Secondo Movimento

Puntata numero cinquantotto

Alla base di ciascun tempo egli pone sempre un tema cantabile, semplice ma ricco di possibilità, costruito cioè in modo tale da prestarsi alle più svariate combinazioni contrappuntistiche. Tutte le altre idee e le figurazioni secondarie sono intimamente affini al tema, così che il gioco strumentale si intreccia e si snoda coordinandosi in una forma unitaria. Ma nell’ambito di questa ingegnosa architettura è un ininterrotto di quadri meravigliosi, ove gioia, dolore, tristezza, esultanza si alternano e si compenetrano. E l’anima ascolta rapita quel linguaggio sconosciuto e comprende il significato degli oscuri presentimenti da cui era stata invasa.”

In questo modo Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, scrittore, compositore, pittore e giurista tedesco si è espresso a proposito della musica strumentale di Ludwig Van Beethoven.

Abbiamo già incontrato Beethoven nelle puntate 34 e 35 parlando di quel capolavoro che è la sua Settima sinfonia ma, ovviamente, Beethoven di capolavori ne ha scritti tantissimi perché è stato un compositore capace, come si suol dire, di “attraversare il tempo” e di arrivare fino a noi.

Ascolta il Podcast

Non a caso è il compositore più amato e, senz’altro, il più eseguito tra tutti quelli appartenenti al genere della musica cosiddetta “classica” definizione che, ripeto, è di comodo e del tutto imprecisa.

Beethoven rappresenta il prototipo del compositore e dell’artista moderno così come noi oggi lo intendiamo. Prima di lui i musicisti non erano  e non si ritenevano artisti, ma erano considerati alla stregua dei servitori, magari di una certa importanza, ma sempre servitori e, come tali, avevano, ad esempio, l’obbligo di indossare la livrea, abito tipico della servitù.

Livrea seconda metà 700

I loro datori di lavoro erano Re, Imperatori, nobili oppure il clero. Pertanto il loro compito era quello di scrivere musica per ogni occasione importante come feste, visite di personaggi di un certo livello, avvenimenti mondani oppure per le varie funzioni religiose e per le festività comandate se erano al servizio del clero.

Lungi da loro era il pensare che le proprie composizioni avrebbero avuto successo e sarebbero state eseguite dalle generazioni future.

Il primo ad affrancarsi da questa situazione socio-culturale fu Mozart in seguito al famoso episodio che avvenne quando il suo padrone, l’arcivescovo  Colloredo, lo scacciò facendolo prendere a pedate perché Mozart si era rifiutato di tornare nella piccola Salisburgo, dove era nato, dopo aver respirato l’aria culturale di Vienna che lo aveva affascinato in seguito ad una trasferta nella capitale dell’arcivescovo stesso e di tutta la sua servitù.

Arcivescovo Colloredo nel film “Amadeus” di Milos Forman

Beethoven è stato però il primo ad aver vissuto gran parte della sua vita come un artista indipendente.

Questo mutamento nella condizione sociale comporta, tra le altre conseguenze, anche una drastica diminuzione della quantità delle composizioni scritte sia da Beethoven che dai musicisti venuti dopo di lui a parte Schubert che è un caso un pò a parte.

 Il catalogo di Bach consta di più di mille lavori, Haydn ha scritto 108 sinfonie, Mozart ne ha composte 41 a fronte di un numero di 626 composizioni. La produzione di Beethoven si aggira intorno alle 130 opere. Egli ha composto, come tutti sanno, solamente nove sinfonie ognuna delle quali, però di proporzioni molto più ampie rispetto a quelle dei suoi predecessori. Sinfonie che sono frutto di un travaglio interiore fortissimo e di una grande tensione creativa.

Questo perché senza l’obbligo di soddisfare i desideri di un datore di lavoro Beethoven scriveva solo quando sentiva l’urgenza interiore di farlo. E’ stato anche il primo musicista a prendersi quelle che oggi verrebbero considerate “pause di riflessione” durante le quali cercava di indagare, cosa del tutto improponibile fino ad allora, quale fosse il percorso musicale migliore da affrontare. Aveva anche una grandissima capacità di progredire senza il bisogno di obblighi o stimoli esterni. Anche Bach o Mozart, ad esempio, avevano questa capacità ma, per loro, era soprattutto una conseguenza causata dagli obblighi stringenti di lavoro cui erano sottoposti dai loro padroni.

Era un musicista capace di sfidare tutte le mode anche a rischio dell’insuccesso pur di seguire la propria visione, e aveva la consapevolezza, tipica dell’artista moderno, di sapere che non esiste una vera grandezza senza un processo che può portare , a volte, all’isolamento e all’incomprensione da parte del pubblico pubblico.

Fu anche uno dei primi ad affrontare delle problematiche del tutto sconosciute ai musicisti del proprio tempo, problematiche riguardanti la  capacità di gestire il proprio lavoro e di districarsi nel complesso mondo dello sfruttamento economico dell’opera d’arte.

Ne è un esempio una lettera scritta al suo editore nella quale afferma:

Io non mi intendo di altra valuta che di ducati viennesi. Quanto faccia da voi in talleri o gulden non mi riguarda affatto perché sono veramente un pessimo uomo di affari che va male in matematica. Ora questo noioso affare andrebbe sistemato. Lo definisco noioso perché mi piacerebbe che, nel mondo, queste cose andassero diversamente. Al  mondo ci dovrebbe essere un mercato d’arte dover l’artista non dovesse far altro che consegnare le sue opere per averne in cambio tutto il denaro di cui ha bisogno. Ma così come stanno le cose un artista deve anche essere, in un certo senso, un uomo d’affari. E come può farcela, Dio mio. Questo lo dico un’altra volta, è un affare noioso. Quanto ai recensori di Lipsia si lasci pure che parlino. Non saranno certo le loro chiacchere a dare l’immortalità a chicchessia come, del resto, non la toglieranno a nessuno cui sia stata destinata da Apollo”.

Era , chiaramente un uomo alle prese con problematiche che riguardano, ancor oggi, tutti gli artisti e liberi professionisti. Questa è un’ulteriore testimonianza di quanto Beethoven fosse un musicista moderno inserito in un contesto sociale simile al nostro, in questo caso suo malgrado.

Di rilievo è anche la frecciatina che, sul finire della lettera, riserva ai critici , coloro i quali pensano di poter decretare il successo o il fallimento di un artista con le loro recensioni. Inutile dire che anche questa affermazione è quanto mai attuale.

Il brano di cui ci occuperemo in questa puntata è un concerto, il famosissimo concerto n. 5 per pianoforte e orchestra, composto tra il 1809 e il 1810, denominato “L’imperatore”.

Pianoforte primi 800

Cos’è un concerto?

Il termine deriva dal latino e, a seconda della parola che viene presa in considerazione, concertatum oppure consertum può significare combattere, gareggiare, intrecciare, annodare e, in alcuni casi anche litigare.

In pratica è una forma musicale che prevede due importanti personaggi: l’orchestra e il solista. E’ una delle forme più importanti, nata alla fine del  Barocco e affermatasi definitivamente durante il periodo classico, quello di Mozart, per diventare uno dei generi più amati durante il Romanticismo.

All’inizio si trattava quasi sempre di concerti per violino e orchestra, Vivaldi fu uno dei più prolifici compositori di questo genere. Poi, durante il Classicismo il violino venne un po’ soppiantato dal clavicembalo prima, e dal fortepiano poi e, successivamente, dal pianoforte fino ad arrivare al periodo romantico durante il quale sono stati composti  concerti solistici per , praticamente, qualsiasi tipo strumento e orchestra.

Il tratto distintivo di questo genere è che il dialogo, l’intreccio, l’incontro e, a volte lo scontro, tra lo strumento e l’orchestra ha determinato, col passare del tempo, un sempre maggior virtuosismo richiesto al solista che, nel periodo romantico, veniva visto, in pratica, come una vera e propria “star” amata e venerata dalle folle. Una star cui erano riservate  le stesse ovazioni e la stessa ammirazione che di solito erano rivolte ai cantanti d’opera.

Il musicista che affrontava da solo questa “lotta” con l’orchestra era considerato, nell’Ottocento, come il prototipo dell’eroe romantico.

Di solito il concerto per strumento solista e orchestra consta di tre movimenti, tre parti separate tra loro il cui andamento è veloce per il primo e il terzo mentre, il secondo movimento, generalmente ha un andamento più tranquillo.

Una delle caratteristiche dei concerti, soprattutto quelli del periodo romantico. è che, alla fine soprattutto del primo movimento, ma a volte anche degli altri, lo strumentista esegue quella che viene chiamata “cadenza”, un momento nel quale l’orchestra si ferma  permettendo così al solista di affrontare una parte  spesso  improvvisata, nella quale, elaborando temi e melodie del concerto stesso, può fare sfoggio di tutto il suo virtuosismo.

Un esempio di una cadenza di questo tipo è la seguente che è stata è scritta da Liszt per il concerto n. 3 per pianoforte e orchestra dello stesso Beethoven

Cadenza virtuosistica

All’inizio le cadenze erano improvvisate dai solisti poi, col passare del tempo, gli stessi esecutori hanno cominciato a trascrivere le loro cadenze facendole diventare , un pò alla volta, consuetudini al punto che oggi praticamente nessuno più improvvisa le cadenze stesse perché tutti ripropongono quelle dei solisti più famosi che sono ormai entrate a far parte del repertorio comune.

Il quinto concerto di Beethoven, da questo punto di vista, rappresenta un’eccezione perché la cadenza, che poi tale non è del tutto visto che l’orchestra interviene più volte, è stata scritta per intero dallo stesso Beethoven che, evidentemente, teneva molto alla struttura e alla forma di questo concerto e voleva evitare, in questo modo, che un solista magari troppo esuberante, potesse mettere a repentaglio l’architettura generale della composizione stessa.

Questo concerto è stato denominato “L’Imperatore” ma questa definizione, che peraltro è stato data non da Beethoven ma  dall’editore, che intuiva le possibilità di successo della composizione,   non si deve ritenere un omaggio ad un imperatore, tantomeno a Napoleone, ma va riferita sonorità generale del brano, alla sua importanza, nonché alla sua durata, superiore a quella di composizioni simili dello stesso periodo.

Il concerto è una delle ultime composizioni del cosiddetto periodo “eroico” di Beethoven che va, più o meno, dal 1801-1802 fino al 1810. E’ il periodo di tutte le sue composizioni più famose ed amate come la Terza e la Quinta sinfonia, il Concerto n. 4 per pianoforte o quello per violino. In questi anni la sua musica si caratterizza per i contrasti fortissimi sia di dinamica, con passaggi repentini da sonorità soffuse a vere e proprie esplosioni orchestrali , sia per quello che riguarda l’altezza dei suoni con volate improvvise e continue tra l’acuto e il grave, tra sonorità brillanti e quelle più scure. E’ una musica che cerca di rappresentare al meglio quello che era l’ideale illuminista caro a Beethoven cioè il percorso dell’umanità dal buio ai lumi della ragione, il passaggio dalle tenebre all’illuminazione della conoscenza.

Il concerto “Imperatore” è un chiaro esempio di questo e rappresenta anche il tentativo, da parte di Beethoven, di sfruttare al massimo le possibilità timbriche, sonore e di ampiezza di registro dello strumento che aveva a disposizione.

Bisogna tenere conto del fatto che il pianoforte degli inizi del secolo non assomigliava a quello che noi conosciamo oggi. Aveva una tastiera ridotta come numero di suoni, soprattutto verso l’acuto, la sonorità era inferiore a causa del telaio che non era di metallo, il  che determinava una minore tensione delle corde, e solamente da poco poteva era stato dotato del “pedale di risonanza” che permetteva di prolungare la durata dei suoni. Questo pedale verrà successivamente perfezionato contribuendo in maniera decisiva all’affermazione del pianoforte “romantico”.

Beethoven si fece anche promotore di quella che oggi si chiamerebbe una campagna di sensibilizzazione, per lo sviluppo tecnico dello strumento interpellando vari costruttori cui faceva presente le proprie esigenze. Chiedeva più tasti e un suono più robusto.

L’inizio del concerto è esemplificativo di questa esigenza nel senso che abbiamo una sequenza di accordi suonati dall’orchestra inframezzati da volate del pianoforte dall’acuto al grave e viceversa che sembrano forzare i limiti stessi dello strumento.

Questo inizio così iconico suona così

Inizio primo movimento

Questa esigenza, evidente in questo inizio, di andare a cercare i “limiti” dello strumento con questi continui passaggi dall’acuto a grave e viceversa, è dovuta anche, probabilmente, al fatto che in questo periodo, il cosiddetto periodo “eroico”, Beethoven si rendeva man mano sempre più conto dell’aggravarsi della sordità che lo affliggeva da una decina d’anni e che sarebbe poi diventata irreversibile. Cercava quindi, nella dinamica e nel contrasto tra il registro più acuto e quello più grave, probabilmente anche un aiuto per riuscire a sentire meglio quanto andava componendo.

Testamento di Heiligenstadt

Questo suo stato d’animo viene esemplificato molto bene in una lettera indirizzata ufficialmente ai fratelli ma, in pratica, rivolta a tutta l’umanità come fosse un testamento, chiamata, appunto,  il “Testamento di Heiligenstadt”:

O voi uomini che mi reputate, o definite, astioso, scontroso o, addirittura, misantropo, come mi fate torto. Voi non conoscete la causa segreta di ciò che mi fa apparire a voi così.

Il mio cuore, il mio animo, fin dall’infanzia erano inclini ad delicato sentimento della benevolenza, e sono sempre stato disposto a compiere azioni generose. Considerate però che da sei anni mi ha colpito un grave malanno, peggiorato per colpa dei medici incompetenti. Di anno in anno le mie speranze di guarire sono state gradualmente frustrate e se talvolta ho deciso di no dare peso alla mia infermità, ahimè, con quanta crudeltà sono stato ricacciato indietro dalla triste e rinnovata esperienza della debolezza del  mio udito.

Tutta via non mi riusciva di dire alla gente “Parlate più forte, gridate perché sono sordo”.

Come potevo confessare la debolezza di un senso che in me dovrebbe essere più raffinato che negli altri uomini e che, in me, un tempo raggiungeva un grado di perfezione massima. Un grado tale di perfezione quale pochi nella mia professione sicuramente posseggono o hanno mai posseduto. No, non posso farlo. Perdonatemi perciò se talora mi vedrete stare in disparte dalla vostra compagnia che un tempo, invece, mi era cara. La mia sventura mi fa doppiamente soffrire perché mi porta ad essere frainteso. Per me non può esservi sollievo nella compagnia degli uomini. Non possono esservi conversazioni elevate ne confidenze reciproche”.

Gustav Klimt : Il Fregio di Beethoven

Una delle  cose più interessanti di questa composizione è che in un concerto racchiuso da due movimenti esterni così imponenti e vigorosi, possiamo trovare un movimento, il secondo, che, in pratica, è un’oasi. Un’oasi di bellezza sublime, di tranquilla tensione. Un’oasi con un’atmosfera emotiva completamente diversa. E’ uno dei brani più conosciuti ed apprezzati di Beethoven. Un momento melodico tra i più amati di questo straordinario compositore.

L’inizio è estremamente accattivante e coinvolgente. Abbiamo la sola presenza degli archi che eseguono quello che, per la sua solennità e per il suo andamento lento, assomiglia a un corale.. Gli strumenti procedono in senso quasi “omoritmico” cioè eseguendo tutti la stessa figurazione ritmica. La sonorità è particolarmente soffusa perché, oltre ad una dinamica contenuta, gli archi suonano “col sordino”, una specie di morsetto applicato al ponticello che serve a smorzare la vibrazione delle corde.

sordina per violino

Questa introduzione prepara al meglio quella che sarà poi l’entrata del solista

Inizio secondo movimento

Il pianoforte entra con una serie di note discendenti quasi fosse alla ricerca del tema, della melodia, che poi esporrà. È un tema di una dolcezza e di una bellezza indescrivibile

Entrata pianoforte

E’ un peccato mortale interrompere una simile bellezza ma lo scopo è che poi voi possiate andare a scoprire questo movimento per intero con tutta calma.

Una delle caratteristiche fondamentali di questo movimento, presente anche negli altri due, ma qui particolarmente evidente, è la compenetrazione tra il solista e l’orchestra, due protagonisti che si scambiano sovente i ruoli. Non è, come accade di solito, l’orchestra che accompagna sempre il solista. Qui, invece le due entità si alternano nell’esposizione dei temi e nella fase di accompagnamento.

Uno dei momenti più importanti si ha quando il pianoforte esegue una serie ripetuta di trilli quasi andasse alla ricerca affannosa di un tema che poi, una volta trovato, esporrà in modo estremamente toccante e coinvolgente

Trilli e secondo tema

A questo punto si verifica quello che ho detto poc’anzi. Si rovesciano i ruoli. Adesso è l’orchestra che interviene ed esegue il tema che avete appena sentito, mentre il pianoforte si dedica ad accompagnare con una sonorità delicata fatta di poche note che ricorda quasi un Glockenspiel di “mozartiana” memoria.

E’, ovviamente, un altro dei momenti magici di questo movimento

Tema orchestra e finale

Verso la fine Beethoven prepara il passaggio, potremmo dire senza soluzione di continuità, al terzo movimento. Raggiunto il culmine il percorso vira, dapprima più delicatamente, poi in modo più deciso, l’atmosfera cambia completamente e viene introdotto il terzo e ultimo movimento.

In questi otto minuti circa di durata, dipende delle esecuzioni, sono racchiuse molte gemme e tanti momenti estremamente coinvolgenti.

E’ importante sottolineare come nell’immaginario collettivo Beethoven sia spesso visto come molto un personaggio energico ed impetuoso. Ebbene lui si presentava così, ma era spesso capace anche di  creare momenti di dolcezza e delicatezza notevolissimi come in questo caso

Lui stesso, parlando di sé, spiega questa sua complessità proprio nel “Testamento di Heiligenstadt”:

“Essere costretti a diventare filosofi ad appena ventotto anni per questa malattia, non è davvero una cosa facile, e per l’artista è più difficile che per chiunque altro.

O uomini, se un giorno leggerete queste mie parole, ricordate che mi avete fatto torto. E l’infelice tragga conforto dal pensiero di aver trovato un altro infelice che, nonostante tutti gli ostacoli imposti dalla natura, ha fatto quanto era in suo potere per elevarsi al rango degli artisti nobili e degli uomini degni”.