Una delle arie più struggenti dell’ “Orpheus Britannicus”
Puntata numero settantadue
Nel 1695, poco tempo dopo la morte di Henry Purcell, il suo amico e poeta, John Dreyden, scrisse un’ode in sua memoria che così recita:
“Così depose il canto, all’arrivo di Purcell, lo stuolo dei rivali,
Ammutoliti, ammiravano in coro quell’uomo divino,
quell’uomo divino, ahimè,
arrivato troppo tardi, troppo presto ripartito.
Non gl’inferi imploreremo di restituirci il nostro Orfeo:
fosse andato laggiù, subito l’avrebbe respinto,
per paura, il sovrano infernale.
Troppo bene conoscono essi la forza dell’armonia,
e sanno che, accordate quelle sfere discordi,
colui d’un subito avrebbe soppresso l’inferno.
I cori celesti, sentita la sua voce,
calarono dal cielo la scala della musica,
e nella salita l’accompagnarono:
lungo il cammino egli li ammaestrava, lungo il cammino essi cantavano.
Voi confratelli dalle lire e dalle voci armoniose,
compiangete il suo destino ma rallegratevi del vostro.
Vivete sicuri e trascorrete tranquilli i vostri giorni.
Soltanto dei canti di Purcell gioiscono gli dèi,
né saprebbero mai fare altra scelta”.
Questa era la grande considerazione che gli inglesi avevano di Henry Purcell, chiamato anche “Orpheus Britannicus” , vissuto in Inghilterra nella seconda metà del 600.
Henry Purcell, che ha vissuto solamente 36 anni essendo nato nel 1659 a Londra dove è morto nel 1695, è stato uno dei più importanti musicisti inglesi di tutti i tempi.
Se dovessimo indicare i nomi dei compositori inglesi più importanti, per quello che riguarda la musica diciamo “colta”, e fossimo costretti a ridurre al massimo la scelta, ne rimarrebbero due: Purcell nel 1600 e Benjamin Britten vissuto nel secolo scorso.

Ovviamente ce ne sono stati molti altri ma questi due autori sono i pilastri imprescindibili, universalmente riconosciuti come i compositori più importanti cui l’Inghilterra ha dato i natali.
Anche quelli tra di voi che pensano di non aver mai ascoltato nulla di questo autore in realtà, magari, l’hanno già trovato durante il loro cammino.
Una delle sue composizioni, infatti, è stata utilizzata da quel mago della cinematografia che risponde al nome di Stanley Kubrick all’inizio di uno dei suoi film più famosi e controversi: “Arancia Meccanica” del 1971.

Nel film il brano è stato riarrangiato e riorchestrato da Wendy Carlos che lo ha eseguito interamente con un sintetizzatore.
In realtà è stato composto per il funerale della Regina Maria, morta il 5 marzo 1695 pochi mesi prima dello steso Purcell. Nella sua versione “originaria”, per quanto questo aggettivo sia da “prendere con le pinze” quando parliamo di composizioni così lontane nel tempo, il brano il cui titolo è “Music for the Funeral of Queen Mary” suona così
Purcell si è cimentato in composizioni di vario genere, sia strumentali che vocali, con particolare riguardo alle musiche per spettacoli teatrali.
La sua attenzione era soprattutto, rivolta a un genere allora nascente in l’Inghilterra, l’opera lirica in lingua inglese.
L’opera, in realtà, era nata in Italia agli inizi del 1600, a Firenze, in quel cenacolo di menti elette che rispondeva al nome di “Camerata de’ Bardi” luogo nel quale si ritrovavano musicisti, letterati, scienziati e artisti che diedero vita a questa nuova forma di spettacolo.
Molto presto divenne un genere sempre più amato dal pubblico soprattutto grazie al primo capolavoro universalmente riconosciuto che è “L’Orfeo” di Monteverdi del 1607.
Questa forma di spettacolo del tutto nuova, che potremmo definire multimediale, si diffuse rapidamente in tutta Europa e i due paesi più importanti per la sua affermazione furono all’inizio l’Italia e la Francia e nel secolo successivo anche la Germania.
Purcell in pratica incorpora nei suoi lavori elementi stilistici sia dell’opera italiana che di quella francese arrivando a creare uno stile particolare di musica barocca tipicamente inglese.

Quello che va sottolineato è che le opere che lui ha scritto compreso “Dido and Aeneas” della quale ci occuperemo, sono state scritte, e questa è una grossa novità, in lingua inglese.
Considerato che in quel periodo tutte le opere importanti erano scritte in italiano o francese e che anche quando questo genere prenderà piede in Germania l’italiano sarà la principale lingua usata nei libretti, questo fatto si rivela di estrema importanza.
Il testo di “Dido and Aeneas” è stato scritto da Nahum Tate un poeta amico di Purcell.

La data di composizione è abbastanza incerta. Alcuni pensano sia agli inizi degli anni 80 quando Purcell aveva poco più di vent’anni. Altri la spostano verso la fine di quel decennio, e sembra che questa seconda ipotesi sia la più probabile.
Molto probabilmente fu scritta per ambienti vicino alla corte reale degli Stuart e fu eseguita per la prima volta davanti allo stesso Re.
per questo fatto l’organico, sia vocale che strumentale, risulta estremamente contenuto dato che la prima è stata, quasi certamente, un’esecuzione privata.
I protagonisti principali sono solo tre : Didone, regina di Cartagine, la sua confidente Belinda ed Enea.
Per quello che riguarda la forma Purcell si è ispirato sia ad un genere molto in voga in Inghilterra, i cosiddetti “Masques” di corte, che prevedevano anche danze ed interventi del coro, che all’opera italiana, e a quella veneziana in particolare.
Questa seconda influenza si può notare soprattutto nell’importanza data alle “arie” che erano uno dei punti di forza degli spettacoli concepiti in Italia.

Quest’opera, inoltre, è completamente cantata. Non esistono parti recitate il che, per l’ambiente inglese dell’epoca, rappresenta un segno di grande attualità e modernità.
La sua durata è estremamente contenuta visto che non supera l’ora, e la trama si ispira chiaramente all’Eneide di Virgilio seppur con alcune significative differenze.
Arrivato a Cartagine dopo un lungo peregrinare via mare, l’eroe troiano Enea incontra e si innamora della regina Didone, una vedova che aveva promesso di essere sempre fedele alla memoria del marito defunto nonostante la presenza di numerosi spasimanti che ambivano alla sua mano.
La regina all’inizio non vuole concedersi ma successivamente, su consiglio della fida Belinda, decide di abbandonarsi alle gioie di questo nuovo amore.
A questo punto subentrano alcune differenze rispetto al poema di Virgilio.
Nell’Eneide, infatti, Enea riparte da Cartagine per obbedire al volere degli Dei e per compiere il suo destino. Nell’opera, invece, è spinto a partire soprattutto dalle forze del male, impersonate da tre streghe, che con un o stratagemma gli intimano di fuggire.
Qui Enea fa un errore madornale, tipico se vogliamo del genere maschile. Decide di partire senza dire nulla a Didone pensando di riuscire a fuggire inosservato. Il paese però è piccolo e la gente mormora e, ovviamente, la regina lo viene a sapere e si altera, diciamo così, notevolmente.
Vedendo la reazione di Didone, Enea prova a tornare sui suoi passi e dice disposto a restare nonostante tutto ma lei, donna fiera, si dimostra ferita e delusa dal suo comportamento e gli intima di partire dicendo più volte “Away, away” cioè “Vai via, lontano”.

Enea quindi parte e Didone, distrutta da questo amore che non potrà mai trovare pace, decide di togliersi la vita.
Possiamo quindi dire che questi due personaggi rappresentano, in parte, i prototipi di quello che avverrà spesso nelle trame delle opere dei secoli successivi. Sovente ci troveremo di fronte a personaggi femminili di alto spessore morale e di fiero carattere mentre, spesso, i protagonisti maschili, quasi sempre tenori, diciamo non si dimostrano quasi mai all’altezza della propria partner soprattutto da un punto di vista morale.
Il momento universalmente più conosciuto e più amato di quest’ opera lo troviamo alla fine ed è, appunto “Dido’s Lament”, il “Lamento di Didone”.
E’ un’aria estremamente toccante sia dal punto di vista del testo che per quello che riguarda la musica perché uno dei maggiori meriti di Purcell era quello di riuscire a dare grande risalto agli aspetti strettamente linguistici del testo che musicava.
La sua caratteristica, propria solamente dei grandi compositori, era quella di saper comporre brani che commuovono anche ascoltatori di epoche diverse rispetto a quella in cui sono stati scritti, superando così le mode contingenti e il comune sentire del momento.
L’aria è preceduta da un’introduzione nella quale Didone rivolgendosi a Belinda dice:
“Thy hand, Belinda… darkness shades me;
on thy bosom let me rest;
more I would, but Death invades me:
death is now a welcome guest!”
“La tua mano, Belinda… le tenebre mi spengono;
lasciami riposare sul tuo petto;
vi resterei più a lungo, ma la morte mi invade:
la morte ora è per me un’ospite gradita!”
A questo punto comincia l’aria vera è propria. Ha un testo cortissimo. Solo quattro versi.
“When I am laid, am laid in earth, may my wrongs create
no trouble, no trouble in thy breast;
remember me, remember me, but ah! forget my fate.
Remember me, but ah! forget my fate”.
“Quando giacerò nella terra, possano i miei errori
non turbare il tuo animo.
Ricordami, ricordami, ma dimentica il mio destino!
Ricordami, ma dimentica il mio destino!”
E’ notevole la fierezza e l’estrema grazia con le quali questa donna dice una cosa molto profonda “possano i miei errori non turbare il tuo animo”.
Purcell su questo testo costruisce un capolavoro.
Si basa su uno stilema compositivo nel quale lui era maestro indiscusso: il “Basso ostinato”.
Come suggerisce il nome si tratta di una frase eseguita da strumenti dal registro grave che continua a ripetersi, ostinatamente appunto, per tutta la durata della composizione.
In questo particolare caso questa frase è quella di un “basso di lamento” discendente, tipico del barocco, arricchito però in modo particolare. Non tocca infatti solamente tutte le note della scala tra quella più acuta e quella più grave, ma utilizza anche il “cromatismo” cioè tutti i suoni tra le due note compresi, diciamo così per capirci, i “tasti neri” del pianoforte. Praticamente, e scusate se sono un po’ tecnico ma ascoltando il file qui di seguito si capisce meglio, invece di passare tra la nota Sol e il Re più grave suonando “sol-fa-mi-re” la successione di note è questa:” sol- fa diesis- fa- mi- mi bemolle-re”. Il risultato è una sequenza che costringe lo stato d’animo a ripiegare ancora di più su se stesso.
Solo col pianoforte suona così
Su questo schema che potrebbe sembrare limitante ma che nelle mani di un compositore sapiente non lo è affatto, Purcell costruisce un’aria che si divide in due parti, ciascuna delle quali si ripete due volte.
La prima si conclude sulla frase “no trouble in thy breast”
Non odiatemi per l’interruzione ma volevo parlarvi anche della seconda parte.
E’ leggermente più lunga della prima. Anche questa viene ripetuta, e comincia con il verso: ”Remember me, remember me”.
Questa frase, che è l’inizio dell’addio, è cantata tutta utilizzando una sola nota, sempre quella.
È come il sospiro di qualcuno che sta affidando la sua voce al vento. Questo si nota soprattutto nella ripetizione quando veramente sembra che le tenebre stiano un po’ alla volta prendendo l’animo della regina Didone
E’ un’aria veramente struggente.
Si può trovare in versioni molto diverse a seconda dell’interprete e delle scelte nella strumentazione perché, come dicevo all’inizio, man mano che si torna indietro nel tempo le notizie e le fonti diventano sempre più vaghe e richiedono molta interpolazione da parte degli esecutori.
Io prediligo un cantato come quello che avete appena sentito. Un canto lineare con poco vibrato e con un sapiente utilizzo della dinamica. Ma, ovviamente, è una questione di gusto personale.
Questa, ad esempio, è un’altra versione interessante
La fama di quest’aria è notevole ancor oggi. Più volte, infatti, è stata eseguita anche da cantanti contemporanei di musica “leggera” come Alison Moyet e Jeff Buckley.
Ne esiste anche una versione molto recente, fatta un paio di anni fa da quella straordinaria artista che si chiama Annie Lennox già membro degli Eurythmics.
E’ stata registrata durante la pandemia, quindi da remoto come purtroppo si era costretti a fare in quel periodo.
Annie Lennox ha riunito intorno a se il coro delle voci di Londra il “ London City Voices” e il risultato è una versione in cui la parte strumentale è ridotta al minimo e le voci ricoprono il ruolo principale.
In un’intervista per la presentazione di questo lavoro Annie Lennox ha fatto una considerazione che mi trova totalmente d’accordo. Riferendosi al suo background di studi classici e ad un tipo di problematica molto attuale in questi anni, quella riguardante il “gender” ha sostenuto di essere, in realtà, “ genre fluid” cioè di amare e eseguire qualsiasi tipo di musica purché sia , per lei interessante.
L’inizio di questa versione così moderna e particolare è il seguente
Questo brano è l’ennesima dimostrazione dell’affetto e della considerazione che molti musicisti hanno ancor oggi per questo grande compositore, e testimonia la modernità di un autore che una delle prime pubblicazioni inglesi dedicata alla storia della musica, datata ai primi anni del 700, definisce “il nostro Shakespeare musicale”.
Qualche mese dopo la sua morte un noto editore musicale, Henry Playford, scrisse nella prefazione di una raccolta di sue composizioni:
“ Tutti conoscono lo straordinario talento di questo autore in qualsivoglia sorte di musica e tuttavia egli fu soprattutto ammirato per il genere vocale, per il suo particolare ingegno nell’esprimere l’energia delle parole della lingua inglese attraverso le quali egli muoveva le passioni di tutti coloro che le udivano”.
Molto bello ed esplicativo. Grazie
Grazie a te per aver letto e apprezzato.
Bellissimo spaziare nella musica di ogni tempo e arrivare a comprenderne l’essenza . Ci fai conoscere lo straordinario potere che ha trasversalmente ai secoli e ai generi. E questo grazie al fatto che lo conosci profondamente e puoi renderlo comprensibile a tutti! Grazie come sempre
Grazie a te per i complimenti veramente graditi. L’importante in musica, come ha detto Annie Lennox, e’ essere “gente fluid”. Il resto viene da sé.