Omino che guarda le stelle

Elena Martella

Queste composizioni rappresentano un viaggio all’interno dell’umana emotività

Puntata numero settantacinque

Questa è la cronaca pubblicata sulla “Gazette Musicale” del 2 maggio 1841, di uno dei rari concerti tenuti in pubblico da Frédéric Chopin a Parigi.

Il cronista è Franz Liszt.

Lunedi scorso, alle otto di sera, i saloni del signor Pleyel erano splendidamente illuminati. Un incessante corteo di equipaggi deponeva ai piedi di uno scalone coperto di tappeti e profumato di fiori le donne più eleganti, la gioventù più alla moda, gli artisti più celebri, i finanzieri più ricchi, la nobiltà più illustre. Tutta un’élite di società, tutta un’aristocrazia di nascita, di fortuna, di talento e di bellezza.

Un grande pianoforte a coda stava aperto su un palco. Vi si faceva ressa attorno. Si ambivano i posti più vicini. Già in anticipo si prestava orecchio, ci si raccoglieva, ci si diceva che non c’era da perdere un solo accordo, una nota, un’intenzione, un pensiero di colui che doveva venire a sedersi là. E c’era ragione di essere così avidi, attenti, presi da religiosa emozione. Colui che si attendeva, che si voleva intendere, ammirare, applaudire non era soltanto un abile virtuoso, un pianista esperto nell’arte di far note; non era soltanto un artista di grande risonanza, era questo e più di tutto questo: era Chopin”.

Ci sono dei sottili legami che uniscono il protagonista della scorsa puntata, Keith Jarrett, a quello di oggi, Frédéric Chopin.

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Il primo è abbastanza evidente, e anche banale, se vogliamo. Entrambi sono virtuosi dello stesso strumento musicale ed entrambi sono stati gratificati con la definizione di “ Poeta del pianoforte”.

Frédéric Chopin

Ma l’elemento più importante che li unisce è che tutti e due hanno fatto ricorso molto spesso, durante la loro attività musicale, all’improvvisazione. Se per il jazzista Keith Jarrett questo fatto è del tutto naturale, per Chopin, compositore della musica cosiddetta “classica” questo aspetto si rivela particolare ed originale.

Frédéric Chopin è stato un musicista “sui generis”. Abbastanza misterioso, se vogliamo. E’ nato nel 1810 in Polonia ed è morto nel 1849 a Parigi dove ha vissuto gran parte della sua vita in pratica come esiliato. Si trovava infatti all’estero per una serie di concerti quando, nel 1830, a seguito della repressione russa della “Rivolta di novembre” polacca, fu costretto a rifugiarsi a Parigi.

Rivolta polacca 1830

È stato un compositore abbastanza misterioso. Non si conoscono, ad esempio, i suoi gusti musicali e sembra che non abbia mai espresso pareri favorevoli su molti dei suoi colleghi musicisti. Gli unici due ad avere i suoi favori sono stati Franz Liszt, suo amico per lungo tempo con il quale spesso si trovava a suonare, e l’operista italiano Vincenzo Bellini che aveva conosciuto a Parigi. La cosa non deve stupire perché Chopin, e lo vedremo più avanti, aveva un gusto melodico chiaramente influenzato dal “bel canto” e dall’opera italiana in particolare.

Vincenzo Bellini

Come detto, Chopin improvvisava. E improvvisava parecchio. Spesso il suo modo di comporre derivava da questa pratica improvvisativa. Come racconta infatti la scrittrice e drammaturga George Sand, sua compagna per parecchi anni durante una relazione a volte burrascosa, Chopin si sedeva al pianoforte e improvvisava. Da quelle improvvisazioni uscivano poi le composizioni che, successivamente, lui fissava sulla carta. La stessa Sand racconta come il processo di scrittura fosse, a volte, molto faticoso. Il miracolo era che quelle composizioni, nate da un processo così estemporaneo, risultavano perfettamente compiute anche dal punto di vista formale. E’ evidente, pertanto, come la sua abilità nell’improvvisare fosse realmente di alto livello.

Chopin e George Sand

Possiamo ricavare una testimonianza di questo anche da alcune frasi che era solito dire ai suoi allievi. Una, in particolare mi ha colpito:

Suona la stessa cosa, ma non nello stesso modo”.

E questa è una caratteristica fondamentale da tenere ben presente quando si interpretano le sue composizioni.

Lo stile di Chopin è di difficile definizione. Oltremodo difficile è anche capire quali siano state le sue influenze. Sembra quasi non avesse “padri”, in senso musicale.

Certo non era suo “padre” Beethoven che pure costituiva l’esempio principale per la maggior parte dei compositori del suo periodo.

Cercando di stabilire quali siano state le linee guida del suo processo formativo dobbiamo tenere conto di alcuni aspetti particolari.

Il primo è dato da un fattore tecnico.

Chopin, infatti, ha sfruttato, a fondo, le caratteristiche tecniche degli strumenti disponibili in quel periodo. Negli anni 30 dell’800 il pianoforte era radicalmente diverso da quello della fine del secolo precedente o del periodo beethoveniano. Aveva un’estensione maggiore, una sonorità più robusta, ma, soprattutto, era stato molto perfezionato il pedale di risonanza. Si tratta del pedale che, quando viene premuto, permette di prolungare il suono delle note anche quando le dita si sollevano dai tasti. Questo consente di ottenere un “legato” tra le note stesse che si avvicina a quello ottenibile, ad esempio, con gli archi o gli strumenti a fiato.

Pedali pianoforte moderno

Nelle composizioni di Chopin l’utilizzo del pedale è fondamentale. Spesso, infatti, i suoi brani sono caratterizzati dall’uso di note gravi che fungono da sostegno e che si prolungano, sulle quali poi si distende la linea melodica che diventa così cantabile.

Un esempio calzante della funzione del pedale di risonanza lo abbiamo in questo brano che è il “Notturno opera 27 n.2“, che comincia con questa nota grave che funge da sostegno e impulso alla linea melodica

Notturno op 27 n 2

Altra caratteristica fondamentale della produzione di Chopin è il gusto melodico. Aveva una predisposizione per la creazione di melodie cantabili che derivava, come detto, dal suo amore per l’opera. Amava i compositori ma anche i cantanti. Un’altra delle frasi che spesso rivolgeva agli allievi era questa:

Andate a sentire Rubini (famoso tenore del periodo) se volete imparare a suonare”.

In pratica sosteneva che per imparare a suonare una melodia bisognava prendere esempio da chi, come i cantanti, aveva a disposizione lo strumento melodico per eccellenza: la voce.

Le sue composizioni risultano, di conseguenza, spesso caratterizzate da un notevole gusto melodico.

Altra sua caratteristica importante è l’aver scritto musica quasi solamente per il solo pianoforte. Ha composto raramente per pianoforte con altri strumenti. Oltre a due concerti per pianoforte e orchestra abbiamo qualche brano di musica da camera e alcuni per voce e pianoforte. Ma la maggioranza del suo catalogo è costituito da composizioni per pianoforte solo.

Anche questo lo rende un compositore atipico. Una delle motivazioni risiede nel fatto che Chopin poteva comporre solamente avendo a disposizione lo strumento. Non era come Mozart, ad esempio, che riusciva a comporre anche senza avere lo strumento davanti. Appunto per il procedimento, spesso frutto di un’improvvisazione col quale nascevano le sue composizioni, per Chopin era indispensabile poter disporre di un pianoforte.

Altra peculiarità che lo distingue sia dai compositori coevi che da quelli dei decenni successivi è quella di utilizzare molto spesso, nelle composizioni, idee e spunti che si ispirano alla tradizione popolare del suo paese di origine: la Polonia. Non solo perché ha scritto molte “Mazurche” o “Polonaise” che sono tipiche danze polacche, ma soprattutto in quanto ha inserito, in molti brani, stilemi compositivi melodici e di  accompagnamento, tipici della musica popolare.

La sua produzione di mazurche è vasta e di particolare importanza. La mazurca è un ballo popolare polacco in tempo ternario. Da questo punto di vista è simile al valzer, anch’esso in tre tempi, ma la differenza consiste nel diverso peso che gli stessi tre movimenti hanno. Il valzer, infatti, enfatizza molto il primo dei tre movimenti mentre nella mazurca i movimenti accentati sono il secondo e il terzo che, spesso, è suonato con un leggero ritardo per dare ai danzatori la possibilità di effettuare agevolmente i passi di danza. ( come sempre invito ad ascoltare il file qui di seguito per capire meglio cosa intendo dire)

Mazurca op. 6 n 1

Altra linea guida che non ci si aspetterebbe da un musicista così “romantico” è quella del suo amore con conseguente utilizzo, che a volte troviamo nelle sue composizioni, della tecnica del contrappunto, cioè la sovrapposizione di più linee melodiche, che ereditava direttamente da Bach. Questo non solamente perché per scaldarsi prima dei concerti amava eseguire brani dal “Clavicembalo ben Temperato” dello stesso Bach, ma soprattutto perché spesso, nelle sue composizioni, c’è un’attenzione rilevante al movimento delle “voci” interne. Di questo parleremo più nel dettaglio quando affronteremo i suoi “Preludi”, in particolare il numero 4.

Accennavo qui sopra al fatto che Chopin si scaldava prima dei concerti.

Non dovete pensare che Chopin fosse un “animale da palcoscenico” come il suo coevo Franz Liszt, tutt’altro.

Ha tenuto pochissimi concerti pubblici. Una trentina in tutto.  Il suo ambiente erano i salotti della borghesia nei quali suonava, magari a tarda sera, per allietare gli amici. Quell’ambiente intimo, costituito da persone raffinate, era il suo mondo. Li si sentiva maggiormente a suo agio. Lui stesso, infatti ha affermato:

Non sono tagliato per dare concerti. Il pubblico mi intimidisce, mi sento soffocare dalla loro frettolosa impazienza, paralizzato dai loro sguardi curiosi, ammutolito davanti a quei lineamenti sconosciuti”.

Nella sua produzione i 24 Preludi opera 28 rivestono una notevole importanza. Rappresentano, forse, l’opera che meglio raffigura la personalità di Chopin nella sua interezza.

Il termine Preludio indica una forma musicale che viene dal periodo barocco. Indica, come suggerisce il nome, qualcosa che viene prima……di qualcos’altro.  I più famosi sono i Preludi del “Clavicembalo ben Temperato” di Bach che precedevano le fughe della stessa raccolta.

I Preludi di Chopin, invece, non preludono a nulla. Sono forme chiuse e autosufficienti. L’aspetto interessante è che spessissimo sono composizioni molto brevi. A volte la loro esecuzione dura un minuto, o anche meno, e quelli più lunghi non superano i cinque minuti.

Sono costruiti utilizzando tutte e ventiquattro le tonalità, maggiori e minori. Ognuno di loro ha una personalità molto spiccata. In linea generale quelli “maggiori” hanno un andamento più aperto e sereno mentre quelli minori, ovviamente, sono più melodici, riflessivi, a volte cupi.

In tutti è presente, come accade nelle opere d’arte, il dono della sintesi. In pochissimo spazio sonoro sono infatti condensate emozioni forti e significative.

Non rappresentano foto, né istantanee, bensì sono un viaggio. Un viaggio all’interno dell’emotività umana.

Come ha scritto George Sand sono:

Un viaggio nell’anima di Chopin che in un solo gesto finito ha scritto l’infinito”.

Sono un caleidoscopio di emozioni. Ognuno può scegliersi i propri a seconda del momento o dello stato d’animo.

George Sand

Anche Robert Schumann, grande critico musicale, oltre a essere uno di più importanti compositori del periodo li ha così definiti:

Sono schizzi, principi di studio o, se si vuole, rovine, penne d’aquila, tutto disposto selvaggiamente e alla rinfusa. Ma in ciascuno dei pezzi sta scritto con delicata miniatura perlacea: “lo scrisse Chopin”. Lo si riconosce dalle pause e dal respiro impetuoso. Egli è e rimane il genio poetico più ardito e più fiero del tempo”.

Uno dei più famosi è, senza dubbio, il numero 4 in Mi minore. E’ stato suonato anche al funerale dello stesso Chopin insieme al “Requiem” di Mozart.

Io penso che molti di voi lo riconosceranno

Preludio n.4

E’, come avete potuto ascoltare, un brano cortissimo ma meraviglioso.

Ma cosa lo rende così speciale? Si potrebbe pensare che sia la melodia struggente che lo rende affascinante. Ma siamo su una strada sbagliata. Se noi ascoltiamo la melodia ci possiamo rendere conto che, praticamente, non c’è quasi melodia. Si tratta infatti, per gran parte della durata del brano, di un alternarsi di due sole note che vi faccio sentire isolate dal contesto

Solo melodia preludio 4

Il bello di questo brano sta nell’unione di questo frammento melodico con quello che accade nella mano sinistra, con il famoso movimento delle parti interne cui accennavo prima, riguardante l’uso del contrappunto.

Ascoltando attentamente la mano sinistra si può notare come vengano eseguiti accordi di tre suoni in cui le note si spostano lentamente e progressivamente verso il grave, a volte una sola, altre volte due insieme. Questi spostamenti creano delle linee melodiche, e se riprovate ad ascoltare l’inizio concentrandovi sull’accompagnamento della sinistra tutto dovrebbe essere più chiaro. L’insieme di questi spostamenti con quello che accade nella mano destra crea la magia

Ripresa Preludio 4

Il dono della sintesi lo troviamo specialmente nel Preludio n. 7 che dura circa un minuto.

È un ritratto. Ma il ritratto di un ricordo. Forse il ricordo di un momento di danza. Non è un racconto, piuttosto una reminiscenza. È un qualcosa che arriva avvolto dal tempo attraverso questa mazurca struggente

Preludio n 7

Stranissimo e particolare è il Preludio n.2, in tonalità di La minore.

Ha un’atmosfera cupa e inquietante. È caratterizzato da un ostinato ritmico dissonante. Non si capisce esattamente dove vada a parare, quale sia il “cento tonale”, la nota intorno alla quale tutto dovrebbe girare. È estremamente moderno. E alla fine, quando con una serie di note che formano una “cadenza” facendoti capire qual è il centro diventa tutto più chiaro, si crea quasi un effetto paradosso. Questo finale che è la parte più classica e “normale” sembra molto strano se paragonato all’atmosfera che l’ha preceduto

Preludio n 2

Ovviamente molti di questi preludi sono affascinanti come Il numero 14 o il 19 di un’estrema difficoltà ma con una melodia chiara ed orecchiabile. Il numero 20, ad esempio, sembra una marcia solenne, quasi un corale, che comincia forte e poi si spegne progressivamente con un uso sapientissimo della dinamica.

Volevo però farvi ascoltare l’inizio di uno dei più famosi. È il numero 15 chiamato anche ” La goccia di pioggia”. Questo appellativo deriva dalla presenza di una nota, costantemente ribattuta, che sembra imitare, come aveva pensato per prima George Sand, le gocce di pioggia che cadono.

Chopin non ha mai gradito questa definizione anche se, qualche anno dopo la composizione, anche lui, riferendosi a questo preludio, l’ha chiamato nello stesso modo. Forse la cosa non gli dispiaceva del tutto.

È uno tra i più lunghi, dura circa cinque minuti ed è diviso in tre parti A-B-A. Questo è l’inizio dal quale si deduce chiaramente il perché dell’appellativo che lo caratterizza

Preludio n.15

Un giorno, riferendosi a uno di questi preludi George Sand scrisse:

In questo preludio c’è più musica che in tutte le trombe di Meyerbeer” (un compositore operistico tedesco che operava in Francia molto famoso in quel periodo).

Una delle allieve di Chopin, Jane Stirling, poi divenuta sua amica disse sempre riferendosi allo stesso preludio:

Questi accordi vengono dal cielo piuttosto che dalla terra e in loro c’è una nostalgia che raggiunge l’eternità”.

E’ lo stesso Chopin a definire così, in una frase , il suo animo e la sua poetica:

È terribile quando qualcosa pesa sulla tua mente e tu non hai un’anima con la quale liberarti. Sapete cosa intendo. Ebbene io dico al mio pianoforte le cose che dicevo a voi”.