Uno dei brani significativi di un artista tra i più geniali della musica leggera

Puntata numero settanta

“Anni fa molti mi dissero: ‘Tu hai tre tare: sei cieco, nero e povero’. Ma Dio mi ha detto: ‘Io ti arricchirò dello spirito di ispirazione, per trasmetterla ad altri e perché con la tua musica tu possa incoraggiare il mondo a perseguire l’unità, la speranza e la positività’. Ho creduto a Lui e non a loro”. 

Questo è l’aneddoto che un divertito Stevie Wonder raccontò nel 1996 quando ricevette la “Laurea di Dottore della Musica” ad honorem, presso l’Università dell’Alabama, a Birmingham, negli Stati Uniti.

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L’idea di   questo racconto su Stevie Wonder, e su una sua canzone in particolare, mi è venuta, in pratica, mentre stavo concludendo la puntata precedente, quella su Bob Marley e sul Reggae. Il motivo… “lo scopriremo solo vivendo”, proseguendo in questa lettura, come raccontava Lucio Battisti in un suo famosissimo brano, il cui testo è di Mogol.

Stevie Wonder e Bob Marley nel 1975

Stevie Wonder è un cantante, ovviamente, un compositore, altrettanto ovviamente e un bravissimo polistrumentista, non altrettanto ovviamente.

È uno degli artisti più importanti, non solo di quella che viene definita “black music”, ma di tutta la musica leggera, e, soprattutto, della sua evoluzione. Le sue composizioni, le sue canzoni, sono una costante ricerca di fusione e contaminazione tra vari generi, Soul, Funk, Pop, Jazz, Rhythm and Blues e, appunto, Reggae.  

Le caratteristiche che lo differenziano, inoltre, da molti importanti artisti di questo genere di musica non sono tanto la vocalità, peraltro straordinaria, né la sua notevole inventiva melodica, quanto la preparazione musicale e la sua conoscenza profonda dei meccanismi di composizione della musica. È un musicista “coi fiocchi” e molte sue canzoni contengono soluzioni armoniche, riguardanti cioè la struttura di accordi, e ritmiche, veramente di prim’ordine.

È una ricchezza di vocabolario musicale che non ha molti eguali anche in artisti altrettanto conosciuti e popolari del panorama musicale degli ultimi anni.

Talento precocissimo, al punto che uno dei suoi primi album ha come titolo “Recorded Live, the 12 Year Old Genius”, nasce nel 1950 e già nel 62 pubblica due dischi molto raffinati che contengono arrangiamenti sofisticati come parti di jazz orchestrale. Da subito si dimostra polistrumentista suonando pianoforte, percussioni, batteria e l’armonica cromatica in modo del tutto professionale.

Dopo questo inizio al fulmicotone decide di interrompere momentaneamente il suo percorso discografico per approfondire gli studi musicali soprattutto quelli riguardanti il pianoforte classico.

Quando decide di riprendere la sua carriera discografica opera già una svolta, che determina il suo primo salto di qualità.

Non si accontenta più, infatti, di produrre dischi con una compilation  di canzoni a se stanti ma, spinto dall’esempio e dall’ascolto di uno dei primi concept-album mai prodotti, il capolavoro ”What’s Going On” di Marvin Gaye, decide di produrre album che siano raccolte coerenti di canzoni tese a sviluppare, ognuna con le proprie caratteristiche, tematiche simili.

Volevo parlarvi però, in particolare, di quello che da molti viene definito “The Classic Period” di Stevie Wonder: gli anni che vanno dal 1972 al 1976.

In questo lasso di tempo produce ben cinque album. Da questi vengono estratti otto singoli che arrivano al primo posto delle classifiche, e, complessivamente, questi album vincono ben dodici “Grammy Awards”. E’ una cosa del tutto inusuale per quel periodo e impensabile ai giorni nostri.

Il primo di questi dischi è “Music of my Mind” del 1972. Contiene, tra gli altri, un brano, “Superwoman”, che ha una durata inusitata, ben otto minuti. E’ un chiaro esempio della volontà  di superare i limiti di minutaggio imposti dal mercato discografico per poter sviluppare un discorso musicale coerente.

In questa canzone lui suona tutti gli strumenti ad eccezione della chitarra. Questa è una caratteristica che ritroveremo in molti brani dei dischi di questo periodo. Spesso infatti si cimenterà come raffinato polistrumentista.

Il successivo album è uno dei più famosi della storia della musica leggera :” Talking Book”.

Contiene, per darvi un’idea, brani come “You are the Sushine of my Life“, dedicato alla moglie che canta anch’essa, composto a soli ventidue anni

You are the Sunshine of my Life

Altra caratteristica di questi album è  l’utilizzo che Stevie Wonder fa sia di nuove apparecchiature musicali,  come i primi sintetizzatori,  sia della sonorità di alcuni strumenti particolari come il piano elettrico o il Clavinet, che costituiranno la cifra stilistica del “sound” globale di questo periodo.

Clavinet

Il Clavinet ha un suono molto secco e ritmico che caratterizza, ad esempio, tutta la sonorità di questo brano che, immagino, non ha bisogno di presentazione

Superstition

Ci sono inoltre, nelle sue canzoni, momenti che denotano un forte impegno politico e sociale e questo è un altro indizio del fatto che la sua strada e quella di Bob Marley, sono destinate, prima o poi ad incrociarsi.

A questo proposito nel brano “Big Brother” c’è un preciso attacco all’allora presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon. In altre canzoni stigmatizza il razzismo e denuncia le condizioni de vita della gente di colore negli U.S.A.

Martin Luther King

Sua è anche, come vedremo più avanti, la campagna per fare in  modo che la data di nascita di Martin Luther King, diventi un giorno di festa in America.

Questo impegno sociale diviene manifesto in uno dei brani di “Innervision”, l’album successivo.

Si intitola “Living for the City”, uno dei più sofferti dell’intera sua discografia. Il testo rappresenta una drammatica denuncia delle discriminazioni razziali:

“Un ragazzo nasce nel difficile Mississippi
Circondato da quattro mura che non è così bello
I suoi genitori gli danno amore e affetto
Per mantenerlo forte, muovendosi nella giusta direzione
Vivere quanto basta, quanto basta per la città

Suo padre lavora alcuni giorni per quattordici ore
E puoi scommetterci, guadagna a malapena un dollaro
Sua madre va a pulire i pavimenti per molti

E faresti meglio a crederci, difficilmente ottiene un centesimo
Vivere quanto basta, quanto basta per la città”

Il successivo album “Fulfillingness First Finale” del 1974 pur essendo considerato un po’ inferiore ai precedenti viene premiato con ben cinque “Grammy Awards” e gli viene assegnato il titolo di “Disco dell’anno”.

Dopo un anno di pausa arriva, nel 1976, quello che viene considerato “la summa” della sua produzione.  Stevie Wonder pubblica, infatti, “Songs in the Key of Life”, un album doppio con allegato un EP di quattro brani.

E’ un disco con ospiti straordinari come Herbie Hancock al piano, del quale abbiamo ampiamente parlato nella puntata n. 53 dedicata a “Cantaloupe Island” e George Benson alla chitarra.

Contiene innumerevoli brani famosissimi tipo questo, dedicato alla sua bambina, “Isn’t She Lovely”

Isn’t She Lovely

Molti di questi brani sono stati  oggetto di cover da parte di artisti di fama internazionale. “I Wish”, ad esempio, è stato reinterpretato anni dopo da Will Smith.

Uno di questi, in particolare, ha una storia interessante. Si intitola “Pastime Paradise

Pastime Paradise

Come avete potuto sentire ha una sonorità moderna pur essendo stato composto alla metà degli anni 70.

Stevie Wonder e Coolio

La sua melodia è abbastanza conosciuta anche perché circa vent’anni dopo il rapper Coolio ha preso questo brano campionandone alcune parti, il tutto col permesso di Stevie Wonder, e lo ha fatto diventare “Gangsta’s Paradise”, una delle maggiori hit degli anni 90. La canzone è stata anche inserita nella colonna sonora di alcuni film e ne esiste una versione “live” cantata da entrambi veramente notevole

Gangsta’s Paradise

Dopo il successo planetario di questo doppio album il “Classic Period” finisce.

Negli anni successivi Stevie Wonder pubblica un album molto particolare “The Secret Life of Plants”. Si tratta di un album doppio, uscito nel 1979,  che è lacolonna sonora di un documentario.

La cosa non sarebbe così particolare se non fosse che, come tutti sanno, Stevie Wonder è cieco quasi dalla nascita causa una retinopatia aggravata dalla troppa presenza di ossigeno nell’incubatrice. Questo straordinario personaggio ha composto la colonna sonora di un film che non poteva vedere seguendo il racconto del regista che gli raccontava dettagliatamente tutte le scene.

Questo album così particolare, poco considerato sia dal pubblico che dalla critica, è stato uno dei primi, nella storia, ad essere registrato completamente in digitale. Ulteriore dimostrazione dell’attenzione verso lo sviluppo della tecnologia riferita alla musica che Stevie Wonder ha sempre avuto.

A questo punto arriviamo a parlare di “Hotter than July”, disco del 1980 che contiene, tra gli altri, il brano oggetto di questo racconto: “Master Blaster”.

Per cercare di capirlo un po’ non si può prescindere dal fatto che nella seconda metà degli anni 70 Stevie Wonder aveva stretto un’amicizia e una collaborazione con Bob Marley e ne aveva, in parte, subito l’influenza.

“Master Blaster” è, in sostanza, un brano che risente molto della comunione di vedute con Bob Marley sia per lo stile, il ritmo è praticamente un “reggae”, che per il contenuto del testo, come vedremo.

Questo brano mi da anche l’opportunità di parlarvi un po’ della struttura-canzone in generale perché dimostra, in maniera evidente, come Stevie Wonder sappia sfruttare benissimo le possibilità insite in questa forma per riempirla di contenuti rendendo così efficaci le sue idee musicali.

Una canzone, generalmente, è costituita da:

 Introduzione

 Strofe (che tra loro hanno uguale musica ma testo diverso),

 Ritornelli (uguali tra loro e diversi sia musicalmente che come testo dalle strofe stesse),

Bridge (o parti di raccordo)

 Coda.

La padronanza della struttura-canzone permette a Stevie Wonder di comporre questo brano il cui titolo completo è ”Master Blaster-Jammin” in onore ad un famoso brano di Bob Marley, “Jammin” appunto, sfruttando al meglio solo due idee musicali.

La prima è quella della strofa, utilizzata in parte anche per l’introduzione, e la seconda quella del il ritornello.

L’introduzione è più lunga di quanto solitamente possiamo trovare nelle canzoni.

Comincia solo con la batteria per quattro battute.

Poi chitarra e basso per otto battute, poi l’organo per otto battute ed infine i fiati per altre otto. Il tutto sulla stessa progressione di accordi.

Questo crea tensione ed attesa per l’entrata della voce, entrata che così acquista ancora maggior risalto.

Anche la voce entra sulla stessa progressione di accordi con uno sviluppo che, visto il genere di musica, è anch’esso più ritmico che melodico.

(Consiglio, di ascoltare attentamente il file audio dove ci sono anche le spiegazioni, per capire più facilmente  ciò di cui sto parlando)

Master Blaster intro

Come ogni compositore che si rispetti Stevie Wonder sa benissimo che in un brano che si caratterizza per l’andamento ritmico sostenuto, la parte armonica, cioè quella degli accordi, e quella melodica devono essere più semplici.

Tutti i giri armonici dell’introduzione sono basati sostanzialmente su una successione di cinque accordi più un paio di collegamento, successione che continua a ripetersi. Suonata solo col pianoforte e senza ritmo la progressione è la seguente

Introduzione e strofa accordi al pianoforte

Ascoltando adesso le due strofe vocali il tutto dovrebbe risultare più chiaro

Prime due strofe cantate

La parte successiva, che potremmo definire ritornello, o parte B, è ovviamente diversa. E’ ancora più semplice perché si basa su un giro di quattro accordi di cui due sono uguali a quelli della parte precedente.

Solo col pianoforte suona così

Solo piano parte B

La melodia è ancora più stringata ma accoppiata al ritmo diventa, se possibile, più trascinante

Parte B cantata

A questo punto la struttura potrebbe diventare ripetitiva e Stevie Wonder, per aggiungere un elemento di novità, inserisce un “bridge”. E’ una delle famose frasi strumentali presenti spesso nella sua produzione. In questo caso viene suonata all’unisono da chitarra, basso e fiati. Viene proposta due volte. La prima con una durata di quattro battute. La seconda volta, più avanti nella canzone, viene sviluppata e diventa lunga il doppio cioè otto battute (anche qua seguendo il file diventa più chiaro)

Bridge strumentale e seconda parte del brano

In questo brano Stevie Wonder dimostra chiaramente la sua adesione alle idee e al modo di sentire di Bob Marley.

All’inizio del testo lo cita addirittura con la frase

Marley’s hot on the box

cioè “la musica di Bob Marley viene fuori dagli altoparlanti”. Il riferimento è al fatto che si sta parlando di una festa dove la gente balla.

Poi, riferendosi ai comuni ideali politici e sociali afferma:

Peace has come to Zimbabwe
Third World’s right on the one
Now’s the time for celebration
‘Cause we’ve only just begun”

“La pace è arrivata in Zimbawe (qui l’accenno è alla fine di una sanguinosa guerra)

Il terzo mondo diventa uno

È il tempo di celebrare

Perché abbiamo appena cominciato”

Poi fa anche un riferimento religioso

We’ve agreed to get together
Joined as children in Jah
When you’re moving in the positive
Your destination is the brightest star

Abbiamo deciso di incontrarci

Tutti uniti come I figli di Jah

Quando ti muovi nel giusto

La tua destinazione è la stella più luminosa”

Come detto in precedenza in “Hotter Than July” c’è anche un brano, intitolato “Happy Birthday”, che è in pratica il simbolo della campagna condotta per anni da Stevie Wonder al fine di celebrare, come festa nazionale, il giorno della nascita di Martin Luther King.

Una campagna che si concluderà con successo anni dopo, nel 1986, quando il 15 gennaio verrà riconosciuto come il giorno simbolo della lotta contro la violenza e le discriminazioni razziali.

Ad ulteriore testimonianza dello spessore umano di questo uomo prima ancora che dell’artista, vi lascio con una sua frase che mi ha sempre colpito e affascinato:

“Il fatto che a un uomo manchi l’uso della vista non significa che manchi di visione”