Crocifissione
Renato Guttuso
Uno dei più grandi capolavori dell’arte di tutti i tempi
Puntata numero sessantasei
“La presunzione di tutto capire e spiegare, ordinare e classificare non conduce necessariamente a comprendere il fine ultimo dell’opera ne a fissarne definitivamente i confini. Possiamo ben immaginare che Bach fosse conscio di aver dato vita ad un’opera irripetibile, ma ciò che noi potremmo cogliere del capolavoro sarà sempre oscurato e reso frammentario dall’inadeguatezza delle forze e dalla manifesta inferiorità della speculazione rispetto alla vera bellezza”
Alberto Basso – “Frau Musika”
“Frau Musika” di Alberto Basso può, a buona ragione, essere considerato come un punto di riferimento, una specie di bibbia nella quale trovare praticamente tutto quello che è importante conoscere sulla vita e sulle opere di Johann Sebastian Bach.
La composizione alla quale fa riferimento è la “Passione secondo Matteo” di Bach, uno dei capolavori più importanti dell’ingegno umano. E’ un’opera paragonabile, per importanza, , alla “Divina Commedia” di Dante o agli affreschi della Cappella Sistina di Michelangelo, per quello che riguarda le arti.
Ho voluto cominciare così questo racconto perché la settimana scorsa ho avuto la fortuna e la possibilità di assistere dal vivo, per la prima volta, ad una rappresentazione della Passione secondo Matteo.

E’ stato uno spettacolo che mi ha profondamente colpito e che mi ha fornito lo spunto per una serie di riflessioni, di cui vorrei rendervi partecipi. Riflessioni che riguardano sia il nostro rapporto con il tempo che il modo col quale affrontiamo la complessità delle cose che ci circondano.
La Passione secondo Matteo è un’opera veramente monumentale.
La sua durata media, infatti, supera, a seconda delle esecuzioni, abbondantemente le due ore e mezza. La cosa singolare è che noi oggi la consideriamo come una rappresentazione concertistica o, al limite, teatrale viste le caratteristiche, ma, in realtà, è stata concepita per essere eseguita durante una funzione religiosa nei riti della settimana santa.
Questo mi ha fatto riflettere su come nel 1727, data probabile della prima esecuzione, il popolo partecipasse a funzioni religiose nelle quali c’erano rappresentazioni così corpose mentre ai nostri giorni , per converso, si può notare come la nostra capacità di utilizzare il tempo in un certo modo stia venendo progressivamente meno.
Difficilmente, infatti, siamo in grado di gestire e di ricavarci dei momenti per noi, momenti nei quali gustare e approfondire le cose che ci accadono e che ci circondano. Tutto quello che sta intorno a noi, tutto quello con cui entriamo in contatto, ci spinge ad un utilizzo frenetico e spesso superficiale di questa preziosa risorsa che abbiamo, il tempo appunto.

Ogni cosa si sviluppa in modo frenetico.
I contenuti sui vari social devono essere veloci.
Le persone invitate nei vari programmi radiofonici o televisivi, ad esempio, hanno pochissimo tempo per esporre i propri argomenti perché vengono subito interrotti in quanto pare che la gente non riesca ad ascoltare qualcuno o qualcosa per più di pochi minuti pena il fatidico “cambio di canale o di stazione”.
I video sulle varie piattaforme devono essere rapidi per catturare attenzione. Ma non è quasi mai possibile, in così poco tempo, veicolare dei contenuti interessanti. Non si tiene conto del fatto che la capacità di sintesi è prerogativa di persone dotate di genialità, qualità di cui non tutti sono in possesso.
E tutto questo avviene ignorando il fatto che la natura umana per esprimersi o per apprezzare ciò che la circonda ha bisogno di tempo, molto più tempo. I nostri ritmi, naturalmente, sono molto più lenti di quelli ai quali siamo costretti oggi.
Tra le varie arti la musica sembra essere una di quelle che soffre di più per questa tendenza generale in quanto, in modo simile alla danza, al teatro o al cinema, è, per sua natura, lei a dettare i tempi di fruizione.
Se, ad esempio, ci rechiamo in un museo per visitare una mostra, siamo noi a decidere quanto tempo dedicare ad un quadro. Possiamo soffermarci dieci secondi o dieci minuti o nemmeno considerarlo, secondo i casi. La scelta sta a noi.
La musica invece ci detta i tempi. Se un brano dura dieci minuti e noi vogliamo conoscerlo e apprezzarlo compiutamente dobbiamo dedicargli dieci minuti. Questo ci costringe ad avere un rapporto più complesso e maturo con il nostro tempo. Andare ad ascoltare la Passione secondo Matteo od un’opera lirica, ad esempio, richiede un atteggiamento mentale ed una capacità di gestione del proprio tempo che noi in parte stiamo perdendo.

L’altra riflessione riguarda il nostro rapporto con la complessità.
Questa composizione di Bach infatti non è monumentale solo per quello che riguarda la durata ma anche, e direi soprattutto, per lo stile compositivo, che si potrebbe definire a “più strati”, con il quale è stata creata.
Anche la capacità di prestare attenzione alle cose complesse è una qualità che stiamo perdendo, soprattutto a causa dell’estrema semplicità e linearità degli stimoli che ci vengono giornalmente proposti, soprattutto per quello che riguarda la musica,.
In questi ultimi anni sembra che molte cose vengano prodotte, in tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana, per cercare di semplificare al massimo ogni cosa. Lo scopo è quello di creare meno difficoltà possibili, evitando qualsiasi tipo di complessità. E’ come se si cercasse di farci ragionare il meno possibile, proponendoci soluzioni già fatte, pronte all’uso che, come tali, vengono utilizzate rapidamente e altrettanto rapidamente gettate via una volta esaurito lo scopo.
Un esempio tipico in musica sono le cosiddette playlist che ci vengono consigliate dai “social” seguendo solo i nostri gusti, quasi per scoraggiarci dall’intraprendere qualsiasi sforzo di ricerca di nuovi stimoli, di nuovi brani che aprano un pò di più i nostri orizzonti.
In pratica, a furia di risposte pronte e soluzioni facili e di rapido consumo, corriamo il rischio di “rincitrullirci” sempre di più.

Questa considerazione mi fa tornare alla mente una pellicola d’animazione “Wall E”. E’ un film nella cui trama, in seguito all’uso e all’abuso di queste continue facilitazioni, i protagonisti si ritrovano, ad un certo punto, a non essere più in grado nemmeno di camminare perché troppo faticoso e impegnativo. Una delle conseguenze è che lo sforzo di rialzarsi in piedi e riprendere a muoversi fatto da uno dei protagonisti, viene visto come qualcosa di rivoluzionario e sospetto.
Noi facciamo fatica a cogliere la complessità di ciò che ci circonda perché stiamo progressivamente perdendo l’abitudine a farlo.
Se pensiamo che trecento anni fa era abbastanza comune l’andare a vedere e ascoltare composizioni così complesse, occasioni anche di esperienze di vita sociale, viene da sorridere amaramente considerando la semplicità, che spesso rasenta la banalità, di ciò che ci viene quotidianamente proposto dai mass media o dalle varie piattaforme social in termini di musica e non solo.
Ovviamente con questo non voglio affermare che la complessità sia sempre sinonimo di valore artistico. Ma è evidente che molte delle soluzioni ritmiche, armoniche e melodiche di tanta musica che ci viene propinata oggi siano veramente banali.
Viene prodotta anche oggi, ovviamente , musica interessante e creativa. Il problema è che bisogna fare dei passi per andare a cercarla. Bisogna alzarsi come in “Wall E” ed è un’abitudine alla quale stiamo progressivamente rinunciando.

Con questo non voglio nemmeno sostenere che per apprezzare la musica bisogna per forza capire tutto quello che un’opera d’arte, come ad esempio questa Passione, ci può offrire. La musica e l’arte non sono fatte solo per gli addetti ai lavori, ci mancherebbe, ma, soprattutto, per chi sa mostrare curiosità e mente aperta.
Quello che dovremmo fare è farci investire positivamente da questa massa di suono e di bellezza, cercando di intuire come quest’opera , appunto per le sue caratteristiche, sia un’occasione di crescita e di miglioramento perché gli stimoli ai quali ci sottopone sono veramente nutrimento sia per la nostra anima che per la parte più razionale che è in noi.
Prendendo in considerazione un pò più da vicino questa grandissima composizione bisogna innanzitutto rilevare come sia stata quella che ha fatto rinascere l’interesse, all’inizio dell’800, per la musica di Bach, musica che per molti anni, dopo la morte del compositore di Eisenach, era stata del tutto dimenticata.
Come abbiamo già detto nella puntata n.60 fu infatti per merito di Felix Mendelssohn che nel 1829, circa cento anni dopo la sua prima esecuzione, la Passione secondo Matteo venne riproposta al pubblico, seppur in una versione ridotta, con un notevole successo. Questo fu di fatto l’inizio di quella che si può definire , in pratica, la “Bach renaissance”.

L’organico strumentale e vocale, enorme per quei tempi, prevede la presenza di due orchestre, due cori contrapposti, e un coro di voci bianche. Il tutto per creare quasi una sorta di effetto stereofonico, ottenuto anche grazie agli ampi spazi che la chiesa di S.Tommaso a Lipsia, luogo della prima rappresentazione, era in grado di offrire.
Sono inoltre presenti molti solisti che interpretano i vari personaggi: l’Evangelista nel ruolo del narratore, Gesù Cristo, Giuda, Pietro, Pilato, la moglie di Pilato e altri che rivestono di volta in volta vari ruoli tra la folla.
Per quello che riguarda il testo abbiamo, ovviamente, il vangelo secondo Matteo. La sacra lettura viene interpolata da numerosi brani , le cosiddette “arie”, che sono una trentina, il cui testo è stato scritto da un poeta collaboratore di Bach soprannominato Picander, il cui vero nome è Christian Friedrich Henrici.
Fanno parte della composizione anche quattordici “Corali”.
Il “Corale” rappresenta la forma più importante di preghiera, attraverso il canto, della confessione luterana. Lo stesso Lutero infatti, circa due secoli prima, aveva introdotto questi canti su testo sacro, utilizzando però spesso melodie tratte da motivi popolari, per facilitare la partecipazione alle funzioni anche di quei fedeli che non avevano molta dimestichezza con la musica.
La Passione secondo Matteo di conseguenza diventa così quasi un’opera la cui rappresentazione avviene però , ovviamente, senza costumi e scenografie.
Come in un’opera infatti la vicenda viene narrata dall’evangelista, attraverso l’uso di “recitativi” che sono una sorta di “parlare intonato” o “recitar cantando”. Poi ci sono i momenti di commento e riflessione che sono le “arie” cioè le parti più melodiche, e i “corali” che servono a esprimere i sentimenti dei fedeli.

Un aspetto peculiare di questa composizione è dato anche dall’estrema varietà nell’orchestrazione che Bach adopera per accompagnare le numerose arie. Si può dire, infatti, che quasi ogni aria abbia la sua strumentazione particolare e ,di conseguenza, la sua ambientazione sonora.
Numerosi sono infatti gli strumenti che assurgono a ruoli di una certa importanza come i flauti, gli oboi, oppure strumenti ormai desueti come gli oboi da caccia o altri che sono recentemente tornati alla ribalta come la viola da gamba.

E’ ovviamente impossibile sviscerare in un racconto tutti gli aspetti musicali che caratterizzano questo lavoro, però possiamo fare degli esempi che ci aiutino a capire come, in realtà, anche brani che risultano godibili e interessanti ad un ascolto diciamo “superficiale”, nascondano, se analizzati un po’ più attentamente, una vera miniera di sorprese e una complessità di tessitura veramente notevole.
Esemplificativo al riguardo è il brano corale che apre la composizione il cui titolo è “Kommt, ihr Tochter, helft mir klagen”.
Ci sono vari livelli strutturali in questa che potremmo definire introduzione.
Il primo è rappresentato dalle orchestre che dialogano tra loro sfruttando, all’inizio, un pedale statico sul quale la melodia lentamente si espande sia verso l’alto che nei registri più gravi.
Il secondo è caratterizzato dall’ingresso dei due cori che eseguono quella che potrebbe essere quasi una parafrasi delle melodie proposte precedentemente dalle orchestre.
Poi abbiamo un’interazione particolare tra gli stessi due cori in quanto assistiamo ad una serie di domando fatte da un coro con conseguenti risposte fornite dall’altro, in una sorta di dialogo stereofonico. (consiglio l’ascolto del file audio sottostante per cogliere meglio il tutto).
Sopra tutto si innesta infine il corale cantato dal coro di voci bianche che si staglia acuto, con la sua melodia cantabile, su questa massa sonora magmatica e in continuo movimento.
Il risultato complessivo è estremamente godibile nonostante la complessità costruttiva, ulteriore esempio della genialità di Bach.
E’ uno dei più importanti brani corali non solo di quest’opera, ma dell’intera storia della musica e comincia così
Questo inizio stabilisce la cifra stilistica di tutta la rappresentazione ed è un chiaro esempio di maestria compositiva e contrappuntistica di livello eccelso. La cosa più importante però è la sua bellezza, decisamente fuori categoria.
Un altro componente fondamentale nello sviluppo della composizione è rappresentato, come dicevo prima, dalla presenza dei “corali” che permettevano, vista la loro maggiore semplicità melodica, la partecipazione dei fedeli alle funzioni. Sono anche di durata inferiore rispetto agli altri brani e rappresentano le considerazioni fatte dai fedeli riguardo lo svolgersi della vicenda.
Di tutti quello più famoso, che ricorre parecchie volte al punto da essere considerato come il “corale della Passione secondo Matteo”, è quello che potete trovare anche col titolo in inglese di “Oh sacred head sore wounded . Ne abbiamo già parlato sempre nella puntata n. 60 perché la melodia è stata copiata pari pari da Paul Simon che l’ha inserita nella sua canzone “American Tune” ”
Altri pilastri portanti nella costruzione di questo lavoro sono, come detto, i recitativi che rappresentano lo sviluppo dell’azione così come viene raccontato dall’evangelista.
In modo difforme però rispetto ai recitativi presenti nell’opera barocca, spesso statici e non sempre interessanti musicalmente parlando, quelli della Passione secondo Matteo possiedono soluzioni veramente coinvolgenti da un punto di vista drammaturgico. Sovente infatti, nel loro svolgersi, intervengono vari personaggi a commentare e dire la loro sui fatti oggetto della narrazione, in una sorta di dialogo con l’evangelista stesso. Non di rado, inoltre, anche i cori , che rappresentano la folla, sono chiamati ad inserirsi arricchendo ulteriormente l’interesse del recitativo stesso.

Molti sono gli esempi significativi al riguardo.
Uno dei più importanti lo abbiamo nel momento in cui Pilato, incalzato dai sacerdoti, pone il famoso quesito alla folla:” Chi volete salvo, Gesù o Barabba?”.
In questa scena abbiamo dapprima l’intervento della moglie di Pilato e poi del coro, che alla domanda risponde: ” Barabba”.
Questa risposta viene data con un intervento “spot” molto violento durante il quale il coro canta le note di un accordo veramente dissonante che suonate col pianoforte, prima una alla volta e poi simultaneamente, producono questo risultato
Subito dopo quando Pilato chiede: “Che cosa, dunque, debbo fare di Gesù, detto il Cristo?”, il coro risponde: “Che egli sia crocifisso”.
Su questa risposta, che in tedesco suona ancora più aspra, Bach fa partire una piccola fuga nella quale il coro è protagonista, il cui tema è veramente duro e dissonante essendo costruito con note che creano tensione tra loro. Suonate solo al pianoforte queste note sono le seguenti
Questa il recitativo nella sua totalità (anche qua consiglio di seguire attentamente il file audio)
Ancora una volta la bravura di Bach nel rendere musicalmente il racconto è incredibile. Solo questa piccola “fuga” del coro, piccola esclusivamente per la durata ovviamente, rappresenta di per sé già un capolavoro.
Anche le arie costituiscono ulteriori momenti chiave nella costruzione di quest’opera.
Sono episodi di commento di quanto sta avvenendo il cui testo è stato scritto, come dicevo, da Picander. Come tutte le arie operistiche anche queste rappresentano i momenti più lirici ed emotivamente coinvolgenti della rappresentazione.
Quella più famosa, di tutta al Passione è, probabilmente, “Erbarme dich mein Gott”.
E’ l’aria intonata dopo il famoso momento in cui Pietro rinnega per tre volte di aver conosciuto Gesù. Dopo il canto del gallo Pietro esce dal luogo dove di trova per nascondersi e piangere amaramente:
“Abbi pietà di me, mio Dio
In grazia del mio pianto.
Guarda quaggiù.
Core e occhi piangono avanti a te, amaramente”.
In questo brano è previsto un ruolo molto importante per un violino solista che esegue una melodia avvincente ed interessante quanto quella della voce. Abbiamo anche la presenza di una figura retorica musicale molto in voga nel periodo barocco, il famoso “basso di lamento”.
Si tratta di una figurazione con una melodia discendente , affidata ai suoni gravi dell’orchestra, che rappresenta magnificamente, in questo caso, il ripiegarsi dell’anima del protagonista nel dolore e nella sofferenza.
Quest’aria è uno dei momenti più lirici e toccanti dell’intera composizione

“L’analisi del testo musicale ci indica che ogni particolare è ricco di sostanza originale e che incommensurabili sono il calore, la spinta verso l’assoluto, il tumulto dei sensi che si sprigionano da quella massa sonora così equilibrata eppure così vibrante. Abituati come siamo ad avere orrore degli spazi vuoti, delle indeterminatezze, e delle nebbie fluttuanti, possiamo ben comprendere come, nell’organizzare la calda materia, Bach avesse in mente l’intrecciarsi di raggi, fili, immagini che dovevano ritrovare una superiore unità e manifestarsi senza veli, con la chiarezza estatica di un sermone ultimo, di un testamento spirituale”.
Alberto Basso da “Frau Musika”.
Come non condividere le tue considerazioni? Bisogna aver voglia di indagare, voglia di capire ascoltando e riascoltando avvalendosi anche di qualche supporto, media, articoli come questi 😀 , testi specifici, guide. Se poi si ha una base di teoria musicale, l’opera si apprezza nei dettagli compositivi.
Questo è un commento non riferito a questo specifico articolo, ma è un modo per ringraziarti del “sapere” che metti a disposizione.
E’ vero. In realtà in questi anni abbiamo a disposizione possibilità di informazioni e di conoscenze come mai nella nostra storia. Il problema è che spesso non sappiamo sfruttare queste opportunità e ci accontentiamo solo di “grattare” la superficie senza indagare un pò più approfonditamente. Ricambio i ringraziamenti perché anche il tuo è un “lavoro” importante e meritorio.
Mi hai fatto piangere, Sandro, sul serio.
Amo tanto questa Passione di Bach, ne conoscevo il contenuto, la storia, i momenti salienti, ma la tua narrazione è sempre superba e mi ha fatto scoprire aspetti sconosciuti a livello della costruzione musicale.
“Venite, figli miei, aiutatemi a piangere” è una frase, meglio, il verso di una bellezza altamente poetica.
Tutto è potente e struggente. Grazie mille.
Che dire…..grazie veramente per il tuo commento che un po’ mi lascia senza parole. Ma cercando di ritrovarle posso dirti che l’effetto ascoltando e vedendo questo capolavoro dal vivo e’ veramente coinvolgente. Un po’ alla volta si entra in una dimensione “altra” e quando arrivi alla fine cominci a guardare e considerare molte cose in modo diverso. E veramente quel verso che hai citato e’ la quintessenza della bellezza poetica.
Per godere della Bellezza occorre prendersi un tempo che è quello dettato dalla Natura; questo vale per la Musica, per l’Arte in genere e per tutto ciò che la mente e lo Spirito umani cercano per provare ad elevare se stessi. Perché noi stessi siamo Natura, e nessuno come Bach lo sapeva. Tempo fa scrissi parecchio su questo punto; ci ho aperto un blog a tema, praticamente. Perché mi sono resa conto che le persone hanno perso la capacità di stupirsi anche delle Bellezze più evidenti, in nome della fretta, di un ritmo fatto di superficialità che di umano non ha più nulla e di una visione del mondo che è falsata e inumana. Ed è da questo che deriva la frustrazione, la noia, la depressione e la morte interiore. È come rinchiudere un essere fatto per creare universi in una piccola gabbia dove si trova una ruota per criceti; può darsi che quell’essere sopravviva, ma in quali condizioni, con quale qualità di vita? L’impoverimento in termini anche spirituali è spaventoso! E molti oramai salgono su quella ruota anche senza avere una gabbia attorno… vedono solo la ruota e ci continuano a correre, scrollando display e cercando di fare business nel privato come sul lavoro. E tutto il resto non lo vedono più, non lo sentono più; il tempo per farsi le domande e ascoltare le risposte di un coro come questo, di una Musica come questa, anche se fosse l’ultima, vera loro salvezza, non se lo sanno più prendere.
In questo,comedici bene, siamo davvero una specie in regresso, in buona parte oramai completamente rincoglionita (perdona il termine).
Io ho portato gente a vedere i tramonti sulle Pale di San Martino una settimana fa; lo sai cosa hanno visto lassù, al tramonto?
Hanno visto i display dei telefonini e le foto postate in tempo reale su facebook; hanno visto le pose da modelli e le bocche a culo di gallina, i filtri cercati in fretta e furia prima che il sole scendesse, per avere una faccia attraente e ben truccata sui video di tick tock… mentre chiacchieravano di cretinate, facendo un chiasso che per me è infernale, visto che i tramonti li vivo come momenti sacri.
NOn lo farò mai più!! Mai più!! NOn con gente che non sa riconoscere e rispettare il Mondo! E ho smesso di pensare che si possa svegliare chi è già morto; non mi interessa più, perché ho capito che è una lotta inutile. Però consola sapere che c’è ancora chi sa raccontare la Musica ed il sacro con dedizione e competenza. Roba rara!! Perdona la lungaggine, ma Bach fa un po’ questo effetto: risveglia l’emotività, mentre tutto il resto, beh.. risveglia l’indignazione, c’è niente da fare. 😀 😀
Ti capisco e, in realta’ sfondi una porta aperta perche’ conosco bene la situazione. Io pero’ credo ancora nella possibilita’ di incidere su quello che ci circonda e sono convinto che, anche se le tue parole indicano il contrario, ci creda anche tu, anche e soprattutto per il “lavoro” che fai scrivendo.
Ma sì, certo che ci credo… ma ho imparato a “selezionare” preventivamente, diciamo… o meglio, sto imparando. Molto è salvabile, ma credimi, molto altro, io purtroppo lo devo dare per perso. Perché non c’è salvezza per chi non sa di stare sulla ruota e ancor meno per chi non vuole proprio scendere. È triste, ma è così… fosse per me, io li trascinerei tutti sulle montagne e gli farei fare tre mesi di astinenza a suon di camminate e marce sui monti, per disintossicarsi… ma non puoi obbligare nessuno. E io non sono nessuno per pretendere niente da nessuno. Che senso avrebbe? La scelta deve venire da dentro, spontaneamente, altrimenti che valore ha? E comunque se è una scelta imposta, non ci sarebbe risultato. Perché mancano le basi, la necessaria consapevolezza. E ti assicuro che in molti casi non se ne vede nemmeno un barlume 🙁 E pazienza…