Un’apparente semplicità che arriva diretta al cuore
Puntata numero 36
L’artista deve dare una regola alla sua vita. Ecco l’orario esatto delle mie attività quotidiane:
Sveglia alle 7 e 18: ispirazione dalla 10 e 23 alle 11 e 47. Faccio colazione alle 12 e 11 e mi alzo da tavola alle 12 e 14. Salutare passeggiata a cavallo in fondo al mio parco: dalle 13 e 19 alle 14 e 53. Nuova ispirazione: dalle 15 e 12 alle 16 e 07. Occupazioni diverse (scherma, meditazione, immobilità, visite, contemplazione, agilità, nuoto, ecc.): dalle 16 e 21 alle 18 e 47. Il pranzo è servito alle 19 e 16 e termina alle 19 e 20. Poi, letture sinfoniche ad alta voce dalle 20 e 09 alle 21 e 59. Mi corico regolarmente alle 22 e 37. Una volta alla settimana, sveglia di soprassalto alle 3 e 19 (il martedì).“
Scriveva così parlando di sé il compositore francese Erik Satie, vissuto in Francia nel periodo tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del 1900, l’autore del brano di cui ci occuperemo oggi.
Era un tipo veramente strano ed interessante, un “unicum”, come si direbbe, all’interno della storia della musica e soprattutto del periodo in cui è vissuto.
Ci siamo già occupati di lui nella “Mollica” numero 13, quella relativa a “Peace Piece” di Bill Evans, nella quale abbiamo notato come il processo compositivo del brano riprendesse un’idea già presente in una delle composizioni più famose di Eric Satie appunto la “Gymnopedie numero 1.“
Satie era un tipo stravagante, con delle abitudini veramente particolari.
Viveva in una casa molto piccola, di due stanze, che chiamava “l’armadio” e una delle due stanze rimaneva perennemente chiusa. Nessuno dei suoi amici o dei visitatori ha mai potuto vedere che cosa contenesse in realtà.
Inoltre usciva sempre con un ombrello appresso ma, se per caso cominciava a piovere, lo nascondeva sotto la giacca per paura che si rovinasse.
Alla fine della sua vita quando, quando gli amici poterono finalmente entrare nella stanza che era sempre stata chiusa a chiave, trovarono una grandissima collezione di ombrelli tutti perfettamente conservati e un gran numero di abiti tutti dello stesso colore e della stessa foggia. Infatti, si vestiva sempre nello stesso modo, al punto tale che spesso i suoi amici si domandavano se non lavasse mai i vestiti che portava. In realtà ne aveva parecchi, ma erano tutti esattamente uguali.
Insomma, il tipico personaggio “genio e sregolatezza”, come si dice di qualsiasi vero artista.
Ritratto di Satie– Pablo Picasso
Tra l’altro lui non si definiva nemmeno un musicista perché, alla domanda “Chi sono io?” rispondeva così:
“Tutti vi diranno che non sono un musicista. È vero. Fin dall’inizio della mia carriera, mi sono, immediatamente, situato tra i fonometrografi. Le mie opere sono pura fonometria… nessuna idea musicale ha presieduto alla [loro] creazione… Il pensiero scientifico le domina. Del resto, a me piace di più misurare un suono che ascoltarlo. Così fonometro alla mano, opero allegramente e senza indugi. C’è qualcosa ch’io non abbia pesato e misurato? Tutto Beethoven, tutto Verdi, eccetera. È molto strano.”
Ma lasciando un attimo a parte queste abitudini veramente folkloristiche, possiamo dire di trovarci di fronte ad un’artista veramente particolare e interessante, precursore, tra l’altro, di due fenomeni che poi si sono affermati nella seconda metà e anche verso la fine del 900 , parliamo della musica da ambiente e del minimalismo.
Il concetto di musica d’ambiente, o da arredamento come lui la definiva, Satie lo espresse quando, durante una delle numerose serate passate nel cabaret “ Le Chat Noir”, uno dei più importanti di Parigi dove lui suonava all’inizio della carriera per sbarcare lunario, espose ad alcuni dei suoi amici un’idea, cito testualmente, :
” Bisognerebbe creare una musica da arredamento, da tappezzeria, che si mescoli col suono delle forchette e dei coltelli. Una musica da sentire e non da ascoltare”.
Questo è un concetto esattamente opposto a quello che molti musicisti sostengono, e anche dell’idea di fondo di queste Molliche d’ascolto, e cioè che la musica debba sempre essere ascoltata con una certa attenzione, e non soltanto subita passivamente.
Erik Satie
La musica ambient di oggi si basa su questa idea di “tappezzeria”. Noi abbiamo musica dappertutto, nei supermercati, negli ascensori, quando facciamo gli “happy hour”, un flusso continuo di suoni che, di solito, subiamo passivamente, al quale prestiamo praticamente un’attenzione nulla o molto scarsa.
Ebbene, il primo a proporre questa idea tra l’altro completamente osteggiata da tutti i colleghi musicisti e gli amici del tempo, fu proprio lui, Satie, l’ideatore del tipo di musica che oggi viene definita con un termine molto “cool”, “ambient”.
L’altro genere che lui ha anticipato di quasi 50 60 anni, è il cosiddetto “minimalismo”, cioè il fatto di utilizzare elementi molto semplici, spesso continuamente ripetuti, con pochissime variazioni, per creare un flusso sonoro che si modifica lentamente, senza dare adito all’ascoltatore di accorgersi di questi mutamenti.
Accennando brevemente alla sua biografia, possiamo dire che si iscrisse al Conservatorio di Parigi. Si stancò subito di un insegnamento che riteneva troppo accademico e lo abbandonò per dedicarsi alla carriera militare. Tuttavia anche questa scelta non lo lascio soddisfatto e ritornò a Parigi dove cominciò a suonare come pianista, appunto nel cabaret Le Chat Noir, locale frequentato da personaggi molto importanti come Claude Debussy , Mallarmé, Toulouse Lautrec e Cocteau, alcuni dei quali divennero poi suoi collaboratori nella seconda parte della carriera.
Di questo primo periodo è la composizione di questo brano “Je Te Veux”. In pratica è una tipica canzone da cabaret, che può essere sia suonata che cantata.
Questa e una versione con la voce
Je Te Veux
È un brano che si spiega praticamente da solo con un’atmosfera parigina del tutto “fin du siècle”.
In quello stesso periodo Satie compose i suoi pezzi praticamente più conosciuti, le “Trois Gymnopedies” e le “Trois Gnossiennes”, che poi sarebbero sette.
Questi brani hanno dei titoli che sono un’ulteriore testimonianza del suo carattere veramente ironico e burlone perché i titoli sembrano non c’entrare nulla con le caratteristiche e l’atmosfera della musica.
Il Termine Gymnopedie infatti si rifà ad un’antica festività spartana durante la quale avevano luogo delle danze di giovani nudi, probabilmente senza armi, danze eseguite con canti ed esercizi ginnici molto fisici. Nulla a che vedere con le tonalità così tenui e delicate di questi brani.
Anche il termine Gnossienne, in pratica inventato totalmente da Satie, ha poco a che fare con l’atmosfera dei brani. Probabilmente deriva dal termine “gnosi” che originariamente voleva dire conoscenza. Una conoscenza che si realizzava attraverso un contatto diretto con un’entità divina, al termine di un cammino spesso misterico, per garantire il raggiungimento di una salvezza spirituale agli iniziati.
Probabilmente questo titolo è influenzato anche dal fatto che Satie, in quel periodo, frequentava una setta esoterica, quella dei Rosacroce, un’altra delle stranezze che hanno contraddistinto la sua vita.
Per farvi apprezzare l’atmosfera di questi pezzi vi faccio sentire quello che, probabilmente, è il brano più famoso di questo compositore. La prima delle tre Gymnopedie
Gymnopedie n.1
È una composizione piena di fascino, estremamente elegante, un’eleganza portata con nonchalance, in un’atmosfera tenue e sofisticata.
Pur essendo molto semplice, con un ritmo costante e ripetitivo, rappresenta tuttavia una ventata di delicatezza e di novità nel panorama della musica francese ed europea di quel periodo.
Purtroppo però i soloni e gli intellettuali rappresentanti dell’arte accademica, non colsero mai soprattutto all’inizio queste caratteristiche e questa novità, e lo accusarono di essere in pratica un dilettante, incapace di curare la forma e lo sviluppo dei temi, caratteristiche ritenute fondamentali in quel periodo. Anche un suo amico fraterno Claude Debussy gli fece notare le sue carenze nello sviluppo della forma.
Erik Satie
Satie, per rispondere in modo ironico a queste accuse, decise di comporre tre brani per pianoforte intitolandoli “Tre pezzi in forma di pera”. Tipicamente alla Satie, potremmo dire.
Tuttavia, queste accuse lo ferirono abbastanza profondamente al punto tale che si mise a studiare più seriamente soprattutto il contrappunto. Divenne anche bravo, come testimoniano i suoi lavori successivi, paradossalmente però questo miglioramento tecnico comportò un po’ la perdita di alcune delle sue caratteristiche principali che erano la spontaneità e la semplicità.
Entrando più nel dettaglio del brano di oggi, la prima delle tre Gnossiennes, che poi in realtà sarebbero sette, ma anche questo fa parte della stranezza di Satie, possiamo notare alcune delle caratteristiche che rendono unica la sua musica
Gnossienne n. 1
A mio avviso, questa non musica né da arredamento né da tappezzeria, perché ascoltandola con un po’ di attenzione, ci vengono svelati molti particolari che contribuiscono a far arrivare direttamente questa musica al cuore e a suscitare emozioni.
Questa grande carica emotiva non è sfuggita ad alcuni i registi, al punto che questo brano in particolare, fa parte, ad esempio, della colonna sonora di un film molto interessante e coinvolgente del regista John Curran, uscito nel 2006 dal titolo originale “The Painted Veil”, in italiano “Il Velo Dipinto” e la musica si adatta perfettamente all’atmosfera che caratterizza tutto quel film.
Anche la struttura di questo brano come avete potuto notare è abbastanza semplice e si basa sul concetto di ripetizione.
Uno degli elementi che viene ripetuto costantemente ad esempio è il ritmo. Un ritmo portato dalla mano sinistra sul pianoforte con quella che, tecnicamente, si definisce una sincope. Una sincope è formata dalla presenza di una nota corta seguite da una lunga e poi un’altra nota corta. Praticamente la nota lunga è incorniciata dalle due corte in questo modo “ Ta taa ta, Ta taa ta, Ta taa ta” costantemente lungo tutto il brano come in questo esempio
Ritmo con sincopi
Anche gli accordi, che costituiscono la struttura armonica, si ripetono continuamente. In pratica ne abbiamo solamente tre . Uno sulla prima nota della scala, cioè il primo grado, in questo caso sulla nota FA ed è un accordo minore, un piccolo passaggio sull’accordo sulla quinta nota in questo caso DO, minore anche questo e l’altro è sulla quarta nota o quarto grado della scala in questo caso un SI bemolle ed è minore pure questo
I tre accordi
Altri due elementi che caratterizzano questo brano sono da una parte l’utilizzo costante di quelle che vengono definite tecnicamente “acciaccature” cioè quelle piccole notine che precedono la nota più importante quasi come delle damigelle d’onore.
Acciaccature
L’altro aspetto che impedisce a questa composizione di far parte della musica da ambiente è l’uso che Satie fa, nella terza parte, delle dissonanze che rendono particolarmente interessante la linea melodica.
Queste dissonanze sono dovute al fatto che viene utilizzata una scala di note alcune delle quali sono in contrasto con l’accordo che le accompagna. Eccone un esempio
Dissonanze
Oltre a tutto ciò avrete potuto notare come il brano sia costituito pratica da tre sezioni che vengono ripetute tra di loro. Sono presenti, è vero, delle variazioni di dinamica, ma in sostanza non c’è, come abbiamo detto, uno sviluppo vero proprio dei temi e il tutto viene caratterizzato da queste tre melodie giustapposte l’una alle altre
Struttura del brano
La novità di questi composizioni è evidente perché se pensate che siamo alla fine dell’Ottocento in pieno periodo post romantico in pratica Satie si lascia alle spalle secoli di musica complessa in favore di un linguaggio molto asciutto ma allo stesso tempo semplice originale e, come ha scritto un direttore d’orchestra,
“Satie praticamente stava facendo ricominciare da capo per la storia della musica europea”.
Ulteriore elemento presente sia nelle Gymnopedies che nelle Gnossiennes è la totale mancanza, in partitura, della divisione in battute, una divisione che corrisponde, potremmo dire, a quello che in letteratura è la punteggiatura, anticipando così in pratica di circa trent’anni quello che sarà poi l’Ulisse di James Joyce. Per chi ascolta questo fatto è del tutto ininfluente, ma per chi deve leggere ed eseguire questi spartiti la mancanza di divisione in battute rappresenta un ulteriore problema tecnico da affrontare per cercare di decifrare lo spirito che sta in mezzo a questi suoni.
Come già detto, negli anni successivi Satie ha composto anche musiche con caratteristiche completamente diverse, soprattutto perché, a un certo punto, è entrato in stretto contatto con lo scrittore Jean Cocteau il quale gli propose la realizzazione di un balletto dal titolo “ Parade” che sarebbe poi stato messo in scena dai “Balletti russi” di Sergei Diaghilev ,di cui ci siamo occupati a proposito de le “Sacre du Printemps” di Stravinsky, con le coreografie di Leonid Massine e le scenografie del quel genio di Pablo Picasso.
Il balletto fu rappresentato a Parigi con enorme scandalo sia perché la trama era costituita da comuni elementi come quelli di un intrattenimento popolare, considerati inadatti al mondo di élite del balletto, sia perché la musica aveva una partitura abbastanza strana nella quale erano compresi anche vari strumenti e marchingegni per produrre rumori tipo macchine da scrivere, bottiglie di latte, sirene e cose di questo tipo.
Questo scandalo poi causò una disputa molto accesa fra lo stesso Satie e un famoso critico musicale che diede del balletto una recensione totalmente negativa definendolo “un’offesa per il gusto francese”
Satie gli rispose scrivendo alcune lettere pesanti tra cui una in particolare in cui diceva
“Signore e caro amico, quello che io so è che lei è un culo se posso dire , un culo senza musica. Firmato Eric Satie.”
Volevo segnalarvi un ultimo aspetto interessante originale della sua poetica che colloca Satie fuori dal suo tempo. Qualche anno dopo aver composto I brani di cui abbiamo parlato, durante il periodo in cui si dedicò allo studio del contrappunto, compose un brano intitolato “Vexations” , estremamente corto, che occupa mezza pagina di uno spartito e di norma viene eseguito in un paio di minuti. In cima alla pagina appare la seguente indicazione:
“Per suonare questo motivo 840 volte bisognerebbe prepararsi in anticipo, nel più assoluto silenzio, con serie e scrupolose immobilità”.
Queste indicazioni sono state anni dopo presa alla lettera da un altro personaggio veramente particolare e originale come John Cage,, che stimava molto la musica di Satie, al punto tale che decise di realizzare in modo completo questa partitura prendendo alla lettera la frase e, tra il 9 e il 10 settembre del 1963 presentò la versione completa di “Vexations” in un teatro di New York, ingaggiando una squadra di pianisti che suonarono dalle 06:00 del pomeriggio alla mezzanotte e quaranta del giorno successivo.
Il New York Times rispose a questo invito di John Cage mandando una squadra di 8 critici a seguire l’evento, uno dei quali fini anche per suonare il pianoforte.
Tra il pubblico quella sera c’era anche un altro personaggio molto particolare e originale, Andy Warhol, che si ricordò benissimo di questa esperienza un anno dopo quando realizzò il suo famoso film di 8 ore sull’ Empire State Building.
Erik Satie, un personaggio carismatico di cui non si può disconoscere la grandezza.