Sogno di un mattino di mezza estate
Gianfranco Garofalo
Un classico per un piccolo viaggio all’interno dell’interpretazione jazz
Ventesima Puntata
Uno degli aspetti che differenziano la musica da forme d’arte tipo l’arte figurativa o la letteratura, e che la avvicinano maggiorante ad altre, tipo la danza o il teatro, ad esempio, è che per fruire della musica abbiamo bisogno di una figura tra il creatore dell’opera e l’ascoltatore, colui che deve portare a noi l’idea dell’autore del brano, cioè l’interprete. La stessa cosa vale per una coreografia o per un copione teatrale. Senza un danzatore o un attore il prodotto rimarrebbe solamente nella testa di chi lo ha creato.
Altra differenza importante è che in musica, nella danza e nel teatro manca l’oggetto della creazione.
Certo, oggi abbiamo la possibilità di registrazione audio e video che ci può dare un’idea tangibile del prodotto. Non va dimenticato però che questi mezzi rappresentano, per così dire, solo un’istantanea di un momento perché mentre un quadro rimane immutabile nel tempo, una composizione musicale, una danza o una pièce teatrale sono sempre diverse ogni volta che vengono rappresentate, vuoi per l’impossibilità umana di riprodurre due volte esattamente la stessa cosa, vuoi, e questo è più importante, perché ogni volta chi esegue, danza o recita, può trovare sempre nuovi modi per affrontare la creazione artistica.
Quindi l’interprete è una figura fondamentale nel processo creativo senza la quale noi non potremmo fruire di un brano musicale.
A volte l’interprete è lo stesso autore. Più spesso è una figura terza il cui compito e le cui competenze tecniche sono abbastanza diverse da quelle di chi ha scritto il brano.
Per quello che riguarda la musica ci sono due correnti di pensiero, semplificando un po’, riguardanti il tipo di interprete: quello di estrazione classica e quello, diciamo così, di derivazione più jazz.
Tra queste due figure c’è una differenza sostanziale.
L’interprete classico cerca di portare alla luce quella che, secondo lui, è l’idea di chi ha scritto il brano.

L’interprete jazz porta alla luce quella che è la propria idea di quello stesso brano.

Questo fa sì che i parametri sui quali possono agire i due tipi di interprete sono abbastanza diversi.
L’interprete classico ha molta libertà di azione su dinamica, velocità, fraseggio e anche la scelta della strumentazione, a seconda dei periodi, ad esempio.
L’interprete jazz può anche arrivare a modificare la linea melodica, cambiando l’altezza dei suoni e il rapporto di durata tra loro, che costituiscono due parametri immutabili, soprattutto il primo, per l’interprete classico.
In parole povere “Non si possono cambiare le note che ha scritto Mozart”.
Per calare un po’ nella realtà questo discorso introduttivo e per parlarvi oggi più approfonditamente dell’interpretazione jazz, volevo prendere un brano musicale che è, probabilmente, il brano che ha avuto più incisioni e versioni diverse a tutt’oggi.
Il brano si intitola “Summertime” ed è stato composto nel 1935 da George Gershwin per l’opera “ Porgy and Bess”.

E’ un brano che viene eseguito un paio di volte all’interno di quest’opera ed è divenuto, quasi subito, molto popolare iniziando a godere di vita propria ed entrando a far parte di quella serie di brani definiti “Standard” che costituiscono il background culturale e musicale di ogni musicista o cantante americano che si rispetti.

George Gershwin è stato, senza dubbio, l’autore di canzoni più prolifico del Novecento. Era un compositore che oggi si potrebbe definire “crossover”. Aveva avuto infatti un percorso di studi accademico, si pensi a d esempio a “Rapsodia in Blue” una sua composizione di tipo classico molto famosa, ma era estremamente interessato alla musica che stava diventando sempre più popolare negli Stati Uniti in quel periodo, il jazz appunto.
Vi dico questo perché la versione, cosiddetta originale, di Summertime, scritta per l’opera, è completamente diversa da tutte quelle che potete aver sentito e suona così
È chiaramente un brano, se così si può dire, di musica classica.
C’è un’orchestra tradizionale e la voce è, chiaramente, una voce di impostazione classica, con un’emissione, un fraseggio e una tecnica tipiche di questo genere di musica.
Se ci fossero dei dubbi basta ascoltare la nota finale della melodia, molto acuta, che il soprano prende e tiene con estrema dolcezza creando anche un effetto di diminuzione dell’intensità che è esattamente il contrario di quello che farebbe, ad esempio, un cantante di musica leggera. Eccolo qua
Il successo di questo brano è stato immediato al punto che, già un anno dopo, una delle cantanti jazz più famose, Billie Holiday ne ha dato una sua versione. Questa
Questa è una tipica interpretazione jazz nel senso che quello che canta Billie Holiday, con la versione di Porgy and Bess, c’entra, ma fino ad un certo punto.

Li c’era un’orchestra, qui quello che si definisce un “combo” jazz cioè un piccolo gruppo di musicisti. Poi l’andamento è completamente diverso, quello era lento e meditativo, questo sembra quasi una marcia. La dinamica è molto più forte. La vocalità, che è molto interessante, è tutto fuorché una vocalità classica. Tutta l’ambientazione del brano è diversa.
Inoltre, Billie Holiday fa una cosa che solo un jazzista può permettersi di fare. Già all’inizio, cambia il tema nelle prime tre note in questo modo
In pratica nessun interprete classico potrebbe fare una cosa del genere.
Oltre a questo, c’è da dire che, in questa esecuzione, si sente quanto lei sia un’artista molto più moderna rispetto ai musicisti che la accompagnano. Mentre loro sono abbastanza legati a questo ritmo tipo marcia lei, in realtà, è molto più libera e fluida ritmicamente e questa cosa si sente molto ad esempio all’inizio e in tutta la seconda strofa
Il suo modo di cantare è molto morbido, dilatato e con più respiro rispetto a quello dei suoi accompagnatori.
La cosa evidente, in ogni caso, è che chi andava nei locali a sentire Billie Holiday, andava per sentire la sua idea del brano e non si aspettava certo la riproposizione della versione originale di Gershwin che magari aveva sentito a teatro.
Non solamente gli interpreti jazz vogliono dare la loro idea di un brano ma anche il pubblico è interessato esclusivamente a questo e non vuole assolutamente nemmeno sentire riproposta, ad esempio, la versione che, magari, hanno a casa su disco o CD, perché tutti vogliono godere di quanto di irripetibile può accadere sul palco in una determinata sera.
Summertime, come detto, è un cavallo di battaglia di moltissimi interpreti di musica afroamericana.
Qualche decennio dopo, ad esempio, un’altra stella del firmamento jazz, Ella Fitzgerald , esegue questo brano così
Qui, ad esempio, non abbiamo nemmeno un gruppo di musicisti, ma solamente un trio che accompagna la Fitzgerald con un gusto e una sensibilità nettamente superiore a quelle del “combo” di Billie Holiday.
Il tempo è lentissimo e, soprattutto, nella melodia Ella Fitzgerald, sfrutta la sua tecnica sopraffina per eseguire delle note tenute con un vibrato e una sonorità incredibili. Anche lei si prende delle libertà sulla melodia che è facilmente riconoscibile pur non essendo esattamente quella scritta da Gershwin perché ci sono un paio di punti in cui il tema viene modificato
Queste libertà sono funzionali per rendere al meglio l’idea che lei vuole dare del brano che è radicalmente diversa da quella di Billie Holiday.
In tutti questi tre casi, comunque, la melodia è facilmente riconoscibile, ci sono, è vero, delle differenze, ma, in pratica, possiamo dire che il tema è sostanzialmente lo stesso.
Nel prossimo esempio, registrato una trentina di anni dopo abbiamo un’idea completamente diversa proposta da un altro pilastro della musica afroamericana, Al Jarreau, scomparso purtroppo pochi anni fa, eccola qua
Questa è una rivisitazione del tutto particolare perché viene stravolto quasi tutto l’impianto del pezzo. Il ritmo è tipico del funk americano, dovuto anche alla presenza di due fuoriclasse come Marcus Miller al basso (di cui abbiamo parlato, se vi ricordate nella terza Mollica su Miles Davis) e Steve Gadd alla batteria, ma la cosa più eclatante è che Al Jarreau si prende delle libertà, nell’esposizione della linea melodica, molto evidenti.

Aggiunge delle parole, ne toglie altre, riempie gli spazi con vocalizzi alterando a suo piacere la durata dei suoni, finisce la strofa con una nota completamente fuori “tema”, passatemi l’espressione, eppure il brano, pur così cambiato è riconoscibile.
Questo perché, pur essendo la melodia completamente stravolta ci sono le cosiddette “Spot notes”, cioè le note fondamentali che lui canta, perfettamente, nel punto esatto dove vanno eseguite con lo scopo di tenere l’ascoltatore costantemente dalla propria parte.
In sostanza Al Jarreau ti porta in giro per il brano, seminando un sacco di molliche………. nei punti di riferimento importanti che ti impediscono di perderti lasciandoti il compito poi di raccoglierle e metterle insieme per comporre il quadro finale del pezzo.
Questo richiede un bravo interprete ma anche, come vi dico da tempo, un bravo ascoltatore che sia, soprattutto, attivo e partecipe e pronto a decifrare tutti gli “indizi” sparsi qua e la durante il brano.
Tra le altre cose, Summertime, costituisce anche un caso a parte perché, vista la sua struttura e la sua popolarità è uno di quei brani che ha sempre attirato l’attenzione non solo dei jazzisti, ma anche di interpreti di altri generi musicali.
Nel rock, ad esempio, una delle versioni più eclatanti è quella che, verso la fine degli anni Sessanta, ha eseguito Janis Joplin e che è, “ca va sans dire”, del tutto personale
Se pensate che l’idea di Gershwin era quella di fare quasi una ninna nanna in cui la protagonista fa addormentare un bimbo parlandogli di qualcosa di gioioso, qua siamo agli antipodi.

E’, ovviamente una versione del tutto rock, come strumenti, andamento e intenzione. La voce è molto personale, estremamente espressiva ed inimitabile. Come direbbero gli americani “don’t try this at home”, non provate a rifarla perché il rischio di distruggersi la voce è elevatissimo.
Questo però non impedisce a questa versione di essere una delle più importanti e riuscite tra tutte quelle realizzate nel corso degli anni.
Molti sono i musicisti e i cantanti che hanno affrontato questo pezzo, jazzisti come Miles Davis, Stan Getz, Glenn Miller, musicisti pop rock come Paul McCartney, Ten Years after, i Doors, Annie Lennox, per citarne solo alcuni.
Esiste anche, e vi invito ad ascoltarla, una versione fatta da un insospettabile attrice come Scarlett Johansson che non è niente male.
La cosa importante da recepire è che tutte queste versioni e le molte altre che non abbiamo sentito, sono frutto dell’idea che i vari interpreti hanno di questo brano nel rispetto del brano stesso. Chi più alla lettera, chi con maggiori libertà, chi con libertà molto ampie tutti questi esecutori contribuiscono a rendere Summertime in questo caso, ma questo vale per qualsiasi brano jazz, sempre diversa, nuova ed interessante perché quello che tutti questi musicisti e cantanti fanno non è una sterile prova di esibizione tecnica ma la volontà di rappresentare un’intuizione artistica.