Francesco Fregapane
Puntata numero settantatré
Agli inizi degli anni 60, in un’intervista pubblicata sulla prestigiosa rivista di jazz “Down Beat”, il famoso sassofonista John Coltrane così rispose ad una domanda riguardante la sua poetica artistica:
“Penso che la cosa principale che un musicista vorrebbe fare sia dare all’ascoltatore un quadro delle tante cose meravigliose che conosce e sente nell’universo. Questo è ciò che la musica è per me. È uno dei modi di dire che l’universo in cui viviamo, che ci è stato dato, è grande e bello”.
Questa volta la nostra storia comincia alla fine degli anni 50. Più precisamente nel novembre del 1959.
In quel mese, infatti, debutta a Broadway un musical scritto da due tra i più importanti e prolifici autori di questo genere, due “songwriters” di eccezione: Richard Rodgers e Oscar Hammerstein.

Il titolo di questo spettacolo è “The Sound of Music”.
Magari a qualcuno di voi questo titolo non dirà molto, ma se avrete un po’ di pazienza vedrete che la “matassa” comincerà lentamente a dipanarsi.
Questo musical diede origine, verso la metà degli anni 60, all’omonimo film il cui titolo, nella versione italiana, venne tradotto in modo abbastanza bizzarro con “Tutti Insieme Appassionatamente”.
La protagonista principale della pellicola era la famosissima Julie Andrews.
Sia nel musical che nel film troviamo, tra le altre, una canzone che ha avuto una fortuna commerciale grandissima. Il suo titolo è “My Favorite Things”, tradotto in italiano con “Le Cose che Piacciono a Me”.

A questo punto penso che molti di voi cominceranno ad intuire di che tipo di brano si tratti.
La vicenda del musical non è ambientata negli Stati Uniti, bensì in Europa e, più precisamente in Austria tra le due guerre mondiali. Questo è un fattore importante perché nel testo sono presenti molti riferimenti ad un immaginario tipicamente alpino: guanti di lana, bollitori del tè, slitte trascinate dai cavalli, strudel e tanti altri.
L’altro aspetto importante, questa volta da un punto di vista più prettamente musicale, è che, sempre per rendere al meglio l’ambientazione europea , il ritmo di questo brano è un valzer.
Pur essendo una canzone semplice e chiara nel suo sviluppo ha una peculiarità, per quello che riguarda la forma, che si rivelerà importante.
A differenza di altri brani della tradizione nordamericana la cui struttura tipica è A A B A, strofa, strofa, ritornello e strofa, questa canzone si presenta nel seguente modo A A A’ B.
Per inciso ricordo che le strofe delle canzoni hanno tra loro uguale musica ma testo diverso, mentre i ritornelli differiscono dalle strofe sia come musica che come testo e, ovviamente, tra loro sono uguali.

In questo caso la strofa viene ripetuta due volte (A-A) poi abbiamo una terza ripetizione leggermente diversa (A’), vedremo più avanti in che modo, e infine la parte B a chiudere la struttura.
Questi potrebbero sembrare dettagli ma si riveleranno particolari importanti nel proseguo del racconto.
A questo punto direi di ascoltare l’inizio il brano così come lo ha interpretato Julie Andrews nel film. Tenete presente che nel film lei lo canta a dei bambini mentre nel musical la canzone viene eseguita quasi all’inizio in un contesto totalmente diverso
La versione italiana, cantata da Tina Centi si presenta con questo testo per la prima A:
“Gocce di pioggia sul verde dei prati,
sciarpe di lana, guantoni felpati,
più che il sapore, il colore del the
ecco le cose che piacciono a me”
Mentre la parte B presenta il messaggio più positivo ed ottimistico:
“Se son triste, infelice, e non so il perché
io penso alle cose che amo di più
e torna il seren per me”
Si tratta, come avete potuto ascoltare, di’ una canzoncina allegra e spiritosa.
Rimane difficile capire come un brano di questo tipo sia stato “preso” agli inizi degli anni 60 da un musicista molto importante nel mondo del jazz come John Coltrane conosciuto anche per il suo impegno culturale, sociale e spirituale, diventando così uno “standard” universalmente apprezzato.

Dopo la sua versione, che ha avuto anche un notevole successo commerciale, “My Favorite Things” è entrata di prepotenza nel repertorio di molti artisti non solamente nel campo del jazz ma anche di altri generi musicali.
In realtà Coltrane, uno dei più grandi nella storia del jazz, aveva l’udito “molto lungo” e aveva colto alcune caratteristiche che rendono questo brano particolare e, se vogliamo, unico.
La prima riguarda l’aspetto ritmico.
Questa canzone infatti, come detto, è un valzer. Quindi utilizza un tempo ternario che è poco usuale nel jazz. Questo genere di musica si basa, molto spesso, sul ritmo di quattro quarti, quello che gli americani chiamano “common time”.
Per capirsi il ritmo di valzer, nella sua versione europea, è questo
E’ un ritmo molto “appoggiato”, con l’accento sul primo movimento in modo che gli altri due risultino meno marcati.
Nel jazz invece abbiamo un andamento più sincopato. L’enfasi viene spostata sulla parte in levare del movimento. Il ritmo viene così definito “Jazz Waltz” è suona, con mille varianti, più o meno in questo modo
Ma la caratteristica peculiare di questo brano è un’altra, e richiede un discorso un po’ più approfondito che, spero mi scusiate, diventa un po’ tecnico. Cercherò comunque di affrontarlo nel modo più semplice possibile.

E’ infatti il momento di cercare di capire perché la terza sezione del brano viene definita A’ e non, semplicemente A, come le altre due.
La melodia, come avete potute sentire, è uguale per tutte le prime tre strofe ma la differenza importante riguarda quello che “sta sotto” la melodia è cioè gli accordi che la sostengono.
Le prime due strofe, infatti, sono in tonalità minore, per l’esattezza MI minore. La terza strofa invece utilizza la tonalità che parte dalla stessa nota, MI, ma, questa volta nella sua versione maggiore.
Per cercare di capirci possiamo dire che il nostro mondo musicale, così come lo conosciamo ad esempio nelle canzoni, è costituito sempre da due “colori”, quello maggiore o quello minore.
Gli accordi, nella loro versione più semplice, sono costruiti utilizzando tre note che vengono suonate contemporaneamente.
Tra un accordo maggiore e uno minore cambia solamente la nota di mezzo mentre le altre due rimangono invariate. (ovviamente vi consiglio di ascoltare il file che segue)
Come avete potuto ascoltare spostando verso l’acuto o il grave la nota che sta nel mezzo ottengo un risultato completamente diverso.
In pratica l’accordo iniziale delle prime due strofe di My Favorite Things è MI minore che è costituito dalle note Mi-Sol-Si. L’accordo della terza strofa è, invece, MI maggiore le cui note sono Mi- Sol diesis (un sol spostato verso l’acuto di un tasto) Si.
My Favorite Things ha una peculiarità che permette questo passaggio dalla tonalità minore a quella maggiore. La sua melodia infatti non tocca mai la nota che determina il cambiamento tra maggiore o minore, in questo caso il Sol. Questo rende possibile eseguire la stessa linea melodica su entrambi i tipi di accordi.
La melodia accompagnata da un accordo minore suona così
Questa è invece la versione in maggiore

Questo aspetto rende ovviamente molto interessante per un improvvisatore di razza come John Coltrane passare da un mondo minore a uno maggiore e viceversa, mantenendo invariata la nota di partenza. Fondamentale, al riguardo, è l’interscambio emozionale e musicale con i compagni di avventura. In questa incisione sono McCoy Tyner al pianoforte, Steve Davis al contrabbasso e il vulcanico Elvin Jones alla batteria.
Questa è infatti la formazione che ha suonato non solamente in questo brano ma in tutto l’album omonimo che si è rivelato uno dei più iconici del jazz della seconda metà del 900.
L’inizio di My Favorite Things ci da subito un’idea precisa del mondo sonoro che questo brano svilupperà
Come si può notare c’è una certa fissità di fondo. Il contrabbassista continua, imperterrito, ad eseguire un ritmo sulla stessa nota Mi, che è la fondamentale , incurante dei cambi di accordo del pianista. Il risultato è una specie di “pedale” ritmico-armonico. Questo è una dimostrazione di un altro aspetto peculiare della poetica di John Coltrane, la sua fascinazione per la musica indiana e per quella di Ravi Shankar in particolare. Abbiamo già incontrato questo straordinario musicista nella Mollica n. 49 riguardante l’album “Passages” composto assieme a Philip Glass. la sua influenza sulla musica di Coltrane diventerà sempre più determinante nell’ultimo periodo della carriera del sassofonista.

Altra peculiarità di questa esecuzione è che John Coltrane utilizza uno strumento fino ad allora poco usato nel jazz: il sax soprano. E’, come dice il nome stesso, il rappresentante con il suono più acuto di tutta la famiglia dei sassofoni ed è l’unico diritto. Non ha cioè s la caratteristica “pipa” ricurva che caratterizza tutti gli altri. Questo strumento così penetrante diventerà, dopo questa incisione, molto popolare tra i sassofonisti che partendo dall’esempio di Coltrane troveranno poi una propria strada e una sonorità personale.

Tra l’altro sembra che sia stato proprio Miles Davis durante una tournée europea, a regalare il primo sassofono soprano a Coltrane incitandolo a espandere i propri orizzonti sonori.
Una cosa che ho tralasciato di sottolineare, infatti, è che John Coltrane era appena uscito dalla band di Davis dopo aver registrato quell’album meraviglioso e fondamentale nella storia del jazz il cui titolo è “Kind of Blue”.
Altra cosa da sottolineare è che in questa versione di My Favorite Things la cui durata supera i 13 minuti, a fronte dei due e mezzo della versione cinematografica, la forma del brano viene modificata.
Vengono infatti continuamente ripetute le sezioni A, sia le “normali” che le A’ mentre la parte B non viene mai eseguita se non, come vedremo, alla fine del brano.

In questo modo assistiamo a un continuo passare tra il “mondo” maggiore e quello minore. Gli assoli si susseguono su questa struttura fluida. Oltre a quelli di Coltrane sono particolarmente interessanti i “soli” di di McCoy Tyner. E’ un pianista estremamente moderno che in questo caso suona quasi con una tecnica minimalista, in modo molto ritmico, lasciando molto spazio tra le note
In definitiva questa è una versione che va a scavare quasi tutte le possibilità che il brano offre. E’ come prendere un limone e spremerlo fino alla fine per ricavarne tutto il succo. Del resto, lo stesso Coltrane ha affermato:
“Questo valzer è fantastico. Se lo suoni lento senti un elemento di gospel che non è per niente sgradevole. Se lo suoni veloce possiede altre innegabili qualità. E’ molto interessante scoprire un terreno che si rinnova a seconda dell’impulso che gli dai”.
Per quanto mi riguarda questa affermazione rappresenta la quintessenza non solamente del jazz ma di tutta la musica improvvisata.
Altra cosa interessante, cui accennavo prima, è che la sezione B del brano viene suonata solo una volta, alla fine dell’esecuzione. E’ interessante notare come questa parte che contiene il messaggio più positivo nel testo e , nella versione originale, è in maggiore. John Coltrane la suona, per converso, in minore con un effetto destabilizzante del tutto in contrasto rispetto a quanto offerto dall’originale.
Lo stesso Coltrane ha ripreso più volte dal vivo questo brano registrandone anche alcune delle performance più significative. Molti altri artisti, seguendo il suo esempio, hanno inserito questa canzone successivamente nel loro repertorio.

Tra le innumerevoli esecuzioni voglio segnalarvene una veramente agli antipodi rispetto a quella di John Coltrane, anche se un sottile filo le lega, ma ugualmente interessante, bella e, soprattutto, estremamente intrigante.
È eseguita dalla cantante jazz sudcoreana, Youn Sun Nah.

La sua versione è minimalista, asciutta ma di notevole impatto. In pratica lei canta accompagnandosi solamente con uno strumento particolare, la kalimba. E’ uno strumento a lamelle di metallo intonate monofonico, che può cioè suonare solo una nota alla volta e quindi non può fare accordi.

Lei suona continuamente una frase di quattro note che ogni tanto varia leggermente. Questo “pedale” è il filo che lega questa versione a quella di Coltrane.
Per il resto il brano è dominato dalla suono della voce molto bella ed estremamente coinvolgente
Questa atmosfera e questa fissità melodica vengono mantenute anche durante la parte B che acquista così un sapore veramente straniante.
Questa è un’ulteriore dimostrazione di quanto lo stesso brano possa essere ripreso, rivisto, ripensato e riproposto in modo completamente diverso a seconda della sensibilità, delle capacità e della poetica di chi lo esegue. E artisti così lontani nel luogo e nel tempo, Youn Sun Nah non era ancora nata quando Coltrane ha inciso My Favorite Things, hanno ovviamente una modalità diversa di approcciarsi alle cose.
Questo è il bello della musica. Al riguardo mi tornano alla mente le parole dette da Annie Lennox cui accennavo nella “Mollica” precedente. Si riferivano allessere “genre fluid” per quello che riguarda le scelte musicali. Lei lo affermava con particolare riguardo ad un brano composto più di trecento anni fa, ma la definizione calza a pennello anche in questo caso.
Queste due versioni di My Favorite Things, così diverse anche se legate da un filo sottile, testimoniano quanto sia bello ed interessante andare a scavare per trovare all’interno di un brano musicale dei significati che, a volte, anche lo stesso autore non ha visto.
Grazie, molto suggestiva questa interpretazione.
Sono d’accordo. E’ come dare nuova linfa ad una pianta. Grazie per aver letto il racconto.
Affascinante racconto.
Molto stimolante.
Grazie
Sono contento tu l’abbia trovato interessante. Grazie a te per il commento.
Grazie per la bella disanima di uno dei capolavori di Coltrane, in assoluto il mio musicista preferito. Coltrane del resto ha spesso reinterpretato canzoni popolari rendendole, con il suo genio, dei capolavori assoluti (si pensi ad es. a Chim Chim Cheree).
Senza dubbio uno tra i piu’ grandi del jazz nonche’ un innovatore che ha influenzato moltissimi musicisti. Grazie a te per aver letto e apprezzato.
Grazie per l’analisi avvincente anche per gli esempi con le note. Molto interessante e utile per approfondire il piacere della musica..
Sono contento ti sia piaciuto perche’ lo scopo e’ proprio quello: avvicinare all’ascolto in modo piu’ consapevole. Grazie per il tuo commento.
ripassare e ripetere le basi è importantissimo per me. Ottimo!!
…ed è una take One…
Come si dice…. “buona la prima”.
Mi sono tenuta questo podcast per questa sera tarda… io non so se è un problema mio, ma secondo me, il jazz va ascoltato di notte. I racconti di musica come questo, poi, mi sembrano più comprensibili senza le distrazioni del giorno. L’immaginario alpino del film me lo ricordo benissimo e penso di averlo visto almeno tre volte da piccola. Nella mia totale ignoranza, la divisione del mondo musicale in due settori, io non sapevo nemmeno che eistesse. MI è venuto in mente il mondo descritto dagli ermetisti (così in alto come in basso). E una cosa: il pezzo jazz di Coltraine ce l’ho su un cd e l’ho ascoltato mille volte, senza mai riuscire a ricollegarlo al film che avevo visto da piccola… dimmi se devo preoccuparmi. Io non ho nessuna meoria per i titoli e per i nomi, ma di solito riconosco abbastanza in fretta la musica… tranne questa volta. Forse perché le due versioni sono collocate in due contesti e in due tempi completamente diversi della mia vita. Vai a sapere. Oppure è alzheimer, ma spero di no. 🙁 Comunque sia, preferisco la versione di Coltraine, con rispetto parlando per Julie Andrews. La versione di Youn Sun Nah è meravigliosamente ipnotica.
Non ti devi preoccupare, assolutamente. I due mondi musicali sono completamente diversi e l’operazione di rilettura di Coltrane e’ cosi’ profonda che, in pratica, e’ quasi una riscrittura del brano. Del resto, come dico alla fine del racconto il bello della musica e’ che ha bisogno di un interprete per venire alla luce e spesso chi la esegue ci vede cose sconosciute anche a chi l’ha composta. E questo vale anche per la versione di Youn Sun Nah.
Ti leggo, ti ascolto e ogni volta maledico il tempo che non mi permette di farlo più spesso. Come racconti tu la musica non ce ne sono molti in giro. Maestria, sensibilità e passione fanno dei tuoi articoli dei veri e propri brani di musica a sé.
Coltrane è stato un grande con questa canzone, è molto bella anche la versione della Kalimba, veramente sorprendente.
Grazie, Sandro. Alla prossima e spero a breve.
Mi fa estremamente piacere, ovviamente, che trovi interessante quello che faccio. Cerco di trasmettere quello che provo perche’ la musica e’ importante “sentirla col cuore” e non e’ necessario sempre capirla. “To feel” e’ piu’ importante di “To hear”. Del resto mi sembra che questo sia quello che fai anche tu quando pubblichi i tuoi lavori. Grazie Marina.