La storia di un concerto che ha rischiato di saltare all’ultimo momento
Puntata numero settantaquattro
“La gente pensa che io non ami il pubblico. La verità è che ho bisogno del pubblico più di qualsiasi altro musicista che sale sul palco. Ho solo bisogno che il pubblico faccia alcune cose semplici come cercare di concentrarsi”.
Queste parole sono state pronunciate da Keith Jarrett, il protagonista di questo racconto che ha suonato in uno dei concerti più importanti della seconda metà del 900, il famoso ”The Köln Concert”, a Colonia, appunto.
Un concerto che per una serie di motivi e di accadimenti veramente strani ha rischiato di non aver mai luogo.
La storia di oggi si svolge il 24 gennaio 1975. È un venerdì sera, e piove, a Colonia, in Germania.

Nella leggendaria Opera Haus si deve tenere il quinto concerto di una rassegna intitolata:” New Jazz in Köln”. Il concerto prevede un recital per piano solo di Keith Jarrett.
Jarrett ha solo trent’anni ma ha già una carriera di tutto rispetto alle spalle. Ha suonato con Art Blakey, con Charles Lloyd e soprattutto ha suonato col grandissimo trombettista Miles Davis.
L’organizzatrice di tutta la rassegna è una ragazza di soli diciannove anni di nome Vera Brandes.

Tutto però sembra tramare perché questo concerto non si possa tenere.
Per cominciare Keith Jarret e il suo manager europeo, quel Manfred Eicher ideatore di una delle etichette discografiche più importanti per il jazz, la ECM, per un disguido con i biglietti aerei partono da Zurigo, dove Jarrett aveva tenuto un concerto la sera prima, in automobile.
Lo fanno a bordo di una scassata Renault 4, ed è un viaggio di circa 600 km. Jarret arriva a Colonia visibilmente provato ed affaticato.

Appena arrivati si recano subito in teatro. Nel contratto è previsto che lo strumento sia un Bösendorfer Imperial, adatto ad una sala così grande come appunto l’Opera Haus.
Ma il pianoforte non c’è perché la direzione l’ha dato in affitto ad un altro teatro dove si tiene un concerto. In realtà dovrebbe essercene un altro uguale in teatro ma i trasportatori non lo trovano, e non c’è nemmeno qualcuno cui chiedere informazioni.

Nella sala dove prova il coro trovano un altro Bösendorfer molto più piccolo e lo portano sul palco.
A questo punto è Vera Brandes che racconta:
“Quando entrammo in teatro non c’erano le luci perché era venerdì pomeriggio tardi. C’erano solo le luci verdi delle uscite di sicurezza. Il pianoforte era sul palco. Jarrett suonò alcune note. Anche Manfred Eicher suonò alcune note. Rimasero in silenzio. Girarono intorno al piano, provarono ancora e non dissero niente.
Dopo un po’ Manfred venne vicino a me e mi disse “Se non ti procuri un altro pianoforte Jarrett non potrà suonare stasera”. Io caddi dalle nuvole “Cosa intendi dire. Hai detto che voleva un Bösendorfer ”. Lui rispose “Non questo Bösendorfer”.
Il pianoforte, in realtà, è molto piccolo per il teatro ma, soprattutto è messo malissimo. È completamente scordato. Le ottave acute e gravi non si possono praticamente suonare e i pedali non funzionano. In pratica è un pianoforte inutilizzabile. Un disastro.
Il racconto di Vera Brandes così continua:
“Trovai un telefono e chiamai chiunque potesse avere un pianoforte per la serata. Riuscii a recuperare un Bösendorfer” in un altro teatro e convinsi il gestore a fornirmelo. Avevo organizzato il trasporto con degli amici quando l’accordatore che avevo chiamato arrivò e mi disse
” Ma tu, per caso, hai 50000 marchi sul tuo conto corrente?”
“Perché?”
“Perché se fai trasportare quel pianoforte da non professionisti sotto la pioggia non solamente Keith Jarret non avrà un pianoforte da suonare ma nessuno potrà poi suonare quel pianoforte così rovinato. E tu dovrai ripagarlo”.
A questo punto Vera è disperata ed è anche logico considerata la sua giovane età.
Mentre Keith Jarrett e Manfred Eicher salgono in macchina per andare in albergo lei corre fuori dal teatro, apre la portiera dell’auto e si siede di fianco a Jarrett. Praticamente lo implora di suonare ugualmente vista anche l’impossibilità di restituire in tempo i soldi agli oltre 1400 spettatori previsti.
Jarrett si lascia convincere dalle accorate parole e decide di suonare ugualmente fidando anche nella perizia dell’accordatore che , nel frattempo, si è già messo al lavoro per cercare di rendere suonabile quel pianoforte.
Questi fa un mezzo miracolo accordando lo strumento e rimettendo in funzione i pedali e rendendo quantomeno accettabile la sonorità delle ottave più acute e gravi.

I problemi però non sono finiti.
Jarrett ed Eicher si recano infatti in un ristorante italiano dove la Brandes ha prenotato due posti per la cena. Qui i camerieri fanno un po’ di casino, sbagliano le ordinazioni e portano da mangiare ai due molto tardi. Keith Jarrett fa in tempo a ingollare un boccone e poi deve precipitarsi in teatro giusto in tempo per l’inizio del concerto.
Ancora Vera Brandes racconta:
“Appena suonò le prime note tutti si resero conto che quella era magia, E’ stato qualcosa che non dimenticherò mai. Le prime note, e tutti erano rapiti.”
Già perché fin dalle prime note il pubblico si rende conto che ciò cui sta per assistere è un concerto completamene diverso dal solito. Sarà un concerto completamente improvvisato.
La conferma arriva dal fatto che l’inizio del concerto, l’incipit suonato da Jarrett, riprende il motivo della musichetta che la direzione del teatro fa sentire al pubblico solitamente, per avvisare dell’inizio degli spettacoli. Le note sono esattamente quelle. Il ritmo è un po’ diverso ma la melodia è quella. Se si ascolta attentamente la registrazione, soprattutto da un CD, si sentirà qualcuno tra il pubblico ridere subito dopo l’inizio, a conferma di quanto detto. Nel file sottostante, tratto da un LP ci sono un pò di rumori e fruscii ed è un po’ difficile riuscire a cogliere questo particolare.

A questo punto volevo darvi anche un consiglio. Viste le leggi sul diritto d’autore di YouTube potete trovare alcune versioni del concerto suonate da altri pianisti che cercano di “clonare” il concerto stesso. Cercate, mi raccomando, la versione originale caratterizzata dalla famosa foto di copertina, particolare ed artistica che potete vedere qui sopra.
Da quelle note di richiamo Keith Jarrett fa cominciare il concerto probabilmente più famoso per quello che riguarda il pianismo jazz, anche se tale definizione, per questa musica, suona riduttiva. E da questo concerto è stato ricavato un album che ha venduto, negli anni, circa quattro milioni di copie, “The Köln concert”, appunto.
Questo è l’incipit
Prima di proseguire però può essere utile spendere due parole per cercare di capire cosa si intende per improvvisazione, in musica.
Potremmo definirla come un procedimento di “composizione istantanea”. In sostanza la musica, essendo come tutte le arti un linguaggio, funziona, per certi versi, come un linguaggio parlato. Ne segue le regole e gli sviluppi. Generalmente si impara a parlare all’inizio per imitazione. Poi si frequenta una scuola il cui compito è quello in parte di codificare quanto già appreso e , in parte, di far intravvedere nuovi percorsi e nuove soluzioni. Oltre a questo, il linguaggio si forma anche, e a volte soprattutto, conoscendo e confrontandosi con persone, guardando film, leggendo libri, visitando musei e quant’altro.
E quando una persona enuncia un pensiero non lo fa seguendo regole grammaticali o di sintassi, né ripetendo frasi fatte. Utilizza le proprie conoscenze per esprimere quanto desidera in modo estemporaneo riuscendo anche a prevedere in anticipo quale sarà lo sviluppo del proprio ragionamento in modo da poter trovare il modo più corretto per esporlo.
La musica funziona nello stesso modo e il percorso molto spesso è identico.
L’improvvisazione è una pratica che è sempre esistita ed ha avuto un ruolo estremamente importante anche nella musica occidentale.
Non solo è stata importante nella musica popolare e nelle forme di danza ma ha avuto un ruolo significativo anche nella musica, diciamo così, “colta”.
Nel periodo barocco, ad esempio, la pratica dell’improvvisazione era un’abilità molto importante richiesta ai musicisti. Un famoso suonatore di viola da gamba, André Maugars affermò nel 1639 parlando di un musicista importantissimo come Girolamo Frescobaldi:
“Per poter giudicare del suo profondo sapere bisogna sentire le sue toccate improvvisate, piene di finezze e di scoperte meravigliose”.

Saper improvvisare all’organo o sul clavicembalo era ritenuto un requisito indispensabile per potere ambire ad importanti incarichi in campo musicale.
Questa pratica si sviluppò anche nei secoli successivi tanto è vero che, ad esempio, era presente in una delle forme musicali più importanti del periodo romantico. Nei concerti per strumento solista ed orchestra sono previsti, generalmente alla fine del primo e del terzo movimento, dei momenti chiamati “cadenze” in cui il solista rimane da solo. All’inizio le cadenze erano totalmente improvvisate dall’esecutore che elaborava liberamente i temi principali del concerto stesso. Poi col tempo la musica occidentale è diventata sempre più strutturata e composta e la pratica dell’improvvisazione si è andata perdendo al punto da risultare ormai quasi sconosciuta a chi fa un percorso di studi accademico.
Nel 900 l’improvvisazione ritorna ad essere molto importante nel jazz, una musica che ha tra le sue caratteristiche principali quella di essere, in gran parte, improvvisata.
Nel Jazz l’improvvisazione può essere, raramente, molto libera, oppure, molto più spesso, si sviluppa su schemi e strutture ben precisi. Questo accade quando i musicisti suonano brani, spesso chiamati “standard”, che hanno una forma stabilita ed una determinata sequenza di accordi che costituiscono la struttura sulla quale si basa l’improvvisazione.
Come dire che l’improvvisazione è libera ma all’interno di un percorso stabilito.
“Composizione istantanea” vuol dire che un musicista deve essere in grado di formulare un’idea musicale e deve riprodurla immediatamente sullo strumento. Questo comporta una serie di problemi.
Il primo è che per concepire un’idea musicale atta ad essere sviluppata bisogna essere abituati a pensare la musica in modo creativo. Il secondo, altrettanto importante, è che bisogna sapere se quell’idea è possibile, in virtù delle proprie capacità tecniche, eseguirla sul proprio strumento. Concepire delle bellissime frasi musicali e non essere in grado tecnicamente di suonarle non ha infatti alcun senso dal punto di vista dell’improvvisazione.

Pertanto, come è stato detto più volte da alcuni musicisti “l’improvvisazione non si improvvisa”. È un modo di suonare che richiede pratica, esperienza, mente aperta e notevoli abilità tecniche.
La peculiarità del Köln Concert è, come dicevo, quella di essere completamente improvvisato senza schemi prefissati. E’ frutto del libero fluire dei pensieri e delle idee melodiche del musicista.
All’inizio, come detto, Jarret sembra rispondere ad un interlocutore, la direzione del teatro, che gli ha posto una domanda. Da quella domanda lui fa partire una serie di risposte.
Il concerto, su disco, si divide in due parti, la seconda per i limiti tecnici del vinile è ulteriormente suddivisa in due, più il bis finale.
La prima parte, quella oggetto di questo racconto, è, in realtà, a una sorta di enciclopedia, in miniatura, dell’arte dell’improvvisazione in musica. Possiamo trovare l’improvvisazione su un ritmo, su una sequenza di accordi, su un pedale, su un ostinato, su una ballad, su un gospel. Troviamo anche un momento in cui Keith Jarrett improvvisa creando un’atmosfera musicale che ricorda quella degli impressionisti di inizio 900. Tutto questo dimostra come la cultura, la preparazione e la sensibilità artistica di questo personaggio e il suo gusto musicale siano veramente qualcosa che i francesi definirebbero “hors categorie”.
La prima parte dura 26 minuti senza soluzione di continuità e quindi per parlarne, bisogna purtroppo spezzettarla in vari momenti. Mi scuso in anticipo per questa pratica che si potrebbe definire barbara.
Per entrare in questo mondo, per capire il senso delle dinamiche, la qualità del tocco, gli improvvisi cambiamenti di prospettiva sonora, la delicatezza e l’estremo vigore di alcune frasi bisognerebbe ascoltarla senza interruzioni e vi invito caldamente a farlo.
L’inizio è rappresentato da quel tema cui accennavo prima. Jarret non sviluppa la melodia ma prende l’incipit ritmico e lo applica ai vari frammenti melodici che va ad eseguire. (Da qui in avanti consiglio caldamente di seguire i file per potere farsi un’idea più chiara di quanto detto)
A questa prima idea nella quale mantiene ferma la parte ritmica variando l’invenzione melodica, segue un altro stilema improvvisativo, quello su un “pedale”. Ad un certo punto Jarret si ferma su una nota, suonata con la mano sinistra, che continua a ripetere, lasciando libera la destra di inventare. Il momento è al minuto 2’ e 15”.
Circa al minuto 3’ e 06” comincia una parte in cui Keith Jarrett lavora su una melodia la cui ossatura è formata da solo tre note Do-Si e La. Su queste esegue una serie di ornamenti che ricordano, in parte, quelli usati nella musica francese del periodo barocco. Questo momento gli serve per arrivare fino al minuto 5′ e 00” dal quale comincia una parte molto significativa, tipica di tutto il concerto, l’improvvisazione su un giro di due accordi. E’ ciò che i jazzisti chiamano “vamp”. Gli accordi sono quelli di La minore e Sol ed è uno dei momenti topici del concerto
A questo momento ne segue un altro di grande virtuosismo in torno al minuto 8 e 55”. Successivamente l’atmosfera si fa più “blues” e addirittura “gospel” come al minuto 11 e 58”.

Uno dei momenti che personalmente preferisco è quando Jarret sviluppa un’idea musicale trasformandola quasi in una “ballad” estremamente melodica. Questo accade intorno al minuto 12 e 50”
A questo punto, dopo aver esplorato territori melodici e armonici affini alla musica jazz, Keith Jarret, cambia strada decisamente. Intorno al minuto 14 e 15”, infatti, va a cercare qualcosa di diverso. È un momento quasi sperimentale, estremamente interessante. L’atmosfera di riferimento è quella della musica europea dei primi del 900. E’ un momento impressionista, che poi diventa più romantico e sanguigno, che viene interrotto da una serie di arpeggi discendenti e velocissimi sullo stesso accorto, intorno al minuto 20 e 10”, che vengono ripetuti per più di dieci volte.
A questo punto prepara il finale.
È un finale che parte dal minuto 21 e 16” ed è costituito da un crescendo continuo. Da un punto di vista tecnico è la costruzione di un discorso su un “ostinato” suonato dalla mano sinistra. La destra esegue una melodia apparentemente semplice che viene ripetuta in modo sempre leggermente diverso. E’ veramente uno spettacolo per le orecchie
A un certo punto, su questo ostinato si arriva ad un momento che presenta una grande difficoltà tecnica. Keith Jarret, al minuto 23 e 57” comincia ad eseguire una serie di note ribattute molto veloci il cui effetto è quello aumentare la tensione per arrivare al culmine del discorso musicale. Raggiunto l’apice il clima si stempera in un finale con una dinamica estremamente contenuta che rappresenta quasi l’eco lontana di quanto abbiamo appena sentito
Questo album rappresenta un viaggio da fare con attenzione prendendosi il giusto tempo.
È la “summa” di quanto la musica moderna, e non parlo ovviamente solo del jazz, possa offrire. Ci possiamo trovare idee musicali, invenzioni armoniche, gusto per la dinamica, l’importanza del tocco, tecnica trascendentale e quant’altro. Ma quello che più conta è che ci troviamo di fronte proprio a una bella musica.
Del resto, anche il successo commerciale dell’album ne è un ulteriore dimostrazione.

La migliore spiegazione del processo di improvvisazione e composizione alla base di questo lavoro l’ha fornita, più volte, lo stesso Keith Jarrett affermando:
“Quando sono la fuori e c’è solo un pianoforte è come de il corpo sapesse esattamente cosa deve fare, perché se dico alle mani cosa suonare impedisco loro di suonare qualcosa di meglio di quello che sto pensando.
C’è un’incredibile quantità di musica che non è mai stata suonata. Ciò che sto cercando è quello. È la musica che è nell’aria pronta per essere suonata in ogni momento. È per questo che faccio concerti”.
”.

La relazione che hai posto tra il linguaggio parlato e l’improvvisazione musicale mi sembra molto calzante e in particolare a proposito del concerto che ci hai presentato. Si ha davvero l’impressione di un discorso che traduce un pensiero che man mano si sviluppa e trova percorsi necessari e sempre nuovi. Penso che debba essere un’esperienza bellissima per il musicista! Che bella storia ci hai raccontato! Chi sa se il ricordo dei fotogrammi del film appena vissuto ( la Renault scassata, il piccolo e nero pianoforte scordato, i bocconi buttati giù in fretta e il volto disperato della giovane organizzatrice del concerto abbiano preso forma di nota durante il concerto! Grazie ancora!
Keith Jarrett era un musicista, dico era perché è ancora vivo per fortuna ma purtroppo non può più suonare, che ha sempre vissuto la musica in modo totalizzante al punto che gli era stata diagnosticata una “sindrome da affaticamento cronico” causata dallo stress fisico durante i concerti. Per questo sono convinto che in quel concerto i vari momenti, di calma, agitazione, aperture liriche, ripetizione ossessiva di frammenti melodici, ostinati ritmici e altro siano stati anche frutto, come tu hai intuito, dell’esperienze vissute in quella giornata così particolare e intensa. Grazie per aver letto e anche, e soprattutto, per aver colto l’importanza rapporto tra musica e linguaggio parlato.
Ho pasticciato, cancella per favore, ma tieni il mio ringraziamento per la tua analisi e commento. Jarret lo amo molto più nel jazz, anche se l’ho seguito nella classica, Koln è stata la svolta per ECM ma anche per Jarret. Scala e Tokio sono già altro.
Non ti preoccupare, succede anche a me di fare casino con i commenti. Grazie veramente per la tua attenzione e penso che con Jarret dove peschi, peschi sempre bene. E’ un peccato che non possa piu’ suonare.
Ho il Koln concert in cd… e me ne vanto!!! 😁Pretendere che il pubblico segua un concerto con concentrazione è una pretesa legittima da parte di un artista… ma praticamente quasi impossibile per un pubblico contemporaneo, mi sa. Son stati tutti allevati con il cervello stimolato da continue distrazioni. La meditazione richiesta per ascoltare un certo tipo di musica, oggi è molto difficile ottenerla. Questo può indisporre un artista, sicuramente, ma farebbe molto bene alla gente, se ci riuscisse. Ho capito un po’ cos’è l’improvvisazione ascoltando lui e con lui ho cominciato a capire il jazz. Ed è stato un viaggio meravigliosamente bello, che ovviamente non è mai finito. Lui è terapeutico quando serve uno sblocco emotivo di qualsiasi tipo, perché ti sa portare via, toccando mille tasti talmente profondi che non sai nemmeno di avere. 😀 😀 A me non importa se tratta male il pubblico, visto che cosa sa creare con la sua musica. Il pubblico è ripagato ampiamente delle sue esternazioni un po’ rudi, a mio parere. Ti ringrazio sempre e mai abbastanza per il lavoro che fai.
Sono d’accordo con te e, conoscendoti un po’ immaginavo avessi questo disco. Purtroppo oggigiorno il pubblico in genere fatica a considerare la musica non accademica come una forma d’arte che, come tale, va seguita e rispettata. In questo senso il pubblico della “classica” pur se a volte indottrinato, e’ piu’ attento e consapevole. Proprio ieri sera, durante un concerto, nel mio piccolo ho provato un enorme senso di fastidio per un paio di persone che hanno spesso disturbato, rendendomi difficile l’esecuzione. Non ho reagito come Jarrett ma, visto che erano in prima fila, ho lanciato loro un paio di occhiatacce.🤪🤪🤪
Ho riascoltato tutto il concerto con la giusta concentrazione sollecitata dalle tue parole . Lo avevo ascoltato tante volte, ma solo con le “mie”orecchie. È sorprendente riuscire a percepire la straordinarietà del flusso creativo momento per momento e davvero si coglie una dimensione che va oltre la comune capacità sei sensi e che solo interpreti straordinari riescono a trasmettere. E che solo grandi sensibilità possono raccontare. Grazie
Il ” Concerto di Colonia” e’ realmente un’opera d’arte e, come tale, ha diversi livelli di lettura e parla linguaggio diversi a seconda della sensibilita’ e preparazione di chi ascolta. Se avevi gia’ ascoltato piu’ volte l’esecuzione vuol dire che le tue “orecchie” e la tua sensibilita’ erano gia’ pronte a farsi “investire” dal flusso artistico. Il mio contributo è stato solo quello di farti vedere le cose da una prospettiva leggermente diversa. Ma, ti assicuro, il “lavoro” importante l’hai fatto tu. Grazie per il tuo contributo.
Rapita. Da Jarrett prima e poi dal tuo racconto.
Anche io sono stata innamorata di questo fenomenale album ma poi non sono mai più riuscita ad amare altro suo album. Credo che Jarrett sia fondamentalmente un animale da palcoscenico e in concerto dal vivo dia il meglio di sé. Ho ascoltato due suoi concerti, di cui uno da registrare in sala, e ogni volta ha saputo creare mondi interi di magie sonore.
Grazie per la tua narrazione e spiegazione. Bellissima tutta la descrizione della improvvisazione. Un abbraccio e buona giornata.
Keith Jarrett, quando suona dal vivo, ti porta veramente, come dici tu in un mondo che si basa sulla poesia e sull’emozione. E’ come il pifferaio magico, ammaliante e seducente. Grazie a te per il supporto che e’ sempre molto gradito.
Ovviamente è sparito il commento precedente perché non avevo compilato I famigerati i campi obbligatori!
È strano che io legga questo tuo articolo a un anno giusto da quando mio fratello ci ha lasciato, lui Fine e bravissimo musicista insegnante di Blues. E mi si è stretto il cuore e nello stesso tempo ho provato gioia perché
The Köln Concert” di Keith Jarret lo abbiamo ascoltato nelle sue varie parti tante volte. Passo e chiudo e ti ringrazio infinitamente🦋💙
Il commento precedente e’ arrivato ma in forma “anonima”. Tengo questo cosi’, se vuoi puoi, leggere la risposta. Mi dispiace della coincidenza, ovviamente, ma un po’ sono anche contento perché filtrare il ricordo attraverso questa musica e il valore speciale che ha per te può essere d’aiuto. Un grande abbraccio e grazie per il tuo commento.
Ho scoperto il Jazz nel 1987 a 27 anni grazie alla rivista Rockstar con una recensione del LP Tutu che già tu avrai intuito di Miles Davis. Piccola digressione: finita una storia d’amore con la mia ex, proprio in quell’anno. Beh, finita una storia d’amore, ne è iniziata un’altra, stavolta “eterna”: IL JAZZ! Insomma mi sono immerso in questo infinito mondo e piano, piano ho conosciuto altri musicisti, album su album, abbonamento alla rivista “Musica Jazz” con allegate, ai tempi, le cassette S7. Si arriva per forza di cose allo stupefacente Keith Jarrett! Quando l’ho ascoltato, ben disteso sul divano ( per me un rito per ogni LP acquistato), terminato l’ascolto mi sono detto: suonano in due! Talmente elevata la successione di note che te lo faceva pensare. E poi la discontinuità della melodia, ritmo e tutti gli aggettivi da te menzionati. In sostanza 2h di musica con solo pianoforte non è da tutti tenerti incollato all’ascolto! Non conoscevo gli eventi e vicissitudini precedenti al concerto che amplificano e valorizzano ancora di più questo CAPOLAVORO! Grazie per avermi reso edotto per tutto ciò che hai spiegato e approfondito. Hai molta, molta, molta cognizione di causa. Ultima nota: innamoratomi del Jazz, ho studiato musica C/o la banda musicale del paese e frequentata per 4 anni suonando il sax tenore. E qui ti rendi conto della grandezza dei musicisti e della musica. Grazie di nuovo
Grazie a te per il tuo appassionato commento. Il fatto che tu abbia voluto cominciare a suonare spinto dall’ascolto attento dimostra quanto sia importante e gratificante considerare la musica un’arte fondamentale per accrescere il nostro benessere culturale ed emoziomale.
Da parecchi anni ascolto quest’ opera d’arte. Non si tratta di mistificarla, ma di valutare attentamente quali sensazioni e’ in grado di generare questo capolavoro senza tempo. Ascolto dopo ascolto, viene spontaneo chiedersi come abbia potuto fare. E a questo punto, come si esprime Keith : la musica e’ nell’aria, e’ la tesi dalla quale si debba partire e farsene una ragione. Ricordo un giorno, che dopo avere ascoltato l’album con la massima concentrazione, ho dovuto spegnere lo stereo e uscire di casa, per riprendermi, ponendo a me stesso una domanda : dopo questo..cosa potrei ascoltare ? in quel frangente..nulla. E si che avrei avuto altro tempo da dedicare alla musica, ma ero pienamente appagato e cio’ bastava, non potevo …inquinare quella sensazione con altri ascolti. Una ..cosa del genere mi e’ capitata soltanto un’altra volta con l’ascolto dell’opera 109 di Beethoven. Che ..scherzi sublimi puo’ fare la musica ! Nel contempo Ti ringrazio per l’analisi interessantissima, che hai esposto con grande chiarezza e precisione.
Il fatto che tu abbia provato sensazioni simili all’ascolto sia del Concerto di Colonia che dell’opera 109 di Beethoven dimostra, ancora una volta, come sia possibile godere della musica di qualità al di la dei generi ed è una prova di quanto tu sia una persona aperta, sensibile e curiosa. Il tuo commento mi fa molto piacere e sono del tutto d’accordo con il suo contenuto. Grazie per il tuo contributo.
Capolavoro senza tempo.
Testimonianza delle misteriose capacità umane.
Paragonabile a un scoperta scientifica o a un ineguagliato record de mondo nell’atletica.
E come dice bene l’articolo continua essere bellissimo nonostante il passare degli anni
Grazie del commento, Antonio, sono totalmente d’accordo con te.
Comprai il CD quasi per caso. Volevo ascoltare Keith Jarret.
Ero e sono un fan di Corea visto dal vivo in vari concerti ma quando ascoltai i Concerto di Colonia fu una scoperta che mi ha cambiato il modo di ascoltare la musica. Grazie
Non sei stato l’unico, Giovanni, al quale questo disco ha cambiato il modo di ascoltare la musica, ti assicuro. Grazie a te per il gradito contributo.