Puntata numero 44

“Non avendo mai diretto questa musica nella mia vita , di conseguenza, non l’ho mai studiata, e ho dovuto mettermi lì per prepararla per dieci giorni e dieci notti”

“Proviamo la musica, la riascolto e riproviamo. E non mi stanco, e questo è un segno. Sembra sempre fresca. Intendiamoci, non è come Mozart che rimane fresco anche a più ascolti. Ma chi è a quel livello. Nessuno di noi lo è”.

Così si è espresso Leonard Bernstein durante le registrazioni della sua opera “West Side Story” avvenute a New York verso la metà degli anni Ottanta.

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Abbiamo già incontrato più volte Leonard Bernstein durante questi racconti perché, senza dubbio, è uno dei musicisti più importanti, influenti e carismatici del secolo scorso. Ha infatti attraversato tutto il Novecento essendo nato nel 1918 e morto nel 1990.

Direttore d’orchestra, pianista, compositore e didatta, è stato quello che si può definire un “enfant prodige”. La sua carriera in pratica è cominciata nel 1943. In quel periodo era assistente direttore alla New York Philharmonic Orchestra, un tipo di mansione nella quale i giovani aspiranti direttori devono tenersi pronti nell’eventualità, spesso assai remota, che il direttore titolare abbia un impedimento che non gli consenta di salire sul podio. Ebbene in quell’anno Bruno Walter, uno dei mostri sacri della direzione d’orchestra dell’epoca, ebbe un malore, Bernstein lo sostituì in modo strepitoso, con un grandissimo successo, e da quel momento la sua carriera decollò.

Leonard Bernstein

Personaggio estremamente eclettico è stato uno dei più importanti direttori d’orchestra del Novecento al punto da risultare, in un sondaggio fatto tra cento suoi colleghi il secondo in assoluto preceduto solo da Carlos Kleiber. In questo campo uno dei suoi principali meriti è stato quello di aver contribuito notevolmente alla riscoperta della musica e delle sinfonie di Gustav Mahler che lui, per primo, ha quasi imposto anche alle orchestre tedesche e austriache come i Berliner o i Wiener che erano sempre state molto tiepide nei confronti del compositore boemo austriaco.

Pianista eccellente e notevole compositore di musica di vario genere: sinfonie, musica sacra, musica vocale, opere, musica per spettacoli teatrali anche di Broadway come Candide, On The Town, come West Side Story, appunto. Sua è anche la colonna sonora del film “Fronte del Porto” del 1954 il cui protagonista è Marlon Brando.

Molto importante anche la sua attività, possiamo dire, didattica anche se non nel senso letterale del termine. E’ stato, infatti , un favoloso divulgatore, preparato e accattivante. In questo senso  è senza dubbio da ricordare la serie dei “Young People’s Concerts”, concerti per ragazzi delle scuole primarie americane che lui ha  tenuto alla Carnegie Hall con il supporto della New York Philharmonic Orchestra dal  1958 al 1972, in cui spiegava anche aspetti complessi della musica ai ragazzi in modo estremamente accattivante , coinvolgente e soprattutto comprensibile. Alcuni di questi concerti-lezione si possono trovare facilmente su YouTube e vi consiglio caldamente di guardarne qualcuno perché sono veramente interessanti e piacevoli da seguire per tutti.

L’idea di questa articolo mi è venuta recentemente, in modo casuale, come a volte succede, quando ho scoperto che esiste su YouTube un docu-film del quale io posseggo un DVD regalatomi anni fa da un allievo, riguardante la realizzazione della registrazione di West Side Story effettuata da Bernstein stesso, in uno studio di New York verso la metà degli anni 80.

Quello che mi ha spinto a parlarvi di questo “The Making of West Side Story” è la profonda differenza tra questo “The Making of” e tutti quelli, abbastanza finti, che siamo abituati a vedere oggi. Questa, infatti, è la documentazione reale, senza filtri o aggiustamenti, di quanto è accaduto in quei giorni in studio. E quello che è accaduto è ciò che succede quasi sempre quando si lavora in uno studio di registrazione. Momenti di ilarità, di contentezza e soddisfazione per il lavoro svolto, momenti di frustrazione, tensione, scazzi tremendi, arrabbiature, consapevolezza del proprio ruolo all’interno di un lavoro di gruppo, umiltà e, sempre, grande professionalità.

Per questo motivo la visione di questo docu-film è assolutamente da consigliare sia agli addetti ai lavori ma, soprattutto, a tutti gli amanti della musica che si troveranno di fronte alla realtà vera, non quella filtrata dei mille reality di oggi, con protagonisti che non sono sconosciuti in cerca di visibilità a tutti i costi,  ma professionisti navigati e già estremamente famosi e popolari.

Anche il solo vedere l’entusiasmo, la bravura, la serietà, la capacità di scherzare e l’estrema pignoleria di Bernstein che dirige la sua opera per la prima volta, trent’anni dopo la composizione, sono, in ogni caso, motivi ampiamenti sufficienti a giustificarne la visione.

Al solito la prima cosa è cercare di capire cos’è West Side Story.

Si tratta, infatti, di un’opera che potrebbe essere   un musical o viceversa in quanto il confine è incerto perché sono presenti elementi che appartengono ad entrambi i generi.

Bernstein l’ha composta a metà degli anni Cinquanta su un libretto di Arthur Laurents con le parole di Stephen Sondheim che si avvierà poi a una brillantissima carriera come autore di spettacoli per Broadway.

Si tratta della trasposizione moderna della storia di “Giulietta e Romeo”. Non è ambientata a Verona secoli fa, ma a New York negli anni Cinquanta, non ci sono i Capuleti e i Montecchi ma  Jets e  Sharks, non ci sono Giulitta e Romeo ma Maria e Tony, in ogni caso la storia è fondamentalmente quella.

Ha avuto immediatamente un successo notevolissimo a Broadway al punto che ne è stato subito tratto un film anche questo notevolmente apprezzato.

Come afferma lo stesso Bernstein la sua casa discografica, la famosissima “Deutche Grammophon” gli chiese di entrare in studio per registrarne una versione diretta da lui, cosa che non aveva mai fatto, come da sua ammissione, con un castdi sua scelta.

I protagonisti principali sono:

Jose Carreras, famosissimo tenore lirico, uno dei tre tenori insieme a Pavarotti e Domingo per dire, nel ruolo di Tony

Jose Carreras

Kiri Te Kanawa, soprano neozelandese dalla vocalità lirica e dolcissima nel ruolo di Maria

Kiri Te Kanawa

Tatiana Troyanos, un mezzo soprano dalla voce scura e calda nel ruolo di Anita

Tatiana Troyanos

Kurt Ollmann, un altro “enfant prodige” della lirica nel ruolo di Riff.

Kurt Ollmann

Questi nomi sono importanti per comprendere la scelta di Bernstein che ha dato all’esecuzione un impronta più lirica ed operistica, pur mantenendo momenti importanti di vicinanza con il linguaggio del jazz e dei ritmi latini e questo fatto si dimostrerà determinante in alcuni brani. Alcuni interpreti si troveranno, di volta in volta a proprio agio o estremamente a disagio durante la registrazione stessaa seconda del tipo di brano che docranno affrontare..

Uno chiaro esempio  di questo lo  fatto abbiamo quando Jose Carreras deve cantare uno dei brani più importanti  “Something’s coming”. Si tratta di una canzone molto veloce che richiede un approccio ritmico abbastanza rivolto al jazz. Il problema è che  questo è un mondo del tutto sconosciuto per un cantante lirico. Lo Stesso Carreras, intervistato, spiega la difficoltà in quanto unico cantante non madre lingua, nel dover essere il solo a interpretare e cantare in perfetto inglese in quanto tutti  gli altri cantanti rappresentano dei personaggi  di origine portoricana .

Inoltre fa notare che il brano ha tantissime parole  che devono essere pronunciate molto velocemente su un ritmo estremamente  incalzante. In questa esecuzione Carreras si trova chiaramente in difficoltà tanto è vero che spesso va fuori tempo e viene ripreso da Bernstein come accade in questo punto che si trova al minuto 15 e 30

Something’s coming

Bernstein lo chiama affettuosamente “Pepe” e gli dice

“Guarda me e non la musica. Se fai un errore possiamo ripartire perché se guardi la musica sbagli le parole”.

A questo punto accade un altro fatto molto importante. Il tecnico del suono fa notare a Carreras che sta sbagliando la pronuncia, in pratica richiamandolo davanti a tutti. Bernstein si incavola di brutto urlando

Non fare questo in questo momento, non dare lezioni di pronuncia al microfono”

rendendosi perfettamente conto che la situazione è già abbastanza tesa e Carreras è in difficoltà

Bernstein rimprovera il tecnico

Questo non deve assolutamente sminuire il valore di un cantante come Carreras, ma mette in risalto la difficoltà nell’affrontare un linguaggio con il quale non si ha sufficiente dimestichezza.

Ciò rende estremamente particolare e di difficile esecuzione quest’opera perché i vari brani richiedono di volta in volta tipi di fraseggio diversi, a volte più lirico, a volte più ritmico, a volte più jazzistico, a volte latino.

Per capire come si trova più a suo agio sul ritmo un cantante anch’esso d’opera ma di tradizione americana, pertanto, più abituato a sentire e masticare un certo tipo di musica facciamo un passo indietro al minuto 8 e 40 e ascoltiamo Kurt Ollmann che interpreta il ruolo di Riff . Quando canta “Cool” che è una delle canzoni più famose e ritmiche dell’opera si dimostra molto più a suo agio e con una concezione del ritmo e del fraseggio conseguente estremamente più solida

Kurt Ollmann canta Cool

A ulteriore dimostrazione della difficoltà di passaggio tra questi due mondi, quando la musica diventa più lirica e melodica sentite come Carreras riesce ad  aprire, se così possiamo dire, il “turbo” della sua voce diventando praticamente  inarrivabile dal punto di vista della capacità di rendere una melodia in modo espressivo. E lo fa in questa sezione di uno dei brani più importanti che è “Tonight” al minuto 22circa

Carreras cantaTonight

Del resto lo stesso Bernstein, al minuto 32, rileva le difficoltà nel possedere un certo tipo di fraseggio non tanto riferito ai cantanti quanto agli strumentisti dicendo che :

Gli archi faticano nel fraseggio jazz mentre gli ottoni si trovano a loro agio”.

È un’affermazione assolutamente da condividere perché è quasi fisiologico nel movimento del “tirare l’arco” avere delle difficoltà con lo “swing” richiesto dalla musica jazz.

Altro momento clou lo abbiamo al minuto 27 e 30.

In realtà la musica comincia prima ma la parte cantata la troviamo a questo punto.

Si tratta di “I Feel Pretty”, una canzone che racconta di  una ragazza che si prepara, davanti allo specchio, per uscire la sera, trovandosi molto bella, talmente bella da non sembrare quasi reale, il tutto in senso leggero e scherzoso. Si tratta di un valzer che Bernstein dice di aver voluto prendere con un tempo un po’ più lento rispetto a quello utilizzato  ad esempio nel film degli anni cinquanta ,  questo per  enfatizzarne maggiormante l’aspetto ballabile.

E’ un momento leggero, comico molto piacevole

I Feel Pretty

Questa canzone è stata utilizzata più volte , ad esempio, nella cinematografia.  A questo proposito, vi segnalo una scena veramente esilarante tratta dal film del 2003  con Jack Nicholson e Adam Sandler intitolato “Anger Management” o, in italiano, “Terapia d’Urto” in cui Nicholson è un terapeuta incaricato di guarire Adam Sandler dalla sua rabbia costantemente repressa. Una mattina mentre stanno andando al lavoro in auto e sono già in ritardo, Nicholson  lo blocca in mezzo al ponte di Brooklyn costringendolo a cantare appunto “I Feel Pretty” ottenendo un effetto esilarante.

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Molti altri sono i momenti significativi in questo docufilm.

Uno di quelli che a me personalmente piacciono di più riguarda l’esecuzione fatta da Carreras e Kiri Te Kanawa del duetto “One Hand, One Heart” che troviamo al minuto 54 e 35.  Praticamente l’equivalente in musica di un “passo a due” di danza, meraviglioso e con due voci incantevoli

One Hand One Heart

Bernstein in questo punto racconta come la figlia, che stava assistendo alle registrazioni, si sia commossa facendogli, per la prima volta nella sua vita, un complimento .

Altro istante tra i più significativi e divertenti lo abbiamo col brano “America”. È una canzone in cui il ritmo, tra l’altro abbastanza complesso nonostante la sua apparente semplicità, svolge un ruolo di primaria importanza. È stato oggetto di tantissime coreografie e, in questa registrazione, le cantanti si sbizzarriscono creando un’atmosfera veramente popolare e molto naif

America

Ci sono tante altre situazioni significative, sia divertenti che di estrema tensione come quella in cui Carreras si arrabbia veramente perché, dopo essere riuscito ad entrare nel giusto clima per affrontare il brano “Maria” altra hit dell’opera, le registrazioni vengono fermate e rimandate al giorno dopo in quanto il turno era finito. L’impossibilità di proseguire crea crea una frizione veramente fortissima tra i vari protagonisti.

È un documento che va guardato. Dura un’ora e ventotto minuti e l’unico handicap è la mancanza di sottotitoli. Le parole importanti sono comunque abbastanza facilmente comprensibili e, in genere, i dialoghi sono pochi. Quello che conta sono le immagini, gli sguardi, la mimica, le situazioni veramente significative e i suoni, altrettanto importanti.

E poi vedere all’opera Bernstein, come dice una pubblicità, non ha prezzo.

Lo stesso compositore chiude il film, con questa frase:

“All’inizio di questo progetto non ero così sicuro riguardo quello che sarebbe successo. Era un’idea straordinaria ma avevo paura che fosse un po’ datata. È musica degli anni Cinquanta. Quello che ho trovato dopo questa insicurezza è stata invece una sensazione di completa sicurezza. Questo linguaggio poetico dei Jets and Sharks creato da Arthur Laurents è qualcosa di veramente poetico nel senso che dura quanto i poemi durano. Sento che quest’opera, nel suo piccolo strano modo è un classico.”