Ritmo e cuore per un capolavoro immortale

Puntata numero trentaquattro

Nel 1784 rispondendo ad un dibattito intorno alla domanda “Che cos’è l’illuminismo?”  il filosofo Immanuel Kant rispose così in uno scritto :”

Illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso. Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessi è questa minorità se la causa di essa non dipende da un difetto di intelligenza ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza essere guidato da un altro “sapere aude” abbi il coraggio di sapere, abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza è dunque il motto dell’illuminismo”.

Il Podcast

Se c’è un personaggio nella storia della musica che ha fatto di questo motto la sua guida e lo ha reso il faro cui ispirare tutta la propria arte questo è Ludwig Van Beethoven.

Beethoven è un compositore che di solito suscita rispetto e amore ma nello stesso tempo fa anche un po’ di soggezione. Se si guardano i suoi numerosi ritratti, ad esempio, si potrà notare come appaia sempre accigliato, ombroso,  gli occhi che ti squadrano,  i capelli sempre arruffati e in disordine. Sono ritratti totalmente diversi da quelli asettici di  Bach o di Mozart, ad esempio. Da queste immagini traspare un carattere molto “Sturm und Drang”, quello di una persona travagliata ed emotivamente molto complessa.

Ludwig van Beethoven

Questa era l’idea anche di Goethe, che pure lo stimava e ammirava, il quale diede questa definizione :” Egli è purtroppo una personalità assolutamente sfrenata”.

Beethoven è il prototipo dell’artista così come noi lo concepiamo oggi. Prima di lui i musicisti erano sostanzialmente degli artigiani. Erano considerati alla stregua della servitù,  tanto è vero che avevano il cosiddetto “obbligo di livrea “cioè quello di vestire la livrea che era l’abito appunto della servitù,   e certamente non pensavano minimamente di essere degli artisti le cui opere  sarebbero durate nel tempo e avrebbero portato  loro fama imperitura.

Certo non lo pensava   Bach, non lo pensava Haendel, e non lo pensava nemmeno Mozart che pure è morto quando Beethoven era già nato ma appartiene, culturalmente e come stile di vita, ad un’altra epoca.

Prima di lui la musica serviva per dare lustro ai potenti o ai signori. Era un oggetto d’arredamento. I musicisti venivano considerati alla stregua dei cuochi , dei giardinieri o agli stallieri. Magari erano servi di lusso ma  sempre servi erano.

Il primo che si affrancò da questo ruolo fu Mozart, e il fatto scatenante sembra essere stato la famosa pedata che l’arcivescovo Colloredo diede a Mozart stesso scacciandolo dal suo servizio quando questi si rifiutò di ritornare a Salisburgo dopo un periodo passato a Vienna.

Mozart fu il primo ad aprire la breccia, ma Beethoven, con il suo carattere con la sua personalità, fece di questa breccia un enorme varco attraverso il quale poi tutti i musicisti e gli artisti in generale sarebbero passati,  liberandosi dal ruolo  di servi ed entrando , a pieno titolo, in quello di liberi professionisti fautore del proprio destino.  Beethoven è stato il primo musicista libero impresario di se stesso.  Viveva con i proventi dei concerti, della vendita delle edizioni musicali e delle lezioni ad allievi privati. Con lui nacque anche quello che si può definire  l’istituto della protezione, cioè quello tramite il quale illustri personaggi, i cosiddetti  mecenati, per avere lustro dalla conoscenza e dall’amicizia di Beethoven, come poi di altri artisti e musicisti, li gratificavano  aiutandoli e provvedendo  alle loro esigenze economiche quotidiane

Questo cambiamento epocale di stile di vita ,che avvenne in pochissimo tempo, ha avuto come conseguenza anche il drastico ridimensionamento del numero delle composizioni scritte da Beethoven stesso e dai musicisti delle epoche successive.

Se i lavori di Bach superano il migliaio, se Haydn ha scritto 108 sintonia, Mozart 41 con una produzione di 626 composizioni, il catalogo di Beethoven si ferma a 138 opere conclamate. Senza l’urgenza di soddisfare i comandi di un padrone egli scriveva solo quando sentiva l’urgenza di farlo. Ha composto, ad esempio, solo un nove sinfonie. Ognuna di queste, però, è di proporzioni molto maggiori rispetto a quelle dei compositori precedenti. Ciascuna   frutto di un lavoro approfondito e di travaglio interiore molto forte perché bisogna anche sottolineare come Beethoven sia stato il primo musicista che nella sua vita si è preso delle pause di riflessione, cercando di indagare qual era il percorso musicale migliore da affrontare e  avendo anche una grandissima capacità di progredire senza  il bisogno di stimoli esterni come, al contrario, succedeva agli altri prima di lui.

Anche Mozart o Bach avevano questo impulso. Ma  era principalmente dovuto a commissioni esterne che imponevano loro un certo tipo di lavoro. Beethoven trova questa capacità di progredire dentro sé stesso.  Era un’artista che sfidava tutte le mode anche a rischio dell’insuccesso pur di seguire la propria visione, con la consapevolezza di quella che è una caratteristica tipica dell’artista, e cioè che non esiste vera grandezza senza anche un processo che ti porta a volte alla solitudine e magari anche ad essere incompreso da parte del pubblico.

È nota anche la sua sete di cultura. Pochi altri musicisti, e pochissimi prima di lui, hanno parlato tanto di libri e di letture. Nei suoi quaderni si possono trovare molte citazioni più o meno esplicite di Schiller,  Goethe, Kant, Rousseau.  Da questa cultura Beethoven trae la convinzione della nuova posizione che, secondo lui,   deve avere la musica, che è quella di essere al vertice dell’attività umana. Perché l’artista deve essere considerato al pari dello scienziato di un uomo politico di un inventore in quanto  studiando, e applicando la propria intelligenza, è capace di indicare nuove strade, nuovi percorsi per far proseguire l’umanità verso traguardi sempre più ambiziosi e importanti di umanizzazione e di solidarietà.

Beethoven è nato nel 1770 ma con lui la musica fa un balzo in avanti di decenni perché, a parte il primo periodo, è proiettata verso il futuro, verso il romanticismo e ,negli ultimi anni, addirittura oltre il romanticismo. Il suo utilizzo della dinamica, ad esempio, enfatizza il ricorso al pianissimo  e al fortissimo, adoperando a volte quasi delle macchie di suono. Questo è evidente in questo famosissimo  passaggio tra il terzo e il quarto movimento della sua quinta sinfonia dove,  da una situazione quasi magmatica nella quale apparentemente niente si muove e sembra non succedere nulla, nascono, un po’ alla volta, dei frammenti di melodia che prendono via via forma fino ad arrivare ad  un’esplosione dinamica incredibile con l’entrata dei fiati

Passaggio tra terzo e quarto movimento

 Un’altra novità che lui introduce è rappresentata dai suoi temi, spesso così corti e così  incisivi . Sono temi che si stampano immediatamente in testa.  Suo è, per esempio, uno degli incipit più famosi della storia della musica che senz’altro tutti conoscerete che è questo

Inizio Quinta sinfonia

Anche l’idea di unire un coro con dei solisti, cioè di inserire una parte vocale in una sinfonia, come lui ha fatto nella sua famosa “Nona”, con il famoso “ lnno alla gioia”, che poi diventerà anche l’inno dell’unione europea, è una cosa che non era mai stata fatta prima e  che verrà poi ripresa più volte sia dagli autori romantici che da quelli di  fine dell’Ottocento, primi del Novecento  come Mahler, ad esempio.

Un ulteriore fatto che testimonia la sua volontà di innovazione è rappresentato da una delle sue ultime composizioni, l’opera 111 per il pianoforte, dove, nel secondo movimento, a un certo punto si lancia in qualcosa che in pratica sembra precorrere di un centinaio d’anni quello che sarà la musica dell’inizio del 900. E’ un momento molto ritmico che sembra proporre quasi un misto tra Ragtime e “Boogie Woogie”,  quasi l’inizio del Jazz e tutto questo con un centinaio d’anni d’anticipo

Opera 111

Ma Beethoven, ovviamente, è anche dotato di un gusto innato per la melodia di una   dolcezza infinita come dimostra questo estratto dal secondo tempo del “Concerto per Pianoforte Orchestra numero 5” che è veramente di una bellezza indescrivibile

Secondo mov. Concerto n.5

La scelta di parlare, tra tutte le sue composizioni della la settima sinfonia è data dal fatto che ha una caratteristica che la distingue dalle altre.

 E’ uno dei primi e pochissimi casi, almeno fino al Novecento, nella storia della musica,  in cui il motore compositivo di tutti quattro i movimenti è rappresentato da una cellula ritmica, ovviamente diversa per ogni movimento, che prosegue immutata dall’inizio alla fine.

Questo rende la Settima qualcosa di particolare è di diverso da tutte le altre sinfonie al punto che all’inizio molti giudizi su questa composizione sono stati abbastanza di sorpresa e non sono mancati i commenti negativi.

 Johann Wieck, un insegnante di pianoforte e canto tedesco, padre di Clara Schumann  definì questa “…. una musica da ubriaconi”. Anche un musicista importante e per nulla bigotto come Carl Maria von Weber   disse che Beethoven era maturo si, ma per il manicomio

Chi invece dimostrò di apprezzare questa peculiarità ritmica del lavoro di Beethoven fu  Richard Wagner il quale  definì la Settima come “L’apoteosi della danza” e disse esplicitamente,

“ E’ la danza nella sua suprema essenza ,la più beata attuazione del movimento del corpo quasi idealmente concentrato nei suoni. Beethoven nella sua opera ha portato nella musica il corpo attuando una fusione tra corpo e mente”

Questa enfasi ritmica fa sì che l’atmosfera della settima sinfonia sia più allegra, più serena e più spensierata in genere rispetto alle altre, con l’eccezione del secondo movimento  “Allegretto” che merita un discorso a sé stante.  Anche l’autore l’ha definita uno dei lavori più riusciti

La prima esecuzione avvenne A Vienna nel dicembre del 1813 in una occasione particolare cioè un concerto di raccolta fondi di beneficenza in pratica, per le famiglie dei soldati morti o feriti durante la famosa battaglia di Hanau che vide scontrarsi Francia e Austria.  In quella serata oltre alla sinfonia numero 7 venne eseguito suonato anche un altro brano di Beethoven la “Battaglia di Wellington” che prevedeva, tra l’altro, anche l’uso di cannoni sparati a salve durante l’esecuzione del brano. Questo fatto   mandò in visibilio il pubblico che apprezzò molto anche la settima, soprattutto il secondo movimento che piacque a tal punto da richiedere subito un bis, cosa del tutto inusuale soprattutto a metà brano come una sinfonia.

Battaglia di Hanau

Un’altra novità introdotta nella Settima è la notevole importanza che Beethoven da agli strumenti a fiato al punto da cambiare, in partitura, l’ordine di presentazione degli strumenti stessi. Infatti, contravvenendo all’abitudine di mettere gli strumenti ad arco per primi, mise all’inizio proprio gli strumenti a fiato spostando gli archi in fondo. Questa disposizione, introdotta con la Settima, è la stessa che viene adoperata ancora oggi

Il ruolo notevole dei fiati  si nota subito già nell’introduzione.  La sinfonia comincia con un accordo suonato dall’orchestra seguito da una frase melodica eseguita da un solo strumento, un oboe. Poi dopo un secondo accordo,  un clarinetto  si aggiunge all’oboe. Dopo il terzo accordo  si aggiunge un corno, e , dopo il quarto ,   anche i fagotti in un inspessimento progressivo della trama sonora che aumenta di dinamica e di colore fino poi ad arrivare al “tutti”.

Introduzione Settima

Questa introduzione è molto lunga il che è strano per una sinfonia.  Uno dei punti più interessanti lo troviamo proprio alla fine dell’introduzione stessa, prima di arrivare al vero e  proprio  con l’esposizione del primo tema. È’ un momento particolare dove assistiamo, praticamente, a una sorta di rimpallo di responsabilità tra gli archi e i fiati del  tipo “vado io, no vai tu,  chi va? Va bene vado io” in cui  per circa sessanta volte viene ripetuta la stessa nota, un mi, prima di arrivare all’esposizione del  tema. 

Fine dell’introduzione

Con l’esposizione del tema quello che dicevo prima a proposito della caratteristica caratteristica ritmica diventa all’ascolto abbastanza evidente. La figura ritmica del tema viene, infatti, ripetuta costantemente attraverso tutto il movimento.

Un altro aspetto di questa sinfonia che troviamo anche in questo movimento è dato dal fatto  che Beethoven non lavora sulla varietà dei temi quanto  attraverso un processo di intensificazione e di riproposizione dello stesso tema tra le varie parti dell’orchestra, con accumuli di dinamica e di tensione. La melodia non è mai riccamente elaborata, ma spesso viene anche riproposta spezzettata tra una sezione e l’altra.

Un esempio eclatante di questo modo di procedere lo abbiamo prima della ripresa del tema, ripresa che viene lungamente preparata e arriva alla fine di un processo di intensificazione della tensione emotiva e musicale

Prima della ripresa del tema

Il primo movimento finisce in gloria con una specie di cavalcata alla quale segue un accordo sereno, tranquillo di La maggiore che da un grande un senso di stabilità

Finale Primo Movimento

 E’ importante questo fatto perché il secondo movimento comincia con lo stesso accordo però nella sua versione minore e, di conseguenza, l’atmosfera cambia completamente. Il secondo movimento della Settima è uno dei brani lirici e più commoventi e più intensi che Beethoven abbia scritto

Della forza emotiva di questo movimento si è accorto anche il regista Tom Hooper che, nel 2010, lo ha utilizzato  come commento sonoro a una delle scene più belle di un film molto interessante intitolato “ Il discorso del re”  con Colin Firth e Geoffrey Rush. La scena è  quella in cui Giorgio VI, re del Regno Unito, da sempre balbuziente,  deve affrontare un discorso molto importante alla radio per comunicare alla nazione l’entrata in guerra, nella seconda guerra mondiale della Gran Bretagna.

Il connubio tra le parole del discorso e la musica di Beethoven rende questa scena una delle più importanti non solamente del film ma anche della recente cinematografia.

Per parlare del secondo movimento e del proseguo della sinfonia vi do appuntamento alla prossima puntata del Podcast e al prossimo articolo.