Senza Titolo
Terza Puntata
Una perla estratta dall’ultimo capolavoro di Mozart
Erano gli ultimi mesi del 1791 quando Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) si accingeva alla composizione del Requiem, che poi sarebbe risultato nel suo catalogo il numero KV 626 cioè la sua ultima composizione.

Mozart all’epoca aveva solo 35 anni, ma le sue condizioni di salute purtroppo, erano già irrimediabilmente compromesse.
Questo fatto si rivelerà determinante, non solo perché Mozart non riuscì a portare a termine la composizione stessa, che rimane infatti incompiuta almeno per quello che riguarda il suo contributo, ma soprattutto perché, appunto a causa delle sue condizioni di salute, attorno alla composizione di questo Requiem si è sviluppata, nel corso degli anni, una leggenda inquietante che riguarda il personaggio che gli avrebbe commissionato il Requiem stesso.
Leggenda alimentata da Stendhal prima, poi da Alexander Pushkin, nel suo dramma poetico, “Mozart e Salieri” del 1830, successivamente dal commediografo Peter Shaffer nel suo “Amadeus” del 1978, infine, e direi soprattutto, dal film. ” Amadeus” di Milos Forman, che è la trasposizione cinematografica abbastanza fedele dramma di Peter Shaffer.
La leggenda si riferisce al fatto che, il misterioso committente del Requiem a Mozart sarebbe stato Il compositore italiano Antonio Salieri (1750-1825), allora compositore di corte alla Corte, appunto, dell’imperatore d’Austria il quale avrebbe costretto Mozart a lavorare in modo talmente frenetico per portare a termine la commissione, da causarne la morte.
Ovviamente questa è solo una leggenda priva di fondamento.
Dopo molti anni si è arrivati a capire che, in realtà, il misterioso committente altri non era che un musicista viennese di pochissimo talento e di scarsissima abilità, che dovendo scrivere una messa da Requiem e non essendone capace, ne avrebbe commissionato a Mozart stesso la composizione per poi e accreditarla a suo nome per trarne vanto e benefici in tutta Vienna.
Fatto sta che Mozart in realtà, malato com’era, sia arrivato , a un certo punto, a pensare di essere alle prese con la composizione del proprio Requiem, per la propria morte .
Questo l’ha portato a. lavorarci non alacremente , come di solito faceva con le altre sue composizioni, al punto tale da non riuscire a completarlo prima di morire In una notte dei primi di dicembre del 1791.
Il Requiem poi è stato completata da alcuni dei suoi allievi, soprattutto da Sussmayr su indicazione della moglie Costanza. Per questo motivo è arrivato a noi in questa versione diciamo ibrida, tra brani composti interamente da Mozart e brani abbozzati da lui abbozzati e completati poi da Sussmayr sulla base di appunti e di spunti melodici che Mozart aveva annotato.
La parte della quale noi parleremo in particolare si chiama Lacrimosa e, da quello che risulta, è stata composto da Mozart per la parte iniziale con delle idee melodiche abbozzate per quello che concerne lo sviluppo del brano stesso.
Il testo del Lacrimosa è un testo molto Importante, carico di religiosità e recita :”
Lacrimoso è il giorno in cui dalle ceneri
risorge il peccatore per essere giudicato.
Abbi dunque misericordia.
O Dio Gesù, nostro buon signore
donagli riposo, donagli riposo e cosi sia.
C’è da dire che pur non avendo Mozart uno spirito religioso molto spiccato, anche se nell’ultimo periodo della sua vita questa cosa era un pochino mutata, quello che colpisce in maniera veramente incredibile è come Il suo Requiem sia veramente pieno di una religiosità che sembra trascendere la religione stessa per diventare un sentimento molto più ampio, molto più generale, che coinvolge tutta la sensibilità e la natura stessa e dell’essere umano.
Ricordiamo infatti come uno dei principi morali su cui poggia la poetica e la filosofia mozartiana, sia quello che l’uomo debba essere perdonato per gli errori commessi, semplicemente per il fatto che, essendo uomo, per la sua natura è portato a sbagliare, ma non per questo bisogna negargli il perdono nel momento del pentimento.
È famoso questo proposito Il coro finale delle “Nozze di Figaro”, dove tutti i protagonisti smettono e svestono i loro panni da interpreti e si affacciano in proscenio come semplici. uomini e donne cantando appunto lo struggente coro del perdono che chiude l’opera..
Il Lacrimosa è uno dei brani più suggestivi di questo Requiem. E volevo farvelo ascoltare, al solito, in due versioni per cercare di stimolare un po’ la discussione e la vostra sensibilità.
La prima versione è del direttore d’orchestra Jean Claude Malgoire .
Che dire….. questo brano, ovviamente, è un capolavoro.
E’ in tempo ternario, tecnicamente in dodici ottavi, ma questo non ha grande importanza. Comunque si sente che l’andamento in tre è molto evidente.
Questa versione mi da anche l’occasione, l’ennesima, per chiarire un concetto e confutare un modo di pensare comune , e cioè che nella musica classica bisogna suonare le note che ci sono scritte e non c’è spazio per un’interpretazione personale e per dare un proprio contributo da parte degli interpreti.
Per confutare questo volevo farvi sentire lo stesso brano nella versione di Leonard Bernstein, che è stato uno dei musicisti più importanti del secolo scorso, principalmente un direttore d’orchestra meraviglioso, dopodiché un compositore molto valido, sue tra l’altro le musiche di “West. Side Story “, e anche un grandissimo didatta.
Se avete la voglia andate a vedere su Youtube le lezioni che lui teneva tra gli anni 50 e gli anni 60 al Metropolitan di New York ai bambini delle scuole elementari e delle scuole medie. in cui spiegava anche concetti musicali veramente complessi e molto difficili, ma in maniera chiarissima al punto tale da interessare anche I bambini.
La versione di Bernstein è questa.
Ecco qua. Una versione del genere, si può dire che ti “cappotta”, nel senso che veramente ti prende, ti rovescia emotivamente come un calzino e ti lascia nudo come un verme nella notte.
Perché?
Perché qua la musica utilizza due armi espressive notevolissime, che sono la velocità e la dinamica in maniera veramente pazzesca, in modo tale da coinvolgere totalmente i sensi di chi ascolta. Qua si percepisce chiaramente il senso del testo che nella prima versione tutto sommato passava in secondo piano rispetto all’andamento ternario del tempo.
E perché si capisce pienamente?,
Perché ci sono quelle frasi dei violini all’inizio, questi lamenti, queste melodie spezzate di due note ascendenti e discendenti che danno il senso di un pianto a stento trattenuto.
Dopodiché entrano le voci con questo impasto molto molto scuro e molto drammatico.
E poi c’è questa scala, in realtà sono accordi,In cui l’ultima nota è sempre ascendente rispetto a quella dell’accordo precedente, per cui si crea un movimento ascendente lentissimo, che rappresenta il disperato tentativo di queste anime perse di sollevarsi dalla situazione in cui si trovano, di aggrapparsi alla speranza di poter essere perdonati e di poter arrivare nel Regno dei cieli.
Una speranza che non si sa poi se arriverà a buon fine o meno. Ma in questa successione di accordi in questa scala che sale, c’è tutta la forza, la disperazione e il tentativo di elevarsi dalla propria situazione , per formulare poi una richiesta di perdono che diventa praticamente disperata.
Eccola qua.
Scala che arriva al suo culmine sulla frase Judicando Homo Reus e a questo punto ti viene la pelle d’oca, nel senso ti si rizzano i peli sulle braccia, o dovunque uno li abbia, e questo è anche il potere della dinamica, e della scelta della velocità.
Perché una velocità così contenuta fa si che lo sforzo e la fatica di queste anime vengano completamente. alla luce.
E immagino fosse proprio questo lo scopo di Bernstein nello scegliere appunto un andamento così moderato e così particolare, che probabilmente è anche un po’ più lento di quello che Mozart stesso avrebbe voluto, immagino, ma questo non potremmo mai saperlo.
Resta il fatto che queste scelte proiettano questa musica in una dimensione. che va al di là del secolo in cui è stata scritta.
È evidente, non so se si è capito, che tra le due versioni quella che preferisco è chiaramente la seconda perché tra l’altro Bernstein trova anche un suono nell’orchestra e nel coro che è veramente coinvolgente, veramente importante.
Ovviamente, al solito, il brano lo dovete ascoltare, lo dovete gustare, con tutta l’attenzione possibile.
Vi consiglio anche, se non l’avete già fatto di guardare, o comunque riguardare, se l’avete già fatto, il film “Amadeus”, anche perché verso la fine c’è questa bellissima scena, una delle più belle non solo del film ma anche di tutta la cinematografia occidentale, in cui Mozart e Salieri sono nella casa di Mozart, nella camera di Mozart , con Mozart disteso sul letto, già molto provato e molto malato, che detta a Salieri la parte del Requiem che riguarda il “Confutatis maledictis”, quella che precede immediatamente il Lacrimosa.
E’ una scena in cui si vede chiaramente la differenza di spessore artistico tra Mozart, compositore eccelso e uno dei più grandi geni dell’umanità,. e Salieri, compositore comunque molto bravo e popolare nel suo tempo, che si trova di fronte a delle soluzioni musicali che non riesce a capire fino a quando, a un certo punto, scatta la scintilla e comincia prima a intuire, e poi a realizzare, che spesso le soluzioni più semplici sono le più efficaci.
La cosa incredibile di questa scena è che in realtà questi parlano un linguaggio strettamente tecnico e musicale, comprensibile solamente agli addetti ai lavori, ma che in realtà riesce a coinvolgere tutti quanti per la tensione emotiva e drammatica che i due attori riescono a trasmettere.
Dopo questa scena c’è quella del funerale di Mozart, accompagnato appunto dalle note del Lacrimosa, in una versione comunque molto bella diretta dal Maestro Lorin Maazel , scomparso qualche anno fa, che chiude praticamente il film.
Ecco, io spero che di aver suscitato un pò di interesse per questo brano così importante, così denso, e per tutto il Requiem di Mozart che è una composizione veramente particolare all’interno della produzione mozartiana, come si suol dire.
Particolare perchè sembra quasi una luce proiettata sul futuro, cioè Mozart in questo Requiem mostra una sensibilità e un coinvolgimento emotivo che si avvicinano a quelle del secolo successivo .
E’ una musica molto carica, molto densa, drammaticamente e drammaturgicamente importante.
Del resto lui non era nuovo a queste puntate nel futuro, geniale com’era.
Vi ricordo, per alleggerire un po’ anche la. densità di questa di questa puntata, che lui è stato uno dei primi a comporre, nell’ultimo atto sempre delle “Nozze di Figaro”, un brano completamente fuori linea rispetto a quelle che erano le convinzioni e le consuetudini del suo tempo, e forse anche del nostro.
In questo brano Susanna, promessa sposa di Figaro, canta ,lei donna, una serenata al suo promesso sposo. Una serenata di una dolcezza incredibile, nella notte di un giardino in cui, per la prima volta, la notte del 700 assume un significato che si manifesterà poi del tutto nel secolo successivo, cioè non solo uno spazio nel tempo ma soprattutto il luogo dei sentimenti e degli affetti.
E con la dolcezza di questa serenata cantata da Susanna io vi saluto e vi do l’appuntamento alla prossima puntata di Molliche d’ascolto.
Ciao a tutti e come al solito …… fate i bravi.
Beh, che dire, Bernstein è stato uno dei più grandi del XX° secolo, non solo come compositore, ma anche come direttore (lo si può vedere nel bellissimo documentario dove dirige le registrazioni del disco della sua opera West Side Story… a tal proposito, mi piacerebbe essere un angelo per poter andare in paradiso e chiedergli direttamente cosa pensa della versione di Spielberg… vabbè, ma questa è un’altra storia…). Interessante la parte dove ci si sofferma sulla velocità e dinamiche, soprattutto notando che, verso la fine della puntata si può sentire l’aria di Susanna nella versione diretta da John Eliott Gardiner che, a mio modesto parere, è colui che (soprattutto nelle tre opere buffe) ha tentato di ricreare le stesse sonorità/velocità/dinamiche come venivano eseguite ai tempi di Mozart (ovvio, è meramente una supposizione), ma mi ha sempre preso l’ouverture “sparata” a quella velocità, come dire: “zitti e buoni che sta iniziando!”. Il film “Amadeus” è un capolavoro, uno di quei pochi film che apprezzo anche nella versione estesa e ridoppiata (sono particolarmente “purista” su queste cose). Peccato che nel ridoppiaggio si perda il linguaggio tecnico, purtroppo non c’è stato uno studio da parte dell’adattatore e, come succede ormai spessissimo, i termini sono tradotti letteralmente, quindi non c’è “quarti” o “movimento”, ma “battuta”, traduzione di beat, creando così solo confusione ai danni dello spettatore e si ascoltano cose del tipo: “seconda battuta della prima misura”!
Sembra che abbiamo gusti simili. Il documentario sulla realizzazione di “West Side Story” è estremamente interessante. E’ vero, autentico e non “filtrato ” e sistemato ad uso degli spettatori. Mi ha sempre fatto tenerezza un grande come Carreras alle prese con qualcosa fuori dalle sue corde un brano come “Something comin” così ritmico e veloce e, per giunta in inglese. Lo faceva notare anche lui dicendo “Sono l’unico di lingua spagnola nel cast e l’unico che deve cantare in perfetto inglese”. Poi però nel suo duetto con Kiri Te Kanawa (e non solo in quello) la sua vocalità trovava il modo di dispiegarsi alla grande. Anch’io amo l’esecuzione di Gardiner delle “Nozze” mozartiane. Per me la scelta delle velocità nelle opere di Mozart è fondamentale. E’ eclatante l’esempio dell’Ouverture del Don Giovanni che, a seconda della velocità scelta, determina l’andamento di tutta l’opera. Su “Amadues”, altro capolavoro, devo dire che preferisco la versione degli anni ottanta a quella “Directors’ cut” sia per il doppiaggio che per la presenza di un paio di scene (quelle delle lezioni con la figlia di una famiglia borghese) che non aggiungono e appesantiscono un pò. La cosa positiva di questa edizione è che, finalmente, si può capire il perché Costanza sia cosi arrabbiata con Salieri alla fine del film perché nell’edizione originale la scena veniva tagliata prima del suo andare a casa di Salieri e dell’essere messa alla porta. Per quello che riguarda i problemi nel doppiaggio ti ricordo, ma penso tu lo sappia, una perla nei “Blues Brothers” quando i due vengono buttati giù dalle scale dalla suora e vedono Cab Calloway, e Elwood dice più o meno :” tu ci hai sempre protetto, per noi tu suonavi l’arpa in cantina”. Hanno tradotto il termine Harp che significa armonica con arpa senza pensare all’assurdità di un cantante di colore, anziano, che suona l’arpa in una musica blues.
Beh, essendo uno studioso del doppiaggio, darei un po’ il beneficio del dubbio per quanto riguarda la scelta di adattamento di quella specifica scena. Siamo negli anni ’80 e gli adattamenti ai dialoghi erano molto rigidi su determinati aspetti come, specificatamente per questa scena, il labiale. Si arrivava persino a stravolgere le frasi per far sì che ci fosse una parvenza di sincronizzazione fra il labiale dell’attore sullo schermo e quello che recitava il doppiatore in sala (ripeto, parvenza, perché gli attori che recitavano in italiano e poi ridoppiati, li si beccava al volo, solo Luciano Melani su Duillio Del Prete in “Amici Miei” aveva fatto un lavoro impressionante). Qui c’è poco margine, Aykroyd apre la bocca come se non ci fosse un domani mentre pronuncia “Harp”, diciamo che non era il massimo in quel “Harp” cacciargli dentro “armonica”… poi sul tavolo ci sono 5 o 6 Special 20 della Hohner, ma è una finezza… Parere mio, eh, sia chiaro. È più in là, al Bob’s Country Bunker, che nella penombra, fuori campo, si sente: “in che chiave?” “Va bene il sol per il country!”, quando in realtà avrebbero dovuto parlare di “tonalità” e di LA minore… comunque in quel documentario, indimenticabile la paura che trasuda il percussionista con in mano quel tamburello… quando si parla di dinamiche…
Oltre la paura del percussionista direi che anche la bestemmia di Carreras fa capire il clima di tensione che c’era in quello studio di registrazione di fronte a Bernstein che peraltro si dimostra molto umano nel senso più profondo con tutte le sue stanchezze, le sue leggerezze le sue arrabbiature e la sua soddisfazione riguardo al prodotto. Quanto ai Blues Brothers sono d’accordo e, non c’entra niente, ma tra le tante perle mi è venuta in mente quella in cui Belushi dice “Sono Stein del sindacato musicisti” facendo vedere, come tessera, un pacchetto di Marlboro…… mitico.
A differenza di “Animal House” che è invecchiato malissimo, “The Blues Brothers” è un film che riesce ancora a regalare risate. La cosa interessante è che, a dispetto dei tanti difetti della pellicola come il montaggio video e i vari taglia e cuci delle canzoni per farle combaciare con le immagini, perdendo le strutture a 12 battute a favore di quelle più rassicuranti a 8, film funziona anche nel resto del mondo dove è sconosciuto (o quasi) il background dei personaggi. Comunque, per rispetto al tema della puntata, per quanto Mozart e Belushi condividono la giovane età di dipartita e, probabilmente, l’amore per la comicità scatologica, mi fermo qui con l’off-topic. Potrebbe comunque diventare argomento di puntata, una “mollica” sulle differenze fra musical e commedia musicale, dato che (mi assumo le responsabilità di ciò che sto per scrivere) a mio avviso è un concetto del tutto italico quello di chiamare “musical” qualsiasi cosa abbia della musica. Così invece di continuare a ripetere la stessa solfa, invio direttamente all’interessato il link del podcast. Ah,ah,ah…
Potrebbe essere un’idea….