Orizzonte alto

Roberto Canella

da “The Planets” di

Gustav Holst

Puntata numero 43

Amo il pezzo di terra che tu sei,
perché delle praterie planetarie
altra stella non ho. Tu ripeti
la moltiplicazione dell’universo.

Pablo Neruda

Spesso mi viene fatta richiesta da parte di allievi, amici, conoscenti e anche da qualcuno di voi che segue queste molliche, di indicare dei brani musicali che possano facilitare l’avvicinamento all’ascolto della musica classica anche da parte di chi non si considera “esperto”.

E’ una domanda molto complessa che non ha, e non può avere, una risposta univoca perché bisognerebbe tenere conto dei gusti, della sensibilità, della curiosità, e della disponibilità all’ascolto delle varie persone.

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Ci sono, è vero, alcune composizioni che, per le loro caratteristiche, si prestano maggiormente ad essere approcciate anche da chi non è abituato all’ascolto di “certa” musica.

Il primo aspetto da affrontare è quello, come dicevo nella mollica introduttiva, del tempo che la musica richiede.

La durata di un brano di musica classica supera di gran lunga, tranne rare eccezioni, quello delle canzoni di musica leggera, che raramente durano oltre i quattro minuti.

Bisogna perciò abituarsi a ritagliarsi del tempo, sottraendolo ai ritmi spesso frenetici del nostro stile di vita, e coltivare il gusto della scoperta e non solamente quello della gratificazione immediata.

Gustav Holst

Volendo però fare, per gioco, una specie di “lista della spesa”, della cui incompletezza e parzialità mi scuso in anticipo vi potrei indicare, che so, il “Bolero” di Maurice Ravel, o la sinfonia numero 9 “Dal Nuovo Mondo” di Dvorak, oppure “Una Notte sul Monte Calvo” di Modest Mussorgsky,o il conosciutissimo quarto movimento della Nona di Beethoven con il famoso “Inno alla Gioia”. Per quello che riguarda il canto c’è la famosissima aria della “Regina della Notte” dal Flauto Magico di Mozart per non parlare del “Nessun Dorma “della Turandot di Giacomo Puccini, e l’elenco potrebbe, ovviamente, allungarsi a dismisura.

 Ugualmente interessante è un approccio al mondo   costituito dalle colonne sonore, soprattutto quelle composte da musicisti del calibro di Ennio Morricone, John Williams, Hans Zimmer , Jerry Goldsmith, oppure quelle di una “new entry” come Jonny Greenwood, famoso per essere anche il chitarrista degli Radiohead.

Quando recentemente ho riascoltato il brano oggetto di questa puntata, la suite “The Planets” di Gustav Holst, ho realizzato che anche questo potrebbe a buon diritto far parte di questa “lista”, perché racchiude in se molte caratteristiche che lo rendono appetibile, stimolante e anche utilissimo per far capire, o intuire, in che modo la musica, soprattutto quella non cantata, possa colpire la nostra sensibilità e spalancare le porte alla nostra immaginazione.

“The Planets” , il titolo è in inglese perché il compositore è inglese egli stesso, è una “Suite” composta da sette movimenti, completamente diversi tra loro che Gustav Holst, vissuto tra la fine dell’ottocento e i primi decenni del Novecento, ha scritto ispirandosi ai pianeti, ma non, è bene subito specificare, da un punto di vista astronomico, bensì astrologico. In pratica ha tratto spunto da quello che l’Astrologia definisce come il carattere di questi pianeti e le conseguenze che questi provocherebbero sulla psiche e sulla vita degli uomini.

Lo stesso Holst ha svelato l’idea che sta alla base del suo lavoro:

Questi pezzi mi furono suggeriti dal significato astrologico dei pianeti. Non vi è musica a programma in loro, né essi hanno alcun collegamento con le omonime divinità della mitologia classica. Se dovesse essere richiesta qualsiasi guida alla musica, il sottotitolo di ogni brano sarà sufficiente, soprattutto se interpretato in senso ampio. Per esempio, Giove porta allegria nel senso ordinario, ma anche nel senso di allegria cerimoniale associata con le feste religiose o nazionali. Saturno porta non solo il decadimento fisico, ma anche una visione di completezza.”

I sottotitoli che lui stesso ha dato ai sette movimenti sono i seguenti:

Mars, the bringer of war (Il portatore della guerra)

Venus, the bringer of peace (il portatore di pace)

Mecury, the winged messenger (il messaggero alato)

Jupiter, the bringer of jollity (il portatore della festa)

Saturn, the bringer of old age (il portatore della vecchiaia)

Uranus, the magician (il mago)

Neptune, the mystic ( il mistico).

Partitura della prima edizione

Una delle prime cose che si possono notare ascoltando questa suite è quanto questa musica sia stata presa e utilizzata sia come fonte di ispirazione, sia in senso più letterale come citazioni dalle musiche da film di cui parlavo prima. Nei vari brani vi è infatti una tavolozza di colori e di situazioni musicali che, senza ombra di dubbio, vi faranno tornare alla mente musiche e scene tratte, ad esempio, da “Guerre Stellari” o “Star Trek” oppure dalla sagra di Harry Potter, e da molti altri film di fantascienza.

Lascio a voi il compito di trovare i vostri punti di riferimento. Io mi limiterò a segnalarvi alcuni di quelli più eclatanti.

Per fare degli esempi della gamma espressiva che Holst utilizza in queta Suite, potete trovare musica che assomiglia a delle fanfare come in questo caso

Oppure melodie e temi epici

Sonorità misteriose e inquietanti

Momenti evocativi

Oppure melodie romantiche

Qualcuno di voi potrebbe domandarsi il perché di sette pianeti solamente. La risposta è semplice, per cominciare da un punto di vista astrologico la terra è ininfluente e pertanto non è presa in considerazione. Poi quando la musica è stata composta, negli anni tra il 1914 e il 1916, praticamente all’inizio della Prima guerra mondiale, mancava alla conoscenza Plutone la cui scoperta avvenne intorno agli anni trenta.

Holst, pur essendo ancora vivo al momento della scoperta non volle fare un’aggiunta alla sua composizione con la quale aveva un rapporto controverso potremmo dire di amore-odio. The Planets, infatti è per Holst quello che oggi si potrebbe definire una “One Hit Wonder” cioè un brano di tale successo che ha finito per oscurare tutte le altre sue composizioni.

Prima di addentrarci nell’ascolto più dettagliato di questa musica ci sono ancora alcune cose da annotare.

La più importante è che Holst utilizza un’orchestra dall’organico molto ampio. Questa era un po’ la tendenza di quel periodo. Ad esempio, il “Sacre du Printemps” di Stravinskij comporta un’orchestra di quasi cento elementi, per non parlare della “Salomè” di Strauss il cui organico arriva a 113 e dell’esempio più eclatante, la “Sinfonia dei Mille” di Gustav Mahler che, tra cori e orchestra prevede un organico, appunto, di mille elementi.

L’organico dell’orchestra di” The Planets” prevede, ad esempio l’utilizzo di sedici suonatori di strumenti ad ancia, i cosiddetti legni, in luogo dei soliti otto, quindici ottoni, la famiglia degli archi rafforzata, percussioni varie, due arpe e una celesta che è lo strumento che caratterizza, ad esempio, molta della musica dei film della saga di Harry Potter.

Gli esempi musicali che vi ho fatto ascoltare precedentemente sono tratti dai vari movimenti tranne che dai due di cui ci occuperemo più approfonditamente che sono il primo, Marte il portatore della guerra e l’ultimo, Nettuno, il mistico.

Ho scelto questi perché sono due movimenti completamente diversi tra loro per impatto, sonorità e atmosfera generale. Non due facce della stessa medaglia come si potrebbe dire, ma proprio due medaglie diverse e il fatto che costituiscano l’apertura e la chiusura della composizione da ulteriormente l’idea di tutti gli elementi espressivi che Holst ha sapientemente usato per farci arrivare le sue idee attraverso i suoni e, di conseguenza, la musica .

Il primo brano della “suite” è Marte, il portatore della guerra. Questa musica rappresenta veramente una macchina da guerra. Probabilmente Holst si è ispirato, in parte, al “Sacre du Printemps” si Stravinskij, che aveva visto a Londra l’anno prima, perché, da un punto di vista ritmico, ci sono dei momenti che richiamano fortemente la composizione del musicista russo.

La prima considerazione da fare riguarda proprio la particolarità ritmica di questo movimento. Il metro usato, infatti, è un cinque quarti, che da un effetto ancora più “sghembo”, se mi passate il termine, e sinistro a questa marcia.

Un ritmo in cinque vuol dire che abbiamo una sequenza ritmica che si ripete, in questo caso in modo costante, ogni cinque battiti.

Vi faccio un esempio col pianoforte affinché possiate comprenderlo meglio

Ritmo al pianoforte

Questo “pattern” ritmico che si ripete in modo costante viene definito “ostinato” e il termine si spiega da solo.

Altro aspetto rilevante è che questa figurazione ritmica viene eseguita dalla sezione grave degli strumenti ad arco con una tecnica particolare denominata “col legno”. I musicisti infatti percuotono le corde dei loro strumenti non utilizzando, come al solito, il crine dell’arco, ma girando  l’arco al contrario e picchiando le corde con la bacchetta di legno.

L’effetto è ancora più interessante

Inizio “col legno”

A questa introduzione, abbastanza sinistra, si aggiungono presto gli ottoni con un tema veramente cupo, composto all’inizio da sole tre note, che da un’ulteriore caratterizzazione a questo brano

Tema degli ottoni

L’effetto è ancora maggiore se pensiamo che questo brano è stato scritto nel 1914 quando già c’erano le avvisaglie dello scoppio della Prima guerra mondiale e questa musica così tetra e cupa faceva presagire quello che poi sarebbe realmente accaduto.

La melodia degli ottoni diventa sempre più incalzante fino ad arrivare a delle “sciabolate” di suono in cui l’orchestra produce delle ondate progressive molto forti che dimostrano la capacità di orchestratore di Holst e il suo sapiente utilizzo delle risorse di cui dispone

Sciabolate di suono

Il tutto avviene con la figurazione ritmica che continua martellante fino a che, a un certo punto, raggiunto un primo momento di climax, improvvisamente il ritmo quasi si ferma e comincia un tema molto cupo e minaccioso suonato dalla sezione grave degli archi, che monta progressivamente fino alla ripresa della pulsazione ritmica se possibile ancora più aggressiva rispetto all’inizio

Frase degli archi e ripresa del ritmo

È veramente terrificante questa musica e richiama, assolutamente, molte delle sonorità utilizzate in varie colonne sonore dei film degli ultimi decenni.

Poi si arriva al momento in cui sembra arrivare quasi un urlo, proveniente dagli abissi, in modo terrificante ma, al tempo stesso, estremamente coinvolgente

Finale

Quella che avete appena sentito è la conclusione del movimento “Mars the bringer of war” scritto da Holst nel 1914 e questo invece è stato composto in tempi più recenti e immagino che a molti di voi risulti familiare perché è la colonna sonora di “Star Wars”

Star Wars

La somiglianza è abbastanza notevole. A favore di John Williams, il compositore di questo brano, bisogna dire che George Lucas, il regista, utilizzava durante le riprese una, si dice in gergo, “tempo track” , per dare un’idea dell’atmosfera agli attori, che era appunto “Mars” di Holst, chiedendo poi a John Williams di ispirarsi  a questo mondo sonoro. Possiamo dire che John Williams ha preso questo consiglio alla lettera, creando in ogni caso, una colonna sonora molto efficace.

Quanto è aggressivo cupo e inquietante “Mars” che apre la suite, tanto è diverso, con un’atmosfera completamente opposta, “Nettuno il mistico” che chiude la composizione.

Stalattiti – Vanessa Covini

In questo brano il ritmo ha un’importanza secondaria. Quello che colpisce è l’atmosfera generale, determinata dalla scelta delle sonorità, quasi pennellate di colore che Holst dissemina abbondantemente. Questo è l’unico movimento di tutta la suite che non usa temi o vere e proprie melodie. Ci sono solamente frammenti di cellule melodiche che rendono il brano, incantevole, molto coinvolgente con una sonorità completamente ultraterrena.

Holst crea combinazioni timbriche molto interessanti utilizzando, ad esempio, l’arpa e la celesta, strumento dal suono cristallino, molto utilizzato nella musica che accompagna i vari film della saga di Harry Potter.

L’introduzione lascia intuire subito il mondo sonoro del brano con questi frammenti melodici suonati dai flauti che risultano eterei e coinvolgenti

Nettuno inizio

Anche qui siamo in presenza di un tipo di orchestrazione alla quale si sono ispirati, molti compositori di musiche da film, per i quali è diventata praticamente un punto di riferimento.

Sentite questo impasto sonoro fatto con celesta e strumenti a fiato

Celesta e strumenti a fiato

Oppure questo, sempre con celesta, due arpe e la sezione grave degli archi

Celesta, arpe e archi

Arrivati alla fine di questo movimento, e dell’intera suite, si potrebbe pensare che Holst abbia esaurito le possibilità di sonorizzazione, e invece il compositore gioca, proprio alla fine, la carta vincente, inserendo un coro di voci acute femminili, che non cantano delle parole ma eseguono puramente dei suoni, entrando quasi in punta di piedi al punto tale che non ci si accorge del loro ingresso ,ma , a un certo punto, ci troviamo di fronte ad una nota acuta e lunghissima che ci avvolge

Finale con voci

Il coro femminile aggiunge una qualità umana a questo movimento, anche perché trovandosi Nettuno al confine del nostro sistema solare la fine di questo brano è rappresentata da una graduale dissolvenza al punto che l’ultima cosa che l’ascoltatore percepisce sono le voci femminili che provengono dalle quinte, fuori dal palco, che vanno man mano a scemare. Sulla partitura c’è scritto che la porta deve chiudersi fino a che il pubblico non sente più nulla.

Questo rappresenta di diritto il primo “fade out”, la prima dissolvenza della storia della musica, ed è fatto senza l’uso di macchine come avviene invece oggi molto più facilmente. È proprio scritto così.

Nettuno

Questa composizione, scritta più di cento anni fa, suona ancora estremamente attuale vista la capacità di Gustav Holst di creare un mondo estremamente variegato utilizzando in maniera magistrale tutti i colori orchestrali a disposizione come farebbe un abile pittore che trae dalla tavolozza le sfumature che ritiene più adatte a rappresentare quello che ha nel cuore.

È chiaro che anche questo brano può rientrare, a pieno titolo, nella lista delle composizioni più adatte ad avvicinare anche i cosiddetti non esperti all’ascolto di una musica che sia più complessa e gratificante, rispetto a quanto ci offrono oggi solitamente i mezzi di comunicazione di massa.

Gustav Holst

A proposito di questo è importante sottolineare quello che accadde a Holst, che aveva sempre voluto essere un semplice compositore. Il clamoroso successo di questa suite cambiò radicalmente la sua vita e venne richiesta sempre di più la sua presenza in varie funzioni e occasioni sociali. La stampa lo incalzava per avere interviste e apparizioni pubbliche. I suoi editori lo pressavano con continue richieste facendogli dirigere numerosi concerti al punto che, ad un certo punto, esausto, cadde dal podio mentre dirigeva all’università di Reading nel febbraio del 1923.

Alla luce di questo assume ancora più importanza questa sua dichiarazione:

“Ogni artista dovrebbe pregare di non avere successo. Perché se è un fallimento ha buone possibilità di concentrarsi sul miglior lavoro di cui è capace”.