Un incontro inaspettato ma estremamente coinvolgente
Trentunesima puntata
Mi sono appena addormentato, il telefono squilla.
Saranno le tre o le quattro del mattino. E’ Mimmo D’Alessandro, un promoter di Viareggio.
Ho sempre pensato che i manager non dormano mai.
“Ha sentito ‘Dune mosse’ e ha chiesto chi fossi. Poi ha voluto che ti chiamassi. Vuole suonarla con te”. Non so se l’inizio e il soggetto della conversazione si siano persi nel mio dormiveglia oppure se debba darli per scontati.
Poi realizzo che Mimmo D’Alessandro si sta occupando della tournée italiana di Miles Davis.
Questo è quanto scrive che Adelmo Fornaciari, meglio conosciuto come Zucchero, nella sua autobiografia “Il suono della domenica. Il romanzo della mia vita” edita da Mondadori nel 2011, dell’inizio della sua avventura con Miles Davis per la registrazione del brano “Dune Mosse” avvenuta nel 1988 a New York.
L’idea di questa “Mollica”, diciamo non programmata, mi è venuta tornando verso casa da un periodo di vacanza quando, improvvisamente, tra un notiziario e l’altro, sento uscire dallo stereo dell’auto due suoni inconfondibili, quello di una tromba con la sordina, e l’altro, altrettanto caratteristico, di una vocalità “soul”. Suoni che tutto avvolgono e, come due pifferai magici, mi costringono a seguirli con la fantasia.
“Dune Mosse” rappresenta un caso unico nella storia della canzone italiana e penso sia anche un brano estremamente interessante anche a livello internazionale.
Quando si parla di autori italiani come Zucchero, si scatena sempre la diatriba tra chi li difende a spada tratta e chi, forse per il solo fatto che sono italiani, li denigra, preferendo qualsiasi proposta venga dall’estero soprattutto quando arriva dagli States.
Zucchero è uno degli artisti che crea più contrasti in questo senso anche se è innegabile che abbia un curriculum di tutto rispetto in quanto nessun cantautore italiano può vantare collaborazioni con musicisti stranieri importanti come ha avuto lui. Ha collaborato infatti con Eric Clapton, Sting, Brian May, Mark Knopfler, B.B. King, Joe Cocker, Jeff Beck, Brian Wilson, John Lee Hooker, Steve Ray Vaughan e Paul Young. Ed è chiaro che se tutte queste stelle della musica internazionale hanno accettato di collaborare con lui evidentemente c’è in lui del valore e senz’altro gli va riconosciuto.

“Dune Mosse” è tratto dall’album “Blues”, pubblicato nel 1987. E’ il quarto album di Zucchero e contiene molti brani importanti come “Con le mani” scritto insieme a Gino Paoli, “Pippo”, “Non ti sopporto più”, “Senza una donna” da cui è stata tratta una versione in inglese-italiano cantata con Paul Young, il quasi blues di “Hey Man” scritto ancora con Gino Paoli per finire con la famosissima “Solo una sana e consapevole libidine salva il giovane dallo stress e dall’Azione Cattolica”. Insomma, un disco pieno di Hit che ha lanciato definitivamente la carriera di Zucchero in un periodo, tra l’altro, di grossa difficoltà a livello personale in quanto si stava separando dalla prima moglie.
E proprio per cercare di recuperare il matrimonio andò, insieme alla moglie, in vacanza, nella primavera successiva, a Miami, dove lo raggiunse la telefonata di cui parlavo all’inizio.
Era successo che Miles Davis, in tournee in Italia aveva ascoltato, su suggerimento del manager italiano, “Dune Mosse” e se ne era innamorato al punto che voleva suonarla insieme a Zucchero. La cosa non deve stupire più di tanto perché Davis, come vi ho ampiamente raccontato nelle Molliche a lui dedicate, era sempre molto attento e sensibile nei confronti di tutto quello che di interessante musicalmente, incrociava il suo cammino.

Quella stranissima telefonata, nel racconto di Zucchero, continua così,
“Sono le tre di notte, sono alle Maldive e tu mi fai gli scherzi telefonici”. Io queste cose non le sopporto.
“No, Zucchero. Devi essere a New York il 1° aprile per registrare con Miles”. Certo, bel pesce d’aprile. E butto giù.
Mezz’ora e il telefono squilla di nuovo.
“Zucchero, ascoltami. Miles Davis vuole fare questo pezzo con te. Dobbiamo essere a New York il primo di aprile”.
Cristo, sono le tre del mattino. Le tre del mattino del 25 marzo!
“Dobbiamo andare là”. Non credo alle mie orecchie.
Alla fine, ovviamente, Zucchero arriva a New York il primo di aprile e, sempre nel suo libro, racconta:
Miles Davis arriva in ritardo di un’ora. Vestito di pelle nera, guanti neri, occhiali neri, cappello nero. Non saluta nessuno. Me l’avevano detto che era un tipo scorbutico. Apre la custodia nera, con la tromba nera, giuro.
“Play the song”. Senza dire “ciao”, ripete:
“Play the song”.
Attacco. Si minore. Mi ferma subito: “You’re playing in the wrong key”.
Lo saluto: “Hi, Miles”. Non mi risponde.
Mi ripete che sto suonando nella tonalità sbagliata. Non capisco. Ricomincio. “What the fuck are you doing?”. Che cazzo stai facendo?
Gelo. Come, che cazzo sto facendo? L’ho scritta io, come faccio a sbagliarmi? “No, non è Si minore. E’ Si bemolle minore”.
“No”, dico. “Scusa Miles, l’ho scritta io. E’ Si minore”.
“No!”. Si incazza come una iena.
In pratica era successo che, molto probabilmente, Miles Davis aveva ascoltato il brano su un registratore a cassette con le batterie un po’ scariche e, con il nastro che girava più lentamente, la tonalità del pezzo risultava un semitono più bassa cioè Si Bemolle minore invece di Si minore. L’altra possibilità è che Davis, essendo un po’, diciamo, pigro preferisse la tonalità di Si bemolle minore, molto più comoda per uno strumento a fiato come la tomba, piuttosto che quella di Si minore molto più adatta alla chitarra, strumento con il quale Zucchero aveva composto il brano.
Alla fine, in ogni caso, Miles Davis suonò il pezzo nella tonalità corretta.

E il racconto prosegue:
Dopo un’ora mi domanda:
“Sei felice?”. Si gira di nuovo e mi fa: “This song makes me cry”, questa canzone mi fa piangere. “Your voice makes me cry”.
“Cazzo, thank you!”.
Certo che sono felice. Ha registrato sette versioni una dietro l’altra. Diversi assolo, improvvisazioni, contrappunti.
E poi alla fine mi fa: “You want more?”. Ne vuoi di più?
“No, però dimmi quale devo prendere. Qual è la migliore?”.
Lui mi fa: “Quella che vuoi, forse la penultima è quella ‘more in the air’”, quella più sospesa in aria. “Basta che non prendi le note sbagliate, anche se il mio amico Gil Evans diceva che nel jazz e nel blues non esistono note sbagliate”.

Quest’ultima frase rappresenta in pieno la poetica artistica di Miles Davis, uno dei musicisti più importanti del secolo scorso.
Ma cosa faceva piangere Miles Davis in questo brano? Cosa gli piaceva così tanto da voler registrare lui, una stella del firmamento musicale con un cantautore italiano, praticamente sconosciuto all’estero ?
Proviamo a partire dal testo anche se dubito che Davis abbia capito appieno il suo significato in quanto è un testo di difficile comprensione anche per noi madre lingua. E’ molto criptico e pieno di immagini evocative. E’ stato scritto, tra l’altro, in collaborazione con Marco Figliè che allora era suo cognato, malato di sclerosi multipla, poi, purtroppo venuto a mancare.
Comincia così:
“Un viaggio in fondo ai tuoi occhi,
dai d’illusi smammai”.
Qua si nota l’abitudine di Zucchero di scrivere alcune frasi prima in inglese e poi trasporle in italiano seguendone la sonorità. “Dai d’illusi smammai” vuol dire tutto e niente, probabilmente può voler dire “me ne andai dagli illusi” ma è importante rilevare che, al di là del significato, è il suono della frase che conta.
Il testo prosegue con:
“Un viaggio in fondo ai tuoi occhi,
solcherò Dune Mosse”
Tutta questa prima sezione musicalmente è in minore ed è molto statica, non si muove quasi nulla.
Comincia con la voce di Miles che fa una specie di countdown “four ,three , two , one”, poi partono delle percussioni miste un po’ acustiche e un po’ elettroniche usate però con molta parsimonia, non dimentichiamoci che negli anni Ottanta le percussioni elettroniche costituivano un “must”. A questo si unisce subito il suono inconfondibile della tromba con sordina di Miles Davis che fraseggia. Subito dopo entra un tappeto di tastiere che enfatizza la staticità del brano fino all’ingresso della voce di Zucchero. Questa prima sezione suona così
Risultano subito evidenti lo stile e la classe di Miles Davis che contrappunta la melodia vocale senza mai invaderne lo spazio e questo dialogo tra le due “voci” proseguirà per tutto il brano.
La seconda sezione vira un po’ anche su accordi maggiori. L’atmosfera cambia aprendosi leggermente.
Il testo recita:
“Don’t cry però, (ecco la solita commistione inglese-italiano, tipica di Zucchero)
Poi colammo giù
E miseri noi guardammo il blu.”
Anche questo verso estremamente poetico “Poi colammo giù” si presta a numerose interpretazioni ma, sicuramente, è un’immagine molto evocativa.
Il cambiamento nella parte musicale è abbastanza evidente perché entra anche un basso a sottolineare le fondamentali degli accordi che diventano via via maggiori dando così una prima apertura, un primo slancio al brano in questo modo
Dopo di questo le prime due sezioni, musicalmente parlando, vengono ripetute con delle variazioni per quello che riguarda la parte della batteria che diventa più presente e c’è anche l’introduzione di un pianoforte che fa dei piccoli fraseggi che rendono questa ripetizione leggermente più incalzante. E su questa maggior enfasi musicale il testo cambia e recita così:
“Il mare in fondo ai tuoi occhi
grembi nudi lambì
il vento in fondo ai tuoi occhi
carezzò dune mosse
don’t cry e noi
poi colammo giù
si rimbalzò e tornammo su”
Anche qui è da notare in particolare il verso “grembi nudi lambì” che mette in moto l’immaginazione di che ascolta quasi fosse un’immagine sonora.

La terza e ultima sezione del brano si apre ancora di più, sia musicalmente che come testo. Gli accordi sono tutti maggiori e il dialogo tra la voce di Zucchero e la tromba di Davis raggiunge livelli veramente coinvolgenti.
Il testo recita:
“Dentro una lacrima
E verso il sole
Voglio gridare amore
Non ne posso più.
Vieni ti implorerò
A rallentatore
E nell’immenso morirò”.
Il tutto viene preceduto da un pedale praticamente statico sul quale la tromba fraseggia in maniera sempre più incisiva preparando lo slancio di apertura di questa sezione che suona così
Questa terza sezione che rappresenta il climax di tutto il brano diventa uno dei momenti più significativi ed emotivamente interessanti dell’intera produzione musicale italiana degli ultimi quarant’anni.
Ci troviamo di fronte a due artisti che mettono il proprio talento, ognuno mantenendo le personali caratteristiche, al servizio del brano che stanno eseguendo, dialogando tra loro, senza imporre mai il proprio ego, ma cercando sempre il modo migliore per far arrivare all’ascoltatore emozioni e sensazioni importanti, dando ancora una volta la dimostrazione che il vero interprete è sempre colui che utilizza la propria tecnica e le proprie capacità per cercare di ottenere un risultato artistico e non per mettersi in mostra come spesso, purtroppo, accade.
Del resto, sono state proprio delle sensazioni e delle emozioni quelle che hanno spinto, circa trentacinque anni fa, un musicista del calibro di Miles Davis a voler collaborare con un artista a lui del tutto sconosciuto, per creare, insieme, uno dei brani più significativi degli ultimi decenni.
Un pezzo tutto da riascoltare con grande attenzione, grazie per questa opportunità. Del resto la grande musica e i migliori interpreti più lì ascolti e più ci entri dentro, più rivelano incredibili segreti che ti toccano profondamente. Di Davis,straordinario, non mi stupisco; qui la rivelazione è Zucchero che in questo brano tocca profondità vertiginose.
È chiaro che avendo un partner come Davis uno deve per forza dare il meglio di sé e Zucchero, in questo caso, ci riesce alla grande. Dune Mosse è un brano che va riscoperto perché rappresenta uno dei vertici della produzione musicale italiana. Grazie per il tuo intervento che denota sensibilità e gusto musicale.