Edith Piaf

Un passerotto sfortunato la cui voce è “lo specchio dell’anima”.

Puntata numero quarantasei

“Gli unici momenti in cui riuscivo a ridere era quando la notte mi rifugiavo nel sottoscala e provavo a cantare. Provavo per ore ed ore… posso dire di aver imparato a cantare proprio lì”.

“Ho una bella voce, ma devo lavorare per cantare ancora meglio. Si impara fino all’ultimo giorno.

Così parlava di se Edith Giovanna Gassion, meglio conosciuta come Edith Piaf.

Ascolta il Podcast

Come scrive in modo veramente centrato Valeria Ricca :”La Piaf sta alla Francia come Giovanna D’Arco, la Tour Eiffel, il beaujoulais e il più pregiato degli champagne. Una donna in grado di trasformare l’intera sua vita in un’opera d’arte, tra musica, amore e tormento.

La vita di Edith Piaf, infatti, è stata quanto di più travagliato e tormentato ci si possa immaginare.  

 E’ stata allevata fin da piccola dapprima dalla nonna materna, poi da quella paterna in quanto i suoi genitori non erano in grado di mantenerla, e ha vissuto la sua infanzia, è nata nel 1915, praticamente in un bordello e successivamente per le strade di Parigi dove aiutava il padre a racimolare qualche soldo cantando.

Edith Piaf

La sua è stata una vita costellata da tanti amori, molti dei quali sfortunati, che è finita molto presto, nel 1963 all’età di quarantasette anni, a causa delle complicazioni sopravvenute per il costante uso di farmaci e medicinali antidolorifici che assumeva per alleviare il dolore causatole dalle ferite riportate in un incidente d’auto qualche anno prima.

Era piccola di statura, alta solamente un metro e quarantasette e portava il numero trentatré di scarpe. Fu proprio questa sua figura, così minuta, che diede lo spunto all’impresario Louis Leplée proprietario di un cabaret chiamato “Le Gerny’s” che la vide cantare per le strade di Parigi, per chiamarla con quello che poi diverrà per sempre il suo nome d’arte “Piaf” che, nello slang francese, significa passerotto.

Ma Edith Piaf si dimostrò subito un passerotto “sui generis” perché la sua voce era molto potente e aveva una fortissima presenza scenica. Una voce calda, soprattutto nelle tonalità medio-gravi. Lo specchio di un’anima molto forte e di una personalità rimarchevole che verranno poi segnate per sempre  da tutte le vicissitudini  dolorose della sua vita.

La Piaf è una delle esponenti più importanti di quella che viene chiamata la “chanson réaliste”, un genere musicale che pendeva spunto da esperienze reali, parlando di vita e di amore in tutte le sue sfaccettature, l’amore che andava a buon fine, raramente, quello rifiutato, o contrastato, l’amore che non c’è più.

Una corrente musicale che si  è sviluppata in Francia dalla metà degli anni venti del secolo scorso, basandosi sia sulla tradizione musicale tipicamente francese che sugli stilemi musicali del jazz e dello swing, arrivati da oltre oceano,  che erano molto popolari al di là delle Alpi.

Lo sviluppo e la popolarità di questo genere sono in gran parte dovuti alla Piaf che si è prepotentemente affacciata alla ribalta alla fine degli anni trenta, diventando una star.

Yves Montand

 Esponenti di primo piano di questo genere sono stati artisti del calibro di Yves Montand, Gilbert Becaud, Henri Salvador e successivamente, negli anni cinquanta questo genere viene sviluppato da personaggi e cantautori molto importanti come Leo Ferré, George Brassens, Jacques Brel. Tutti hanno contribuito a creare un genere che è diventato, in pratica, paradigmatico della musica e della cultura francese al punto che, ascoltando le canzoni di questi autori e interpreti, immediatamente si viene proiettati col pensiero a Parigi, magari in un film in bianco e nero, con un po’ di nebbiolina, osservando le persone che passeggiano su “les quais de la Seine” o “les bouquinistes” che vendono libri.

Questo tipo di musica ha formato,  se così si può dire, una scuola. Un qualcosa che, in Italia ad esempio, non abbiamo. Ci sono, è vero, molti artisti italiani che si sono ispirati a questa musica francese, tipo De André, Gino Paoli, Luigi Tenco, Bruno Lauzi e Umberto Bindi, ma non hanno, in realtà  “fatto scuola” veramente.

Forse l’unico fenomeno di importanza simile, da noi, è stato quello rappresentato dalla canzone napoletana, che però, come ho già detto in un altro racconto, non ha mai rappresentato  tutta la cultura musicale italiana, come invece è successo in Francia.

Volendo fare una “lista della spesa” di alcuni dei brani più importanti di questo genere musicale , non si possono non nominare, “Avec le Temps” di Léo Ferré, “ La Bohème” di C. Aznavour, “Ne me Quitte Pa”  di J. Brel, “La Vie en Rose” della stessa Piaf, la “Chanson de vieux amants” di J. Brel “Les Feuilles mortes” di J. Prevert diventata uno degli “standard” più apprezzati anche da jazzisti americani, e “Et Maintenant” di G. Becaud.

Si dice che, in Francia, tutto finisca in canzone e non è un caso, quindi, che nel ventesimo secolo tutta la storia e la cultura francese siano state espresse musicalmente da grandi artisti con storie personali molto diverse. Ognuno di loro, intellettuale, anticonformista anarchico o esistenzialista , ha contribuito, con i propri brani, ha costruire   quel puzzle musicale  che è diventato simbolo della Francia.

Edith Piaf è stata, in pratica la  madrina  di tuti costoro portando ad un successo internazionale questo genere di musica.

Il suo brano di maggior successo è stato, ovviamente, “La Vie en Rose” di cui ha scritto il testo mentre la musica è ad opera di Louiguy, pseudonimo di Louis Guglielmi.

Ed è interessante notare come il testo di questo brano che già dal titolo  racconta di una vita  in cui tutto sembra essere positivo, sia in realtà stato scritto da una persona nella cui vita quasi tutto, a parte la carriera artistica, è andato a scatafascio.

Oltre alle numerose relazioni la Piaf ha avuto anche una figlia, quando era giovanissima, morta di meningite. Tra i suoi amori sfortunati c’è  stato anche quello con Yves Montand che lei aiutò ad arrivare al successo e che poi la abbandonò  nel momento in cui divenne un cantante di fama internazionale.

Un’altra storia veramente triste e sfortunata la ebbe con quello che, probabilmente, fu il suo più grande amore, il pugile francese Marcel Cerdan.

Marcel Cerdan

 Si conobbero a New York dove lei era in tournée e lui doveva combattere per il titolo mondiale e fu amore a prima vista. Edith Piaf, essendo molto religiosa, fece un voto, chiedendo, in cambio della vittoria di Marcel, solamente un altro anno di felicità con lui.

Circa un anno dopo dovevano incontrarsi di nuovo negli U.S.A. ma l’aereo su cui doveva imbarcarsi Marcel era pieno. Lei, sfruttando la sua popolarità chiese alla compagnia aerea se qualcuno fosse stato disposto a cedere il posto al suo uomo. Una giovane coppia si disse pronta, essendo ammiratori della cantante, a partire il giorno dopo. Marcel Cerdan salì quindi sull’aereo che…….non arrivò mai negli States.

Edith Piaf non si perdonò mai e visse anni nel rimpianto e nel rimorso.

È importante conoscere questi aspetti della vita privata perché tutte queste esperienze, tutto questo dolore, tutte questi momenti felici, di breve durata ma molto intensi, si riverberano  chiaramente  nella  sua  vocalità e nel suono della  voce.

Edith Piaf è un’artista, come Bessie Smith, Joe Cocker, Nick Cave, Fabrizio de André, per parlare solo dei protagonisti di altri racconti che potete trovare nel blog, la cui voce rappresenta, senza ombra di dubbio  lo “specchio dell’anima”.

È un club, diciamo così, ristretto ma molto significativo e la Piaf ne è tranquillamente membro onorario.

Venendo all’oggetto di questo racconto, “Sous le ciel de Paris” ci si potrebbe chiedere perché, parlando della Piaf, io non abbia preso in considerazione il suo brano più famoso che è , appunto, “La Vie en Rose”.

Il motivo principale è che questo brano è veramente rappresentativo di un genere, di una situazione, di un insieme di sensazioni che, automaticamente, ti portano per le strade di Parigi, in un ambiente, in una situazione, e in un periodo storico ben preciso. E tutto questo lo si percepisce  attraverso la  sonorità, il modo in cui è stato costruito, e, soprattutto, il modo col quale è stato cantato.

La canzone è stata scritta, inizialmente, per il film omonimo del 1951, diretto da Julien Duvivier, ed è cantata da un artista francese chiamato Jean Bretonnière.

 Nel film si presenta in questo modo

Versione del film

Siamo di fronte, se mi passate il termine, a una versione un po’ naif,  utile, in ogni caso, per capire alcuni elementi importanti.

Intanto il brano ha un ritmo ternario. È praticamente un valzer. Più specificamente un valzer musette, genere tipico della tradizione francese. Inoltre è suonato con strumenti popolari come la fisarmonica, altra sonorità caratteristica di questa musica e, in questo caso, la chitarra acustica.

Molto più articolata e interessante è la versione di Edith Piaf che ha delle caratteristiche estremamente personali.

Per prima cosa abbiamo un’introduzione abbastanza lenta dopo la quale il brano acquista velocità ma, in ogni caso, l’andamento generale è più contenuto rispetto a quello che  avete appena sentito il che dà a tutto il pezzo un andamento più sognante e immaginifico.

 Poi, oltre all’immancabile fisarmonica, abbiamo un orchestra con sonorità classiche europee  condita  però  con  “spruzzatine “ di jazz americano, soprattutto a carico degli  ottoni, ulteriore testimonianza della considerazione nella quale era tenuta la musica d’oltre oceano.

 E, su tutto, il suono della voce, così evocativa e penetrante che, da sola, vale la canzone.

Da un punto di vista della struttura il brano è apparentemente molto semplice ma nasconde alcune “perle” che lo rendono estremamente interessante.

La semplicità sta nel fatto che per la gran parte è costruito sfruttando quelli che sono, i famosi tre accordi principali dei quali abbiamo parlato nelle puntate relative, ad esempio a “St. Louis Blues” di Bessie Smith, negli USA di qualche decennio prima  o in “Monti di Mola” di De André in Italia qualche cinquantina d’anni dopo. Questi accordi rappresentano la struttura portante della musica occidentale  e sono presenti in moltissima musica di derivazione popolare.

La particolarità di questi tre accordi che sono costruiti sulla prima, sulla quarta e sulla quinta nota della scala di riferimento, è che, nel caso di questa canzone, due di questi, quello sulla prima e quello sulla quarta nota, sono in sonorità minore. Questo conferisce  al brano   un senso ancora più da “chanson francaise”, permeata, al solito, da un velo di tristezza.

Suonati solo col pianoforte in modo molto scarno sono questi

Struttura di accordi

Su questo “scheletro” semplice si innestano, in realtà molti elementi particolari e interessanti che danno al brano un sapore unico e che tradiscono l’abilità e la preparazione degli autori.

Come detto la versione della Piaf comincia lenta con la fisarmonica e il mandolino poi, con l’introduzione della voce, il ritmo diventa più incalzante

Inizio versione Edith Piaf

Uno dei primi momenti particolari l’abbiamo in corrispondenza di questi versi:

Sous le pont de Bercy, un philosophe assis
Deux musiciens, quelques badauds
Puis les gens par milliers

La cui traduzione è

“Sotto il ponte di Bercy  siede un filosofo
Due musicisti, dei curiosi
Poi la gente a migliaia

In questo momento l’arrangiamento si asciuga molto. La fisarmonica sparisce, c’è un mandolino che contrappunta, e la voce di Edith Piaf puntualizza il tutto in modo molto significativo e personale

Sous le pont de Bercy

Dopo di che entrano sia l’orchestra che il coro.

 A questo punto c’è un momento veramente interessante. Abbiamo  quella che, con un termine tecnico che può intimorire, si definisce tecnicamente una modulazione. In pratica è , in questo caso particolare, il passaggio dalla tonalità minore presente fino a questo momento a quella  maggiore, basata sulla stessa nota di partenza, cosa che raramente troviamo nelle canzoni, il che da un notevole slancio al brano che è chiaramente percepibile.

Il tutto avviene cambiando, al solito, una sola nota, in corrispondenza dei versi:

L’hymne d’un peuple épris de sa vieille cité

“L’inno di un popolo invaghito della sua vecchia città”

La modulazione  avviene precisamente  sulla parola “citè”

Modulazione in maggiore

Questo cambiamento in maggiore, sottolineato anche da un  arrangiamento più leggero, con gli strumenti a fiato  chiaramente influenzati dalla musica jazz delle grandi orchestre americane, da al brano un’atmosfera più leggera, ancora più circolare  e danzante, se così si può dire. Alla luce di tutte queste considerazioni/ ve lo faccio risentire perché ne vale veramente la pena

Modulazione in maggiore 2

A questo punto c’è il momento forse più interessante da un punto di vista strettamente  musicale.

Sulla frase :

Quelques rayons du ciel d’ete
L’accordon d’un marinier
L’espoir fleurit au ciel de Paris

Alcuni raggi del cielo d’estate
La fisarmonica di un marinaio
La speranza fiorisce al cielo di Parigi”

abbiamo una melodia vocale veramente complicata e intrigante sostenuta da accordi molto complessi che vi faccio sentire con una velocità più contenuta, che suonano così

Accordi della variazione

Su questa successione di accordi così scura c’è una melodia che apparentemente sembra facile ma, in realtà, richiede grande precisione e preparazione. Col pianoforte suona così

Piano variazioni con melodia

Il tutto, nella versione della Piaf suona così

Quelques rayons

La voce, veramente incredibile vale da sola, come si usa dire, il prezzo del biglietto.

E’ notevole la facilità con la quale affronta  questi momenti musicalmente molto complessi anche perché bisogna tenere conto che allora, negli anni cinquanta,  non c’erano possibilità di correggere errori. Non esisteva “l’Autotune” per sistemare l’intonazione così spesso usato da molti cantanti d’oggi.  Se si sbagliava, bisognava costringere tutti a rifare quella parte se non, addirittura, tutto il pezzo.

Il brano finisce poi con un’altra trovata compositiva.

Tutto modula, di nuovo questo  termine tecnico, verso l’acuto, ma di pochissimo, solo mezzo tono, praticamente un tasto del pianoforte. Questo per dare ulteriore slancio anche perché, proprio verso la fine, il brano torna maggiore in modo che la musica possa  sottolineare al meglio il testo che racconta :

Mais le ciel de Paris
N’est pas longtemps cruel, hum hum,
Pour se fair’ pardonner Il offre un arc en ciel

Ma il cielo di Parigi
Non è crudele a lungo, hum, hum
Per farsi perdonare  offre un arcobaleno
.”

Finale

Per chiarire maggiormente quanto sia importante il senso del suono di questa voce e dell’interpretazione che ne consegue, volevo farvi ascoltare solo un pezzettino dello stesso brano nella versione di Yves Montand, cantante veramente di fama internazionale.

Questa versione, più pulita e se vogliamo più “perfetta” manca, a mio avviso, del calore che, invece, traspare dall’interpretazione della Piaf

versione di Yves Montand

Il brano così è bello ma sembra più un esercizio di stile che qualcosa di veramente sentito. Come ho avuto modo di dire già nel racconto riguardante il brano “Questi Posti Davanti al Mare”  In questo caso Yves Montand ti illustra un bel quadro, si limita a questo.

 Edith Piaf ti ci porta dentro e te lo fa vivere in prima persona.

Per chiudere volevo parlarvi di quello che può essere considerato il suo testamento artistico e spirituale.

Nel 1960, reduce da un grave incidente automobilistico che le aveva causato molte sofferenze facendola diventare, in pratica, dipendente dagli antidolorifici, venne invitata all’Olympia di Parigi, che era in un momento di grossa crisi, per cercare di risollevare le sorti del teatro stesso. In quell’occasione cantò un brano scritto quattro anni prima da Michel Vaucaire per quanto riguarda il testo e da Charles Dumont per la musica.

 Il titolo è “Non, Je Ne Regrette Rien”, cioè “No, non rimpiango nulla”.

Praticamente con quell’esibizione risollevò le sorti del teatro perché fu una performance spettacolare che incantò i francesi presenti e la riportò lei stessa in auge. Quella canzone doveva essere una specie di arrivederci al mondo della musica che Edith Piaf avrebbe rincontrato una volta rimessasi in sesto. In realtà si trasformò in un addio a causa della morte sopraggiunta tre anni dopo.

Il testo sembra essere veramente un riassunto della sua vita proprio a cominciare dal titolo

Non, rien de rien

“Non, rien de rien
Non, je ne regrette rien
Ni le bien, qu’on m’a fait
Ni le mal, tout ça m’est bien égal

Non, rien de rien
Non, je ne regrette rien
C’est payé, balayé, oublié
Je me fous du passé”

No niente di niente
no non rimpiango niente
né il bene che mi hanno fatto
né il male, fa lo stesso

No niente di niente
no non rimpiango niente
ho pagato per tutto
è tutto cancellato dimenticato
me ne frego del passato”.