Mapp Collezione storica di arte a quattro mani
Maffei- Recupero
Bill Evans: un maestro nella
costruzione del discorso
Tredicesima puntata
Come quei lunghi raggi dorati della sera che lasciano
Il mondo un po’ più ampio e più puro dopo di loro
Sotto il trillo esaltato di un mughetto, posso
Partire ora senza fretta, senza tristezza.
Tutto diventa trasparente. Anche in una giornata densa
Si schiarisce e in alcuni punti fa brillare una lacrima
Felice tra le ciglia della notte che disarma.
Nessun sogno, nessun sonno. Niente più attese.
La Pace.
Così scrive Jacques Réda, critico di jazz e poeta francese nella raccolta “Tombeau de Bill Evans” riferito a un brano dello stesso Bill Evans intitolato “Peace Piece” cioè un pezzo per la pace.
Il brano oggetto di questa tredicesima puntata è, appunto, un brano del pianista Bill Evans (1929-1980), composto nel 1959 per un album intitolati “ Everybody Digs Bill Evans” registrato con il suo trio che comprendeva Sam Jones al contrabbasso e Philly Joe Jones alla batteria.

Il brano è stato registrato più o meno nel periodo in cui Bill Evans stava collaborando con Miles Davis alla realizzazione del famosissimo album “Kind of Blue” del quale abbiamo ampiamente parlato nei capitoli dedicati a Miles Davis stesso.
Uno dei motivi contingenti per la scelta di questo brano è che il titolo in se è molto significativo, in questo periodo, un pezzo per la pace, appunto.
Ma l’elemento più importante che mi ha spinto a parlare di questo brano è il fatto che, dal mio punto di vista, questo pezzo rappresenta un po’ l’idea di musica “crossover”, una musica cioè che supera la distinzione in generi utilizzando linguaggi e idee appartenenti a mondi diversi diversi.
Questo perché l’autore, Bill Evans, è un pianista jazz, sostanzialmente, ma con una preparazione e un background anche classico. Nel suo percorso di studi ha affrontato molti autori classici, e in questo brano, come vedremo più avanti, queste influenze ci sono, eccome.
Peace Piece, non ha una struttura ben definita in quanto si tratta di una libera improvvisazione che si basa su due elementi.
Il primo, eseguito dalla mano sinistra, si può definire un “Ostinato”, cioè qualcosa che si ripete, ostinatamente appunto, in questo caso per tutta la durata del brano stesso.
Questo ostinato è costituito dalla ripetizione di due accordi, abbastanza semplici, di Do e Sol, accordi che costituiscono i pilastri fondamentali su cui si basa il nostro sistema musicale.
L’altro elemento, che si innesta su questo pedale ostinato, è determinato dalle frasi eseguite dalla mano destra il cui progressivo svilupparsi rappresenta il motivo di principale interesse di questo brano.
L’ideazione di questa composizione è stata abbastanza particolare nel senso che Bill Evans stava cercando un brano introduttivo a una melodia tratta da uno spettacolo di Broadway , melodia composta da Leonard Bernstein. L’idea che trovò , però, gli piacque a tal punto che divenne un brano a se stante che, tra l’altro, non venne quasi mai più eseguito successivamente se non in rarissime occasioni. Una di queste fu quando gli venne chiesto da una compagnia di danza, di eseguirlo all’interno di una coreografia molti anni più tardi.
Ma entriamo nel vivo e ascoltiamo cosi si intende per ostinato. Il brano comincia con questi due accordi che si ripetono per tutta la sua durata.
L’idea di questo ostinato non è nuova, e non è di Bill Evans. Molto probabilmente l’ha assimilata, nel corso dei suoi studi classici, e fatta propria.
E’ un’idea, infatti presente già in un brano di un grande pianista-compositore dell’Ottocento, Fryderyk Chopin (1810-1849), che in uno dei suoi brani, la Berceuse in Re bemolle maggiore, berceuse sta più o meno per ninna nanna, sfrutta anche lui l’idea di due accordi che si ripetono costantemente. Questo è l’inizio….
Anche un altro musicista che Bill Evans conosceva senza ombra di dubbio e che amava molto, Erik Satie (1866- 1925) in uno dei suoi brani più famosi le Gymnopedie utilizzava la stessa idea. Eccola…….
Questo primo brano tratto dalle Gymnopedie, è un brano bellissimo che vi consiglio di approfondire perché ne vale la pena essendo molto vicino al nostro modo di sentire e alla nostra sensibilità.

E non un caso che un collega di Bill Evans abbia definito questo brano come un insieme di Erik Satie, Debussy e Bill Evans stesso, per dare una visione globale di questa composizione.
Ma dove questo brano diventa Bill Evans?
Lo diventa nella costruzione melodica delle frasi.
Peace Piece è un gioiello dal punto di vista della struttura del discorso perché le frasi partono semplicissime, addirittura con due note, e si arricchiscono man mano in modo sempre più complesso lasciando però ampi spazi all’immaginazione di chi ascolta perché il “non detto” è altrettanto importante di ciò che viene suonato.
Questo è un esempio…..
L’altro aspetto che si coglie è che queste frasi che diventano man mano più articolate e complesse, sono tutte, fino a un certo punto, molto consonanti cioè sono fatte di note che stanno “bene” su questa base di due accordi.
Eccone un esempio
Queste frasi consonanti le troviamo per tutta la prima parte fino al minuto 3 e 40 più o meno (il brano dura circa 6 minuti e mezzo).
A questo punto Bill Evans introduce alcuni elementi dissonanti, di disturbo, che creano tensione con l’ostinato di base. Questo è un ulteriore esempio del meccanismo propulsivo della musica come di tutte le altre arti: conferma e sorpresa. Il brano sembra “andare da un’altra parte”, lascia la strada maestra e affronta territori sconosciuti creando sorpresa, diventando più intrigante e distaccandosi completamente dagli esempi che abbiamo sentito di Chopin e Satie. Ecco l’esempio
In questa seconda parte il brano diventa molto più jazz. jazz nella sua accezione più autentica, cioè di una musica che va ad esplorare strade e situazioni sconosciute fino a quel momento per il brano stesso.
Poi, con un arco perfetto di costruzione delle frasi, pur completamente improvvisato, il brano ritorna, verso il finale, alla consonanza e quindi alla conferma dove si chiude il discorso
E’, ovviamente un brano che va ascoltato con calma e molto attentamente come si fa con qualcosa di estremamente prezioso e delicato.
Un’altra cosa importante da notare, ascoltando il brano per intero, è l’uso della dinamica che diventa elemento fondamentale per dare rilievo alle varie frasi. Bill Evans utilizza tutta la tavolozza dei volumi a sua disposizione, dal piano, a volte molto piano al forte, con molte sfumature intermedie così come solo i grandi sanno fare.
E’ abbastanza logico, a questo punto, capire il perché Bill Evans non abbia più voluto suonare questo brano, tranne in quelle rare occasioni di cui vi parlavo.
Non solo perché è completamente improvvisato ma soprattutto perché è frutto di un’ispirazione momentanea.
E’ un ritratto, la fotografia di un attimo. Irripetibile.
È diventato, in ogni caso un brano molto famoso, utilizzato, come parte della colonna sonora, anche in alcun i film, tra cui uno del 2017 con Denzel Washington e Colin Farrel intitolato “Roman J. Israel, End of Justice”.
È anche stato oggetto di alcune riproposizioni, alcune con formazioni completamente diverse, come ad esempio una versione del flautista Herbie Mann eseguita solamente con una serie di flauti sovrapposti.
Ne esiste una, interessante del quartetto d’archi Kronos Quartet, che ha registrato il pezzo trascrivendolo completamente. Ecco qui……
Il risultato è particolare. Devo dire che, nonostante il quartetto d’archi mi piaccia molto, in questo caso però a me manca l’attacco delle note, tipico del pianoforte che è uno strumento a corde percosse quindi con un attacco pronunciato. Il risultato mi sembra un’atmosfera un po’ troppo agreste con una certa mancanza di peso e di corpo sotto, ma questa è un’opinione del tutto personale, ovviamente.
Invece una delle operazioni più interessanti che sono state fatte con questo brano, e non a caso parlo di operazioni e non di cover, riguarda una versione fatta lo scorso anno, 2021, in un disco molto bello “Black Acid Soul” fatto da una cantante, Marley Munroe, con lo pseudonimo di Lady Blackbird.

È particolare perché, in realtà lei, con il suo produttore stava cercando un’idea per un brano da mettere nell’album quando, ascoltando Peace Piece, ha cominciato a improvvisare una melodia vocale cui ha, successivamente, aggiunto un testo. Il risultato è un brano originale, il cui titolo è “ Fix it”.
È un’operazione molto rischiosa perché per mettere le mani su un brano di questo tipo bisogna avere del fegato, ma devo dire interessante e riuscita, merito sia della voce spettacolare di Lady Blackbird sia, soprattutto del grande rispetto e amore che lei ha avuto per questo brano. Vi faccio sentire l’inizio di questo incontro
Questi sono due mondi che si incontrano a distanza di sessant’anni e uno di questi due mondi ha radici ancora più lontane nel tempo. Sono culture che si confrontano e generi musicali diversi che trovano un filo conduttore comune come accade sempre quando artisti veri, e tutti quelli che abbiamo nominato oggi lo sono, si concentrano sul loro lavoro non badando a differenze di genere o stile ma andando all’essenza del discorso musicale.
Questo è anche ciò che questi artisti ci chiedono di fare. Ci invitano a non fossilizzarci su un genere ma ad aprire la nostra mente e la nostra sensibilità per prendere quanto di buono e interessante la musica ci può offrire in tutte le sue forme.
Ci indicano la strada da seguire.
Detto questo, ciao a tutti e…..fate i bravi.