La Cattedrale

Auguste Rodin

“Uno sguardo proiettato nel futuro, ma il cuore immerso nel passato”. (Bruno Walter)

Puntata numero ottantotto

“Ho lavorato molto e proprio ora do l’ultima mano ad una nuova sinfonia. L’opera (per quel che posso conoscerla perché finora ho scritto l’abbozzo a rotta di collo e adesso che comincio a strumentare l’ultimo tempo non conosco più il primo) è un arricchimento assai felice della mia piccola famiglia. Vi si dice qualcosa che da molto tempo ho sulle labbra. Per la fretta e l’affanno la partitura è buttata giù di corsa ed è assolutamente illeggibile per occhi estranei. Desidererei ardentemente che questo inverno mi fosse data la possibilità di preparare una bella copia della partitura.”

Questo passaggio è estratto da una lettera che il grande compositore boemo Gustav Mahler, scrisse ad un suo amico, il direttore d’orchestra Bruno Walter, a proposito della composizione della sua nona, e ultima, sinfonia.

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Le motivazioni che stanno alla base della stesura dei racconti di questo blog sono abbastanza varie.

Alcune volte queste storie mi si presentano davanti quasi spontaneamente. Questo è uno di quei casi.

L’idea infatti mi è venuta qualche giorno fa dopo aver assistito ad un “concerto-lezione-conferenza” che aveva come oggetto lo strano rapporto intercorso tra due giganti dell’inizio del XX secolo, Gustav Mahler per quello che riguarda la musica e Sigmund Freud, il padre della moderna psicanalisi. I due si sono infatti incontrati una volta su richiesta dello stesso Mahler, bisognoso di un consulto che potesse aiutarlo a superare alcune problematiche esistenziali.

Festival Mahler a MIlano

Durante l’ascolto mi sono venute alla mente, una dopo l’altra, tre frasi che molto hanno influito nel determinare il mio rapporto con la musica nel corso degli anni.

La prima è di Alessandro Baricco e compare nel suo primo libro “Castelli di rabbia”, di cui abbiamo già parlato nella puntata n.14, quella dedicata al brano “The Unanswered Question”di Charles Ives.

“Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni. Poi la vita risponde”.

È una frase che si presta a molte interpretazioni. Dal mio punto di vista è abbastanza legata alla poetica di Gustav Mahler e al modo col quale mi sono accostato ad essa.

All’inizio non nascondo di aver fatto abbastanza fatica ad avvicinarmi a questo enorme compositore. Non riuscivo, infatti, a capire dove “andasse” la sua musica. Faticavo a rapportarmi alle sue costruzioni monumentali, alle sue sinfonie che sono estremamente dilatate, molto dense, piene di spunti e di suggestioni diverse.

Poi, improvvisamente, ho capito che…..non bisogna per forza capire. Ho intuito che l’importante è lasciarsi prendere, trasportare, da una musica frutto di una personalità così variamente articolata, ma che ha caratteristiche nelle quali ci possiamo tranquillamente rispecchiare.

Mahler aveva un’indole estremamente sfaccettata, frutto di dualismi e contraddizioni che sono, in parte, comuni a tutto noi. Lui viveva la dicotomia tra l’essere un compositore ma anche un direttore d’orchestra, tra l’avere una natura sofisticato e allo stesso tempo naif. Era un ebreo convertitosi al cristianesimo anche per motivi di lavoro. Si sentiva un provinciale ma, contemporaneamente, un cosmopolita. Era un adulto ma spesso manteneva l’animo di un bambino. Come accade a molti di noi tutti questi aspetti della sua personalità erano  fusi assieme, e risultano in modo estremamente evidente nella sua musica.

Questi aspetti, in molti dei quali nei quali mi ritrovo ampiamente, mi hanno fatto avvicinare progressivamente alla sua musica, e oggi mi offrono lo spunto per un piccolo suggerimento che ho da offrirvi, se volete accettarlo.

Non bisognerebbe mai chiudere le porte alle cose nuove che incontriamo lungo il cammino, agli stimoli che ci giungono dall’esterno. Magari sul momento non riusciamo a capirli o non ci dicono molto ma ……”può passare un minuto, oppure anni. Poi la vita risponde”

Le altre due frasi, invece, fanno riferimento,  in modo più preciso, alla musica.

Daniel Barenboim

La prima è stata formulata, in un suo libro, da quel grandissimo direttore d’orchestra, nonché pianista, che si chiama Daniel Barenboim:

Ogni suono nasce dal silenzio”.

Nel libro la frase si riferisce espressamente all’inizio del preludio del “Tristano e Isolde” di Wagner del quale abbiamo parlato nella puntata n.5, ma ha un valore universale, applicabile a qualunque impulso sonoro.

La logica prosecuzione di questa affermazione è quella che lo scrittore e sceneggiatore Pascal Quignard fa pronunciare nel film “Tutte le Mattine del Mondo” (puntata n. 52) al musicista francese Marin Marais, grande virtuoso di “viola da gamba” del XVII secolo:

Ogni nota deve finire morendo”.

Questo racconto diventa, così, un viaggio. Ma non è un viaggio, come altre volte ho narrato, nel tempo o attraverso dei luoghi. E’ un percorso dentro al suono, alla ricerca dell’effetto che il suono ha su di noi. E’ uno stimolo per cercare di capire il vero senso di queste frasi.

Gustav Mahler sarà la nostra guida perfetta per questo viaggio.

Lui ha composto principalmente sinfonie e Lied, questi ultimi per voce e orchestra. Tutte le sue opere sono estremamente articolate, complesse, anche molto lunghe, e questo, a volte , può generare soggezione.   

Ebbene se guardiamo alla sua produzione sinfonica possiamo notare qualcosa di molto interessante.

L’inizio della sua prima sinfonia sembra la traduzione in musica della frase di Barenboim “Ogni suono parte dal silenzio”, e il momento finale dell’ultima sinfonia, la nona, risponde alla frase di Marin Marais ” Ogni nota deve finire morendo”.

All’inizio della prima sinfonia c’è solo una nota, una nota che parte praticamente dal nulla, suonata dagli strumenti ad arco. Su questa nota, un po’ alla volta, si innestano dei suoni, quasi richiami, che provengono dagli altri strumenti dell’orchestra. L’effetto è di qualcosa che si sveglia progressivamente, dal sonno o da un torpore. Può essere un risveglio della natura, della primavera, della vita.

Inizio Prima Sinfonia

Così Gustav Mahler ha cominciato il suo viaggio nel mondo della sinfonia, un genere, come detto, che costituisce la gran parte della sua produzione musicale.

Già da questa prima sinfonia si può notare come la musica sia il risultato di varie suggestioni.

Mahler infatti è cresciuto ascoltando generi di musica completamente diversi tra loro. Danze popolari, marce militari, musica klezmer, canzoni per bambini. Queste musiche hanno rappresentato spesso lo spunto dal quale ha sviluppato le sue idee musicali. Il tutto poi viene avvolto dai suoni delicati della natura, il suo “luogo” preferito nel quale amava immergersi e che gli era necessaria per comporre.

Il suo mondo musicale risulta così estremamente composito, ma contemporaneamente anche molto coeso, e con una coerenza che lo rendono unico e riconoscibilissimo.

Alcuni critici sostengono, probabilmente a ragione, che lui sia stato l’ultimo grande compositore di sinfonie, soprattutto per quello che concerne la tradizione tedesca. Questo genere, nato praticamente nel XVIII secolo con Haydn e Mozart, ha attraversato tutto l’800 e ha avuto proprio in Mahler, a cavallo tra XIX e XX secolo, il compositore che ne ha sviscerato tutte le possibilità.

Anche lui è stato vittima di quella che è stata definita la “maledizione della nona sinfonia”.

Esisteva infatti una credenza secondo la quale nessun musicista potesse mai riuscire a completare una sinfonia oltre la nona.

Molti sono i compositori che non hanno superato lo “scoglio” della nona sinfonia. Beethoven per primo, poi Schubert, Louis Spohr, Dvorak, Ralph Vaughan Williams e Anton Bruckner sono infatti deceduti prima di poter comporre, o portare a termine, la loro decima sinfonia.

Lo stesso Gustav Mahler ne è rimasto vittima anche se aveva cercato di aggirare questa “maledizione”. Dopo la sua “Ottava”, denominata la “Sinfonia dei Mille” visto l’organico mostruoso per il quale era stata scritta, ha composto un’opera che potrebbe tranquillamente essere una sinfonia ma l’ha chiamata in un altro modo. Si tratta di “ Das Lied Von Der Erde”, che lui ha indicato come un Lied per voce e orchestra, un genere molto importante nella cultura e nella tradizione germanica. Pertanto era scaramanticamente convinto, dopo aver composto la nona, di aver in realtà scritto la sua decima. In ogni caso anche lui, dopo la nona e riuscito solo ad abbozzare un tempo della decima senza poterla finire.

In un suo saggio su Mahler, un altro importantissimo compositore degli inizi del secolo, Arnold Schönberg, ha scritto:

È come se la Nona fosse un limite. Chi vuole superarla deve morire. Sembra come se qualcosa ci venisse comunicato attraverso la Decima. Qualcosa che noi adesso non possiamo conoscere, per la quale noi non siamo pronti. Quelli che hanno scritto una Nona sinfonia sono arrivati troppo vicini all’Aldilà»

Ho già parlato della figura di Gustav Mahler in modo più generale nella puntata n. 29 che vi invito a leggere se avete tempo e voglia. In questo racconto, in particolare, voglio soffermarmi  sulla sua nona e ultima sinfonia, e più precisamente sul movimento finale che rappresenta, probabilmente, la summa del suo pensiero artistico e musicale.

La composizione della “nona” è avvenuta in un momento molto delicato e difficile per la vita di Mahler. Lui si dedicava alla composizione esclusivamente durante i mesi estivi nei quali si prendeva una pausa dalla sua attività principale, quella di direttore d’orchestra. Questa era, infatti, l’occupazione che gli dava sostentamento e fama. Come direttore era molto amato ma, contemporaneamente, anche detestato.   C’era, in effetti, chi lo accusava di eccessivo modernismo per quello che riguarda le scelte delle opere e degli autori che presentava in cartellone  a Vienna.

Spesso le sue rivisitazioni filologicamente corrette di famosi brani di repertorio non incontravano i favori di parte del pubblico, specialmente quello più tradizionalista. Da questo punto di vista si potrebbe dire “niente di nuovo sotto il sole”. Anche oggi gli innovatori in campo artistico, e non solo, vengono accolti spesso con diffidenza. Era, insomma  una figura   controversa che suscitava opposte reazioni.

Mahler e la moglie Alma

Durante l’estate del 1907 Mahler perse, causa una malattia improvvisa e fulminante, una delle sue figlie. Successivamente gli venne diagnosticato un grave problema al cuore che anni dopo sarà la causa della sua morte. Anche il suo rapporto con l’Opera di Vienna finì in maniera burrascosa, con la conseguente decisione di recarsi negli Stati Uniti dove trovò una favorevole accoglienza e nuove prospettive di lavoro. Nell’anno successivo venne anche a conoscenza dell’infedeltà di sua moglie, Alma, che ebbe una relazione con un giovane architetto. Va detto che Alma Mahler decise comunque di interrompere la relazione e di stare accanto al marito.

Tutte queste vicende, che avrebbero abbattuto chiunque, hanno costituito un peso grandissimo per un uomo e un artista  così sensibile, e per certi versi vulnerabile, come Gustav Mahler.

La nona sinfonia, scritta proprio in quegli anni, è stata, nonostante tutto questo, accolta molto positivamente, soprattutto dai   giovani compositori di quel periodo, e in particolare da quelli che avrebbero contribuito, negli anni successivi a traghettare la musica del XX secolo verso nuovi lidi.

Autoritratto – Schoenberg

Anton Webern, in una lettera indirizza, a Schönberg   scrisse:

L’ultimo tempo è un vastissimo Adagio, che propriamente non si conclude .E’  sempre più lento, sempre più ampio, sempre più tenero, senza fine”.

Alban Berg, un altro gigante, affermò:

 «E’ l’espressione di un amore inaudito per questa terra, del desiderio di vivere in pace, e di poter godere sino in fondo la Natura in tutta la sua immensità, prima che giunga la Morte»

Questo ultimo movimento è la rappresentazione di un addio. Un addio a molte cose della vita e della musica. Ma non si tratta di un addio traumatico. Piuttosto è una rappresentazione delle cose che si trasfigurano, che trascendono. È una trasformazione del suono che, progressivamente, va a svanire nel silenzio, per divenire qualcosa d’altro, qualcosa di diverso e indefinibile.

L’inizio è costituito da quello che potrebbe essere definito un “recitativo” degli archi, quasi senza tempo. Poi, dopo una tensione, l’attesa, si scioglie in un momento che assomiglia ad un “corale”.

In questo movimento Mahler, infatti, si rivolge anche al passato e a Bach. Questo brano, infatti, sembra, a volte, un alternarsi di recitativi e corali. Il corale dell’inizio contiene una di quelle melodie ariose, tipiche dello stile di Mahler, che ti prendono e ti lasciano senza fiato. E’ di una bellezza e di uno struggimento che ti scavano nel profondo

Inizio Ultimo Movimento

In questo inizio è presente, per la prima volta, uno degli elementi costitutivi più importanti di tutto il movimento.

Si tratta di un gruppo di note, che potremmo definire “gruppetto”, che, isolato, e col solo pianoforte suona così

Gruppetto al piano

Mahler prende questo gruppetto di note e gli “tira fuori” tutto il possibile, dal punto di vista del pathos e dell’espressività. In questo si può tracciare un parallelo con quanto ha fatto un secolo prima Beethoven nel primo movimento della sua famosa quinta sinfonia, con il perentorio tema di quattro note che viene ripreso da tutte le sezioni orchestrali e continuamente elaborato.

Anche Mahler fa la stessa cosa, e questo gruppo di note, riproposto più volte in modo sempre diverso, diventa elemento fondante dell’intero movimento.

Molti sono i momenti topici di questo brano.

Uno lo abbiamo dopo circa sette minuti dall’inizio, quando il corno francese esegue una struggente melodia che poi viene ripresa dagli archi. Sotto questa linea melodica si sentono tutte le riproposizioni del famoso gruppo di note.

Melodia al Corno

Poi, ad un certo punto, c’è una sezione dedicata praticamene solo agli strumenti a fiato, in particolare ai “legni”.

Dapprima un corno inglese e, in successione, un flauto con l’oboe, un clarinetto basso dal suono meraviglioso, per tornare al corno inglese che esegue una melodia struggente.

Momento degli strumenti a fiato

Arriviamo quindi ad un momento di climax orchestrale, col gruppetto che viene sempre più elaborato dalle varie sezioni. E’ qualcosa di veramente notevole.

Climax orchestrale

Infine, ad un certo punto, la musica in pratica si ferma e, dopo un attimo di silenzio, comincia la parte finale.

Annotazioni autografe di Mahler

Il gruppetto di note c’è ancora, ma è estremamente dilatato e quasi impercettibile. L’indicazione di tempo che Mahler scrive è “Adagio, molto lento e ancora ritenuto”. In pratica indica quasi un progressivo rallentamento. Via via il suono va assottigliandosi fino a scomparire nel silenzio.

Finale

Ogni volta che ascolto questa parte penso a come sarebbe meraviglioso riuscire a catturare le onde sonore che si sono perse nel corso della storia dell’umanità. Poterle ritrovare, come si fa con le onde radio. Immaginare che siano tutte finite da qualche parte e che aspettino qualcuno che le riporti alla luce.

E fantastico su come sarebbe poter ascoltare le voci di Dante, Giulio Cesare,  Cleopatra,  Frida Kahlo, Van Gogh,  Mozart,  Beethoven, Clara Schumann e il suono reale di tutta la musica che è stata prodotta nei secoli.

Avvicinandosi alla fine del brano il suono, un po’ alla volta si trasfigura nel silenzio, proprio come afferma nel film Marin Marais, “ogni nota deve finire morendo”.

Esiste una versione su YouTube di questa sinfonia eseguita da Claudio Abbado con l’orchestra del Festival di Lucerna nel 2010. Ebbene dopo la fine dell’ultima nota tutto rimane sospeso. Il direttore non abbassa le mani e rimane lì a farsi avvolgere dal silenzio e il pubblico, per ben due minuti e mezzo, rimane muto senza applaudire. È un momento di un’intensità emotiva sconvolgente.

Claudio Abbado

Gustav Mahler, come compositore non è stato totalmente compreso nemmeno dopo la sua morte. C’è stata infatti una discussione sul dove dovesse essere sepolto perché alcuni pensavano non fosse degno di riposare accanto ai grandi come Beethoven e Schubert.

Lui scelse di un luogo appartato, per il suo riposo, spiegando così la decisione:

Quelli che mi amano sanno dove venire a trovarmi. E per tutti gli altri non fa nessuna differenza”.