sfaccettate sono le soprano, figure femminili, difficilmente etichettabili e molto più vicine alla realtà con la loro umanità piena di slanci positivi e di contraddizioni apparentemente inspiegabili. 

E non è un caso che, anche nel gruppo di amici col quale ho assistito allo spettacolo, alla fine, l’unico argomento sul quale si sono verificate divergenze di opinioni sia stata  proprio la valutazione della figura di Manon, complessa e così difficile da far rientrare in stereotipi o cliché. 

La Manon di Puccini non parte subito in quarta come, ad esempio, Turandot, ma ti prende un po’ alla volta.  

Ti porta per mano fino all’apice drammaturgico che comincia alla metà del secondo atto con lo splendido duetto d’amore tra i due protagonisti “Tu, tu, amore tu”

e prosegue per tutto il terzo con il meraviglioso intermezzo orchestrale, al quale si è ispirato anche John Williams per il tema principale della saga di Star Wars ( le note finali dell’intermezzo sono praticamente le stesse seppur con sonorità e andamento diversi),

fino ad arrivare al disperato grido di dolore del protagonista che, pur di seguire la sua Manon  condannata all’esilio, rinuncia a tutto compresa la dignità per farsi assumere come mozzo sulla stessa nave con la quale lei sta partendo per le Americhe. 

Questa parte centrale dell’opera è veramente bellissima e all’altezza dei più noti capolavori di Puccini. 

Dell’edizione del Carlo Felice che dire. Bella. 

Bravi i protagonisti principali. A me, ma è un parere personale, è piaciuto particolarmente, Riccardo Massi nel ruolo di Des Grieux.  

Molto interessante la regia di Davide Livermore che, pur non stravolgendo la storia e l’ambientazione ha inserito elementi di novità ed attualità veramente interessanti (uno su tutti l’inizio e la fine ambientati ad Ellis Island punto di arrivo di tutti i migranti che nei secoli scorsi arrivavano a New York. Unica forzatura della regia, a mio avviso, l’ambientazione un po’ equivoca della casa di Geronte all’inizio del secondo atto, che la faceva assomigliare a un bordello un po’ fuori contesto. 

Belli anche i costumi perfettamente intonati  alle scelte registiche. 

Per quanto riguarda la musica devo dire che l’orchestra è stata, per me, una piacevole sorpresa. Bel suono e bell’equilibrio con le voci merito anche della perfetta direzione di Donato Renzetti.  

L’unico aspetto un po’ negativo è il fatto che essendo, al Carlo Felice, la “Buca dell’orchestra” veramente……buca, dalla platea non si vedono mai i musicisti e nemmeno il direttore che, molto simpaticamente, all’inizio di ogni atto, per rispondere agli applausi faceva sbucare da sotto la bacchetta che ringraziava al posto suo. 

È stata una bella giornata e una bella esperienza che ha dimostrato, se ancora ce ne fosse bisogno, come la musica , per essere veramente apprezzata e gustata in ogni particolare, debba essere ascoltata dal vivo e , soprattutto, nei luoghi che sono stati costruiti apposta per ospitarla. 

Bello anche tornare a teatro dopo questi due anni così complicati. 

Che altro aggiungere….Puccini è sempre Puccini. Non tradisce mai.