I Misteri dell’Orizzonte
René Magritte
Una musica che non racconta ma favorisce l’immaginazione.
Puntata numero novanta
“L’anima vostra è un paesaggio eletto
che maschere e bergamaschi van seducendo
al suono del liuto e tra le danze e quasi
tristi dietro il loro fantastico travestimento!
Cantando tutto in modo minore
l’amore vittorioso e la vita opportuna
par che non credano alla loro fortuna
e si confonde il loro canto con il chiar di luna”.
Paul Verlaine
Tra tutti i giganti della musica di cui abbiamo parlato, nel periodo a cavallo tra 800 e 900, Maurice Ravel , Gustav Mahler , Lili Boulanger, Igor Stravinskij, un posto di primo piano, senza ombra di dubbio, spetta al francese Claude Debussy.
La sua fama si può far risalire a due periodi, in particolare. Il primo all’inizio del secolo in Francia, in seguito al successo di composizioni come i Nocturnes e l’opera “Pelleas et Melisande”. Poi, nel secondo dopoguerra, un altro compositore francese Olivier Messiaen ha fatto conoscere i suoi lavori ad una schiera di giovani musicisti e compositori e, conseguentemente al pubblico..
Da quel momento Debussy ha goduto di fama e riconoscimento internazionali.
È un compositore estremamente elegante, fantasioso, ricercato dal punto di vista sonoro, molto francese. Viene spesso accostato agli impressionisti nonostante lui abbia sempre rifiutato questa contiguità.

Da un punto di vista concettuale e stilistico va rilevato il suo rifiuto di seguire la moda musicale francese di quel periodo. Ne è un chiarissimo esempio questa sua affermazione riguardante un’opera di Gustave Charpentier, suo coevo:
“Quest’opera serve fin troppo bene il bisogno di bassa bellezza e di arte imbecille cui tante persone fanno appello. Tutto ciò, insomma, è più stupido che brutto. Del resto la gente non ama molto la bellezza, perché è impegnativa. Poi la bellezza non si adatta alle loro piccole anime meschine”.
Magari qualcuno potrebbe pensare che questa affermazione abbia una valenza anche ai nostri giorni soprattutto in quel “Del resto la gente non ama molto la bellezza, perché è impegnativa”.
Per Debussy scopo dell’arte e della musica è quello di accennare, di circondarsi di mistero.

La musica deve suscitare analogie, non racconta, deve far intuire, deve favorire l’immaginazione di che ne fruisce. E’ un’arte che non può dare dei significati in quanto non ha un campo semantico definito. Spetta all’ascoltatore crearsi un proprio percorso, e vedere dentro alla musica quello che viene solamente disvelato senza mai essere del tutto rivelato.
E’, ovviamente, una considerazione completamente valida anche ai nostri giorni.
Claude Debussy è stato, fin da giovane un ribelle alle imposizioni accademiche, probabilmente anche a causa della sua formazione caratterizzata da una pluralità di esperienze musicali ed artistiche.

Ha vinto nel 1984, al terzo tentativo, il “Prix de Rome” di cui abbiamo ampiamente parlato nella puntata dedicata a Lili Boulanger. Nel suo momento di maggiore popolarità è entrato anche a far parte della giuria di questo prestigioso e impegnativo premio. Fu lui, in questa veste, ad esprimere lusinghieri apprezzamenti proprio sulla Boulanger quando la compositrice vinse, a sua volta, il prestigioso riconoscimento.
E’ stato affascinato dal Simbolismo, un movimento che l’ha spinto a cercare un nuovo linguaggio musicale, diverso da quello corrente in Francia in quegli anni. Il Simbolismo nasce in contrapposizione al Realismo. Per i simbolisti la realtà non va mai individuata nell’oggettività delle cose, bensì nelle idee. Fondamentale è ciò che si percepisce con l’anima. Ed è proprio questo l’essenza della musica di Debussy.

Amava Baudelaire, Verlaine, Mallarmé e la letteratura francese in generale. Questa sua passione risulterà evidente quando parleremo più nel dettaglio del brano oggetto di questo racconto, “Clair de Lune” la cui ispirazione si basa proprio su una poesia di Paul Verlaine i cui versi sono, in parte, citati all’inizio.
Lo stile di Debussy è molto personale e riconoscibile. Se consideriamo, ad esempio, una delle sue composizioni più famose, “ Prélude a l’après midi d’un faune” si può notare come, fin dall’inizio, l’atmosfera sia estremamente originale. E’ una sonorità eterea che mette immediatamente l’ascoltatore in una posizione di “ascolto attivo”. Per entrare in questo mondo, nel suo mondo, bisogna interpolare le suggestioni che arrivano. Non si può subirne passivamente il flusso sonoro.

All’inizio ci si trova davanti ad un flauto che, da solo, esegue una frase melodica discendente con molti “cromatismi”, cioè con note vicinissime le une alle altre. Poi la frase ritorna, in pratica, sui suoi passi compiendo quasi il percorso inverso. Il tutto è molto vago e non si capisce esattamente cosa stia succedendo. Ad un certo punto entra l’orchestra e, improvvisamente, quando il brano sembra “decollare” la musica si interrompe nel silenzio.
Tutto questi sono caratteri tipici della musica di questo autore. L’incertezza, su quanto sta per accadere, regna sovrana. Anche i colori orchestrali fanno la loro parte. Il suono è spesso terso, trasparente. I violini suonano in modo delicato, le sonorità basse vengono di molto alleggerite. Poi c’è il silenzio, altro elemento fondamentale nella poetica di Debussy.
Lui stesso ha più volte parlato delle intenzioni che stanno alla base della sua musica. Quando, ad esempio, gli fu posta la domanda su che tipo di librettista avrebbe voluto per la sua opera “Pelleas et Melisande”, la sua risposta fu estremamente significativa:

“Colui che dicendo le cose a metà mi permetterà di sovrapporre il mio sogno al suo. Colui che concepirà personaggi la cui storia e i cui luoghi non saranno di alcun tempo e di alcun luogo. Colui che mi lascerà libero di portare a compimento la sua opera”.
La sua musica allude ma non spiega. E’ avvolta nell’ombra da cui proviene e nella quale arriva poi a sprofondare attraverso l’uso del silenzio.
Il suo linguaggio artistico non poteva essere più lontano da quello che, fino ad allora, era lo stile imperante in Europa, e soprattutto in Germania, cioè quello derivato dal Romanticismo. Ecco quanto affermò una volta ritornato da Bayreuth dove aveva assistito, ammirato, ad una rappresentazione di un’opera di Wagner:
“Non sono tentato di imitare ciò che ammiro in Wagner. Io concepisco una forma drammatica diversa. La musica comincia la dove la parola è impotente ad esprimere. La musica è scritta per l’inesprimibile. Vorrei che essa sembrasse uscire dall’ombra e che, qualche istante dopo, vi ritornasse. Vorrei che fosse persona discreta”.
A questo punto vorrei fare una piccola digressione. Se non fosse per il chiaro riferimento a Wagner, questa frase poteva tranquillamente far parte della sceneggiatura di un film di cui abbiamo parlato nella puntata n. 52, “Tutte le Mattine del Mondo”.
È un affermazione che M. de Sainte Colombe, maestro nel film e nella vita reale di Marin Marais, avrebbe potuto rivolgere al suo “allievo” nel loro incontro finale “La musica è scritta per l’inesprimibile. Vorrei che essa sembrasse uscire dall’ombra e che, qualche istante dopo, vi ritornasse”

Un’altra cosa che caratterizza profondamente la musica di Debussy è quella che può essere definita come l’inizio del tentativo di disgregazione della tonalità. Si tratta di un discorso complesso ma, cercando di semplificare al massimo, possiamo dire che nel passaggio tra 800 e 900 molti musicisti cominciarono a rendersi conto che il sistema musicale fino allora vigente, stava esaurendo le sue potenzialità. Questo riguardava soprattutto i rapporti di importanza tra le note. Ad esempio, in una classica scala Do – Re- MI – Fa -Sol – La – Si – Do, che parte ed arriva allo stesso suono è evidente che la nota Do esercita un potere di attrazione su tutte le altre ed, in particolare su alcune di queste, finendo per essere un punto cui tutto fa riferimento, quasi una sorta di “casa”.
Nel sistema vigente fino ad allora la distanza tra due note uguali ma di altezza diversa come ad esempio questi due DO
è sempre stata colmata, sto semplificando molto, con sette suoni, quelli tipici della scala maggiore. Quella, per intenderci che, una volta, le maestre elementari insegnavano a scuola, costituita appunto dalle note Do Re MI Fa Sol La Si

Per cominciare ad erodere questi rapporti di attrazione Debussy spesso, nella sua musica, ha utilizzato una scala di soli sei suoni tutti equidistanti tra loro. Una scala chiamata, appunto, esatonale

In questo modo si perde, in parte, il rapporto di dipendenza tra le varie note. La sonorità di questa scala è abbastanza diversa da quella cui noi occidentali siamo, da secoli, abituati. Crea un effetto di indeterminatezza e di qualcosa di non ben definito.
Comincia a portarci verso un territorio diverso dal solito. Riascoltiamola.
Senza addentraci, come detto, in concetti troppo tecnici, era solo per farvi capire come Debussy utilizzi anche questo espediente, non solo questo ovviamente, per creare un paesaggio sonoro diverso dove i contorni sono sempre più vaghi.
Un altro esempio di questa atmosfera così intrigante, che era un maestro nel creare, lo abbiamo nel famoso brano “Nuages”, tratto dai suoi “Nocturnes” di cui è i primo movimento.
“Clair de Lune” è un esempio molto significativo di molte delle cose dette finora .
È una composizione per pianoforte la cui durata sta intorno ai cinque minuti. È senza dubbio una dei suoi brani più conosciuti e, probabilmente, tra i più famosi di tutta la letteratura pianistica. E’ stato orchestrato anche in svariati modi e più volte utilizzato come colonna sonora di film importanti : Sette anni in Tibet, Ocean’s Eleven, Canone Inverso. E’ anche il “protagonista” della scena finale di un film con Al Pacino e Michelle Pfeiffer Intitolato “ Paura d’Amare”.

Viene spesso eseguito a se stante ma, in realtà, fa parte di una composizione in quattro movimenti intitolata “Suite bergamasque”. La Suite è stata scritta da Debussy nel 1890 a ventotto anni, ma questo brano in particolare è stato ripreso e rivisto più tardi, nel 1905.
Non si può dire con certezza se sia stato solo rivisto nel 1905 o composto ex novo ma, in ogni caso, non è molto importante.
E’ rilevante invece notare come la Suite sia una forma musicale tipica del periodo barocco. Debussy sembra essersi ispirato ai clavicembalisti francesi del XVIII secolo, Rameau e Couperin su tutti. È costituita da un Preludio cui segue un Minuetto, tipica forma di danza. Il terzo movimento è appunto Clair de Lune, che all’inizio si chiamava “Promenade Sentimentale”. L’ultimo è un altro movimento di danza, un “Passepied”.
La fonte principale di ispirazione per Clair de Lune è stata, come detto, la poesia di Verlaine, con lo stesso titolo, soprattutto per quello che riguarda il verso: ““L’anima vostra è un paesaggio eletto che maschere e bergamaschi van seducendo al suono del liuto e tra le danze e quasi tristi dietro il loro fantastico travestimento!”

Proprio la frase “Que vont charmant masques et bergamasques” probabilmente è stata lo spunto iniziale per la composizione.
All’interno di questa “suite” Clair de Lune è un momento a sé stante. Non ha a che fare con la danza, perché è qualcosa di più riflessivo, introspettivo direi.
All’inizio quello che colpisce è la sonorità. Il pianoforte viene utilizzato in modo estremamente delicato. Il suono è terso, direi quasi etereo. La musica sembra evocare lo spazio esistente tra la luce e l’oscurità. Anche qui non si capisce esattamente da subito quale sia il centro, la casa del brano. Solamente dopo un po’ di battute questo diventerà più evidente.

Tutto è poco definito anche perché gli spunti melodici non partono mai dove sarebbe logico, cioè all’inizio delle battute, sul tempo forte, ma cominciano costantemente un po’ dopo. Quasi sempre sono le note basse della mano sinistra ad iniziare, come fossero un invito per le note più acute suonate dalla mano destra.
Le figurazioni ritmiche cambiano in continuazione, a volte sono gruppi di due note, a volte di tre. Anche questo contribuisce a dare un senso di poca stabilità. Le linee melodiche sono appena accennate. Sembrano dispiegarsi ma poi si richiudono su se stesse.
Da un punto di vista della struttura con la quale il brano è costruito siamo in presenza di una forma in tre parti A – B – A’. La sezione A’ indica la ripetizione della prima parte con dei piccoli cambiamenti. Non bisogna però farsi ingannare. Tutte le ripetizioni presenti non sono mai esattamente uguali alla prima proposta, ma risultano sempre leggermente differenti, a volte anche per piccoli particolari che, ad un ascolto distratto, possono sembrare poco significativi.
È una composizione veramente famosa. Magari per qualcuno potrebbe risultare fin troppo conosciuta. Vi invito, pertanto, a provare ad ascoltarla con “orecchie nuove”, come fosse la prima volta. In questo modo forse potrete notare molti dettagli che magari, ad un ascolto ripetuto e distratto, possono sfuggire.
Anche questo è un inizio emozionante ma quasi sospeso e il centro tonale, la casa, ci sarà chiara solo dopo alcune battute e ve la indicherò nell’ascolto.
La parte A verso la fine rinforza un attimo per preparare la parte B dove tutto cambia per la presenza di uno slancio melodico che sembra arrivare, tanto atteso, dopo una lunga preparazione.
Questo passaggio tra le due sezioni è orchestrato magistralmente da Debussy. Abbiamo dapprima una serie di note del basso che progressivamente salgono verso l’acuto creando attesa e tensione. Successivamente vengono introdotti quattro accordi arpeggiati in modo estremamente delicato. Qui tutto sembra fermarsi ma, in realtà, questi accordi rappresentano un mirabile invito cui la melodia della parte B non può resistere.
Nella parte B, come detto, c’è uno slancio melodico evidente. E’ una melodia che si dispiega sopra un movimento della mano sinistra quasi frenetico. Tutto diventa ritmicamente più vivo e movimentato rispetto alla sezione precedente.
Poi abbiamo la ripresa della parte A, leggermente variata. Questo momento è veramente un gioiello di delicatezza. Il suono diventa, se possibile, ancora più etereo rispetto all’inizio e, di nuovo, estremamente evocativo. In questa ripresa tutto sembra uguale a prima ma nulla è esattamente lo stesso. Le ripetizioni sono dissimili come se, alla fine di questo viaggio, di questa esperienza, noi tornassimo a casa mutati nello spirito e arricchiti dall’esperienza vissuta . Questa dovrebbe poi essere sempre la quintessenza dei viaggi che intraprendiamo nella nostra vita.
E’ un brano meraviglioso e rappresenta un omaggio al genere dei “Notturni”, soprattutto al musicista che forse più di tutti si è dedicato a questo genere, Chopin. In particolare, probabilmente Debussy si è ispirato al suo “Notturno op. 27 n. 2” , con il quale “Clair de Lune” ha alcuni punti in comune.
Non posso chiudere questa puntata se non con una frase di Debussy, illuminante rispetto alla definizione della sua poetica:
“La musica non è espressione del sentimento. È il sentimento stesso”.

Che meraviglia, Sandro!!! Che meraviglia! Ho ascoltato la sua musica fra le ultime piante secolari dei nostri boschi, ed è stato come sentirmi dissolvere nell’invisibile; un’esperienza di gioia pura, che augurerei a tutti, ma proprio a tutti… Soprattutto a quelli che trovano la Bellezza impegnativa. Un grande abbraccio di gratitudine, Sandro.
E’ un augurio che condivido anche perche’ e’ sempre più: importante circondarsi di persone che per le quali la bellezza e’ impegnativa. Grazie per l’entusiasmo e la positivita’ che ti contraddistinguono sempre.
Bellissimo brano che crea emozioni sempre diverse. Nelle varie reinterpretazioni presenti sul web mi è piaciuta molto quella di Tiffany Poon. Ascoltate cosa succede al minuto 5.16…
Grazie per l’articolo
Grazie per il commento. Ascoltero’ volentieri la versione che suggerisci.