Undicesima puntata
Una tromba proiettata sempre verso il futuro
Ciao a tutti e benvenuti alla seconda parte di questo racconto riguardante MIles Davis.
La volta scorsa ci siamo lasciati con un…dubbio amletico riguardante il Jazz modale che poi è quel genere di jazz che lo stesso Davis si è inventato alla fine degli anni 50, un genere “su misura” rispetto alle sue capacità e alle sue caratteristiche, con la pubblicazione di quell’album così importante e innovativo che è “ Kind Of Blue”.
La prima cosa da dire è che Miles Davis si è presentato alle sessioni di registrazione di questo album con molti spunti ma con poche parti scritte per i musicisti. Aveva delle idee di massima ma non c’era molto di definito. Questo è un altro dei fattori che caratterizzeranno molta della sua produzione musicale da li in poi. Lui spesso lascerà liberi i suoi musicisti di creare seguendo la loro inventiva.
Poteva fare questo perché si è sempre dimostrato un abilissimo “talent scout”.
Kind of Blue rappresenta, ad esempio, la definitiva consacrazione del talento del sassofonista John Coltrane destinato a diventare uno dei musicisti più importanti e influenti della musica jazz.
In questo album ci sono il bravissimo pianista Bill Evans, Il contrabbassista Paul Chambers, alla batteria c’è Jimmy Cobb e, appunto Coltrane al sassofono.
Per capire in cosa consista il jazz modale è importante fare un passo indietro al periodo precedente, quello del Bebop. Abbiamo detto che era un genere molto articolato, con una densità armonica molto evidente (due o più accordi per battuta), spesso su tempi di metronomo velocissimi, una musica per virtuosi, insomma.
Nel jazz modale tutto questo non c’è, praticamente. E tutto, in apparenza, si semplifica.
Il disco si apre con questo brano, che si intitola” So What” che è un manifesto del jazz modale.
Eccolo………
Come si nota l’atmosfera è completamente diversa rispetto ai brani Bebop.
All’inizio il contrabbasso esegue il tema principale, contrappuntato dai fiati. Alla fine del tema comincia l’assolo di Miles Davis. E’ un “solo” fatto di frasi che hanno sempre un respiro tra loro
Sono frasi melodiche, per nulla frenetiche. Questo modo di fraseggiare è possibile perché, da un punto di vista armonico, accade veramente poco nel senso che tutto il brano, di 32 misure, si basa su due accordi. E’ un brano con struttura A A B A, il che vuol dire che c’è una parte di otto battute (A), che si ripete uguale (seconda A), poi otto battute diverse (B) e, infine otto battute che ripetono le prime (ultima A).
Ogni struttura si basa su un solo accordo. Tutte le parti A sono fondate su un accordo denominato accordo di Re minore, la parte B è su un accordo dello stesso tipo spostato verso l’acuto di…un tasto del pianoforte, cioè MI bemolle minore.
Magari è più chiaro se ve lo faccio risentire e vi indico quando cambiano le varie parti….
Si capisce bene che, con una struttura armonica così aperta, le possibilità di invenzione melodica sono tantissime e quello che conta è soprattutto il modo di portare le frasi, cosa in cui Miles Davis era veramente geniale.
E, a proposito di modo, qualcuno si chiederà perché questo tipo di jazz si chiama Jazz modale.
La risposta è che, in questo genere, i musicisti lavorano, principalmente utilizzando scale che sono, appunto chiamate modali.
Queste scale derivano dai modi usati già nella musica greca. Poi, nel periodo barocco c’è stata un po’ di confusione per cui si è invertito il senso di queste scale che i greci intendevano discendente che noi, per errore, abbiamo inteso in senso ascendente.
La cosa importante da dire è che i sette modi, per come erano costruiti, avevano una loro precisa sonorità che veniva usata per sottolineare atmosfere diverse.
Alcuni modi avevano un suono che noi definiamo maggiore ed erano, ad esempio il modo Ionico, il Lidio e il Misolidio. Altri erano minori tipo appunto il Dorico che è il modo usato in questo brano
Al di là di queste spiegazioni tecniche, che possono sembrare un po’ ostiche, la cosa importante da portarsi a casa è che, con una struttura simile, diventa di primissima importanza la capacità di invenzione melodica, cioè il fatto di inventarsi delle frasi e, soprattutto , il modo di suonarle.
In questo Miles Davis si trovava perfettamente a suo agio. Aveva una grande capacità di invenzione e, nelle sue frasi, c’è, molto spesso, la componente dell’attesa e del non detto, che costringe l’ascoltatore a interpolare le cose mancanti facendo ricorso alla propria sensibilità e creatività.
Questo modo di procedere lo troviamo sia nei brani dell’album più aperti come So What , che in quelli con una struttura armonica più densa come la bellissima ballad “Blue in Green” che vi faccio ascoltare
Questo brano è eseguito con il tipico suono della tromba con sordina di Miles Davis che è, come detto, il suo marchio di fabbrica. Tutto questo disco sembra essere, come suggerito anche dalla copertina, ispirato alle mille sfumature di questo colore giocando anche sul doppio significato che la parola Blue ha in inglese.
Non c’è un virtuosismo pirotecnico, bensì un virtuosismo nella scelta delle note e nel modo di portarle, e un virtuosismo nella cura del suono che caratterizza tutti i membri del gruppo.
Come accennavo la volta scorsa Jimmy Cobb ha detto, “Miles avrebbe potuto andare avanti anni a suonare quei pezzi”, ma, nel momento in cui questo modo di suonare cominciava a diventare mainstream, ecco che lui inizia a cambiare rotta.
Prima di cambiarla definitivamente Davis ha dovuto, purtroppo o per fortuna, cambiare il quintetto causa le defezioni di alcuni musicisti, prima fra tutte quella di Coltrane, destinato a una brillante carriera solista.
Quindi formò un altro gruppo col quale passò attraverso gli anni Sessanta, sfruttando la caratteristica cui accennavo più sopra e cioè quella di scopritore di talenti. Nel suo nuovo quintetto c’erano infatti Herbie Hancock, pianista che diventerà una delle figure più importanti sulla scena musicale e un batterista Tony Williams di soli diciassette anni. Questo fatto mi dà la possibilità di ricordare che un’altra delle frasi più importanti per capire la personalità di Davis è questa:” La creatività e il genio, in ogni espressione artistica, non c’entrano nulla con l’età. O ce l’hai, oppure no.”
Evidentemente Tony Williams li aveva entrambi.
Vi faccio sentire un brano registrato dal vivo con quel quintetto alla metà degli anni 60, intitolato “My Funny Valentine” perché è molto significativo
Nell’esposizione del tema di questa ballad ci sono tanti elementi importanti.
Intanto c’è la frammentazione del tema stesso che è come un puzzle cui sembrano mancare dei pezzi. In realtà quelli mancanti li deve mettere chi ascolta. C’è una ricerca di sonorità anche aspre. Una scelta di note spesso dissonanti, a volte anche volutamente poco intonate come all’inizio quella nota presa e poi, volutamente stonata, perché anche questo fa parte del bagaglio espressivo. C’è un uso della dinamica a volte esasperato nei passaggi dal piano al forte. C’è un utilizzo del suono che a volte si fa sporco, altre volte più lirico.
Come un pittore con una tavolozza ricchissima, Miles Davis utilizza tutte le sue armi ai fini della maggiore espressività possibile.

A questo punto però Miles Davis, ormai famosissimo, anche benestante, divenuto un’icona di stile, un personaggio molto “cool” tanto che un musicista ha detto: “Noi non volevamo suonare con Miles Davis, noi volevamo essere Miles Davis”, molto attento a tutto quello che succedeva di artistico in giro per il mondo, si accorge che verso la fine degli anni 60 la scena musicale sta cambiando.
C’è un nuovo fenomeno che si affaccia alla ribalta.
Il Rock.
E si accorge che ci sono questi musicisti che lui chiama con il suo solito savoir faire “questi capelloni incapaci” che fanno concerti non come i jazzisti nei locali, o tutt’al più nei teatri, ma si esibivano nei festival davanti a decine di migliaia di persone. A quel punto lui decide che vuole fare altrettanto sostenendo il suo diritto di farlo visto che, a suo dire, era, più dei rockettari, capace di suonare.
Questo fatto lo porto a creare un’altra rivoluzione nell’ambito della musica jazz con l’avvento del cosiddetto Jazz-Rock che diventerà un suo marchio di fabbrica, uno dei tanti.
La cosa avvenne alla fine degli anni Sessanta anche per merito di Betty Davis, una cantante e artista poliedrica, molto inventiva e , purtroppo sottovalutata, che lo presentò ad alcuni gruppi che andavano per la maggiore, tipo Sly and The Family Stone e soprattutto Jimi Hendrix, col quale era nato il progetto di fare un album, progetto poi finito nel nulla causa la morte prematura di Hendrix stesso.
In definitiva Davis voleva diventare ricco e il modo più immediato per farlo era quello di traghettare il Jazz verso il Rock appunto.
Uno dei primi passi in questo senso è del 1969 con la pubblicazione di un album “In A Silent Way” che vede, nella formazione la comparsa di strumenti poco usuali nel jazz o del tutto nuovi come la chitarra elettrica, con il suono processato attraverso effetti vari, suonata da John McLaughlin o il piano elettrico. In quella formazione c’era Wayne Shorter al sax, c’era Herbie Hancock, c’era Chick Corea al piano, Joe Zawinul all’organo, Tony Williams, Dave Holland al contrabbasso. Se qualcuno di voi mastica un po’ di jazz si renderà conto che tutti questi nomi sono di primissimo piano nella musica della seconda metà del secolo scorso.

Ovviamente questa sterzata improvvisa verso il rock suscitò molte perplessità nei puristi del jazz perché, una delle tantissime differenze fra i due generi, e probabilmente quella più importante è che nel rock manca lo swing cioè quella caratteristica ritmica del jazz che permette di ottenere un ritmo morbido e fluido. In sostanza, detto in soldoni perché ne riparleremo, il rock a un ritmo binario cioè ogni battito è diviso in due
Ta ta, Ta ta, Ta ta, Ta ta
Lo swing rende il jazz ternario, cioè ogni battito e diviso, sempre in due ma la prima nota è più lunga della seconda
Ta a ta, Ta a ta, Ta a ta, Ta a ta…….
Per questo molti hanno gridato allo scandalo e si sono “stracciati le vesti” non tanto per “In a Silent Way” che è un disco di transizione e che comunque ha ottenuto consensi, quanto per il successivo, di cui vi parlerò……..
Vi basti sapere che, ancor oggi, alcuni sono restii ad accettare, ad esempio, la presenza di determinati strumenti elettrici all’interno del jazz, figuratevi cinquanta anni fa.
Altra cosa innovativa di questo disco è che , per la prima volta nella musica jazz, si è lavorato di post-produzione, cioè Teo Macero, che era il produttore, d’accordo con Davis intervenne molto pesantemente sui brani con operazioni di taglia e cuci, come si è soliti fare oggi in altri generi, operazione che, nel jazz, era assolutamente nuova. Un esempio di questo è che nel brano di apertura, i primi sei minuti, sono stati “incollati” alla fine per dare più omogeneità alla struttura del brano. Mai, nel jazz, si era fatta una cosa del genere.
Ma la vera esplosione del Jazz- Rock avviene con l’album successivo di cui parleremo la prossima volta.
Vi butto solamente lì il titolo, che è già tutto un programma: “Bitches Brew”.
Nel frattempo, ciao a tutti e.…fate i bravi.