Elisabetta Renolfi
di Herbie Hancock
Da Cantaloupe a Cantaloop il passo può essere breve o lungo…….
Puntata numero cinquantatré.
“Tutti noi siamo istintivamente portati a imboccare la strada più sicura, a scegliere le soluzioni già sperimentate invece di assumerci dei rischi. Ma questa è l’antitesi del jazz che, per sua natura, si fonda sul qui ed ora.
Jazz significa essere dentro il movimento, in ogni momento. Significa fidarti della tua capacità di reagire al volo. Se ci riesci non smetterai mai di esplorare e di imparare, nella musica come nella vita”.
Questa è stata la risposta alla domanda su cosa fosse e rappresentasse per lui la musica jazz, data dal pianista e compositore afroamericano Herbie Hancock.
Herbie Hancock, classe 1940 tutt’oggi in attività a ulteriore dimostrazione che un rapporto attivo con la musica contribuisce senz’altro a mantenere giovani la mente e lo spirito, è un altro di quei musicisti che hanno sempre rifiutato di essere etichettati, e confinati, come appartenenti ad un solo genere musicale.

Ragazzo prodigio, come si usa dire, è entrato molto presto a far parte di uno dei gruppi jazz più importanti di tutti i tempi, capitanato da quel grandissimo musicista che è stato Miles Davis : il famoso quintetto degli anni 60 con Ron Carter al contrabbasso, il giovanissimo, allora diciassettenne, Tony Williams alla batteria e Wayne Shorter al sassofono. Un quintetto che ha segnato la storia del jazz diventandone uno dei gruppi più importanti e carismatici.

Quindi Herbie Hancock è stato un altro dei musicisti usciti dalla fucina di quel grandissimo scopritore di talenti che è stato Miles Davis dai cui gruppi sono usciti, e ne abbiamo ampiamente parlato nelle puntate 10, 11 e 12 a lui dedicate, per restare nell’ambito dei pianisti e solamente negli anni fine 60 inizio 70, oltre a Hancock anche Joe Zawinul, fondatore successivamente dei Weather Report, Chick Corea che ha formato prima i “Return to Forever” poi “Elektric Band” e altre formazioni e il grandissimo Keith Jarret del quale abbiamo parlato nell’ormai lontana prima puntata dedicata a “Somewhere over the Rainbow”, con il suo famoso trio e con la strepitosa carriera solista.
Herbie Hancock ha sempre prestato molta attenzione a tutto ciò che succedeva musicalmente ai confini del mondo del jazz e anche oltre, fin dall’inizio della sua carriera.
Si è sempre guardato intorno cercando stimoli e ispirazioni in tutto ciò che riteneva interessante, traendone spunto per le sue composizioni.
“Cantaloupe Island” ne è un esempio abbastanza significativo.

La sua inclinazione ad avere un rapporto molto sanguigno, fisico e ritmico con la musica l’ha dimostrata fin da subito quando nel 1962, ad appena ventidue anni di età, ha inserito nel suo primo album solista “Taking Off” un brano con un andamento ritmico estremamente sostenuto ed evidente, un’idea che verrà poi rielaborata per Cantaloupe Island, il cui titolo è “Watermelon Man” ispirato, secondo lo stesso autore, al tipico grido di richiamo dei venditori di cocomero sulle spiagge per incuriosire i bagnanti.
L’inizio è questo
In questo brano l’aspetto ritmico è estremamente importante. C’è una frase di pianoforte, in gergo si dice “vamp”, che viene ripetuta costantemente e sostiene tutto il pezzo. Su questa frase poggia un tema semplice e incisivo.
Queste caratteristiche le ritroviamo anche in “Cantaloupe Island”, brano del 1964 che fa parte dell’album “ Empyrean Isles”, che diventerà, col passare del tempo, un cosiddetto “standard”.

Gli standards sono brani entrati a far parte della tradizione e della cultura musicale americana e costituiscono il background artistico di qualsiasi musicista e cantante che si rispetti. Sono tratti da film, oppure musical o opere, come “Summertime”, “Somewhere over the Rainbow”, “Someday my Prince will come”, “My Funny Valentine”, per citarne solo alcuni. Ci sono poi composizioni originali di grandi jazzisti che, col tempo, diventano anch’essi standard come “So What” di Miles Davis, “Goodbye Pork Pie Hat” di Mingus, al quale abbiamo dedicato una puntata e, appunto “Cantaloupe Island” di H. Hancock.
Alcune peculiari caratteristiche di questo brano lo hanno fatto diventare uno standard.
Cantaloupe Island comincia così
Una delle prime cose da notare riguarda la struttura che è abbastanza semplice.
Si tratta, infatti, di un giro di sedici battute, in gergo si chiama “chorus” che si ripete costantemente un po’ come nel blues (che però è molto spesso di dodici battute). Questo da una certa agilità e compattezza al brano e lo rende facilmente memorizzabile anche da parte del pubblico.
Poi abbiamo quella che, forse, è la sua caratteristica più importante : l’impulso ritmico.
Il ritmo infatti non è strettamente jazzistico ma si basa su un “riff”, cioè una sequenza continuamente ripetuta dalla mano sinistra del pianoforte e dal contrabbasso, che si snoda per tutto il brano. Un’idea dalla quale la musica rock attingerà poi a piene mani, ad esempio.
Questo riff ha una caratteristica importante e ve lo faccio sentire, estrapolato dal contesto e più lentamenete , per renderla evidente
Ciò che rende questo riff così interessante dandogli una spinta e un impulso particolare, è la posizione della seconda nota che si trova su una parte generalmente debole di un movimento, in questo caso il secondo, che si definisce “levare”
Adesso riascoltate l’esempio di prima
Questo fatto può sembrare una sottigliezza ma, se io vi facessi ascoltare lo stesso riff con la nota dove dovrebbe essere posizionata, cioè sul battere del terzo movimento, vi potreste rendere conto di come, in realtà, tutto il ritmo si fermerebbe quasi, risultando un po’ seduto e senza spinta.
E io ve lo faccio sentire così come sarebbe in questo caso
Altro aspetto del brano è che su questo riff si innesta la mano destra di Herbie Hancock che suona quella che, sempre in gergo, si chiama “vamp” cioè una frase ad accordi della durata di una battuta (quattro movimenti) che si ripete costantemente e che comincia, anch’essa, in levare contribuendo notevolmente ad accrescere l’impulso ritmico
Le due cose, combinate insieme, danno questo risultato
Altra peculiarità di Cantaloupe Island è che l’intero brano consta di soli tre accordi. Questo da moltissima libertà agli improvvisatori di muoversi alla ricerca delle linee melodiche più efficaci senza doversi preoccupare troppo di una struttura armonica particolarmente densa e, in questo senso, il brano chiaramente si ispira al jazz modale di cui abbiamo parlato sempre nelle puntate relative a Miles Davis, che ha avuto nello stesso Davis uno dei principali artefici.
Ricapitolando:
- Ritmo avvincente con questi appoggi in levare che danno spinta
- Mano destra che contrappunta
- Parte armonica costruita su solo tre accordi
- Struttura abbastanza contenuta (16 battute) e ripetitiva
- Linea melodica fatta di poche note, incisive, che si ripropone uguale su due dei tre accordi
Il totale da questo risultato
E, a questo punto, ve lo faccio risentire da Herbie Hancock, il che chiaramente, è molto meglio, in modo che possiate mettere insieme tutto il quadro.
Vi chiedo di prestare anche particolare attenzione al tema, così come lo esegue Freddie Hubbard alla tromba, perché è reso interessante dalla presenza di quelle che si chiamano “ghost notes” cioè quelle note che non si capisce esattamente se vengono suonate o meno. Note che noi sentiamo, o immaginiamo di sentire. E’ un esecuzione, passatemi il termine, un po’ a spizzichi e bocconi, molto intrigante, che lascia libertà all’ascoltatore di interpolare le cose che “sembrano” mancare

Herbie Hancock, negli anni, ha quasi portato avanti quasi delle carriere parallele, una più strettamente jazzistica e l’altra, come accennato prima, attenta a molti degli stimoli e dei cambiamenti provenienti dalla sena musicale dei decenni successivi a questo brano.
Nel 1973, ad esempio, ha prodotto un brano intitolato “Chameleon” che prende spunto dal funk, molto in voga in quel periodo. Dieci anni dopo ha prodotto “Rockit” una hit internazionale in cui sposa l’elettronica e si ispira al nascente fenomeno dell’Hip Hop.

Nel 1987 ha vinto il premio Oscar per la colonna sonora del bellissimo film di Bertrand Tavernier “Round Midnight”.
Ha sempre considerato con attenzione anche la musica pop prendendo alcuni brani particolarmente significativi di autori come Peter Gabriel, I Beatles, Simon e Garfunkel, Sade per riproporli con un sapore jazzistico in un album intitolato, appunto “ The New Standard”.

Questa sua attenzione anche alla musica non strettamente jazzistica ha incuriosito, agli inizi degli anni 90 un gruppo inglese, gli Us3, appartenente alla stessa etichetta che Hancock aveva negli anni 60, la Blue Note, i quali hanno ottenuto il permesso di riutilizzare l’idea di fondo di Cantaloupe Island campionando come si dice, la parte di piano, cioè registrandola per poterla inserire in un altro contesto. Gli Us3 hanno composto così un brano dal titolo “Cantaloop”.
Il titolo stesso ci spiega tante cose, sia lo spunto da cui sono partiti, cioè Cantaloupe, che la tecnica utilizzata per la realizzazione, cioè quella di usare i “loop”, che sono frasi ritmiche campionate, appunto, ripetute ad libitum, che costituiscono l’ossatura di tutti i brani hip hop

E’ anche importante notare come il tema, suonato da un trombettista, peraltro molto bravo, abbia un sapore diverso, più seduto e più canonico, senza le “spigolosità” dell’esecuzione di Freddie Hubbard.
Cantaloupe Island è divenuto un cavallo di battaglia di molti jazzisti e lo stesso Hancock lo ripropone continuamente durante i suoi concerti ancor oggi, ovviamente in modo sempre diverso e con varie formazioni.

Tra le innumerevoli versioni che potete trovare anche su YouTube, volevo segnalarvene una del 1990 con un quartetto di “All Stars” con Hancock al piano, Pat Metheny alla chitarra, Jack DeJohnette alla batteria e Dave Holland al contrabbasso. E’ una versione pirotecnica, registrata dal vivo e dimostra come il brano, nonostante gli anni passati dalla prima incisione sia ancora estremamente attuale
Dopo l’esposizione del tema parte l’assolo di Herbie Hancock di cui vi faccio sentire la parte finale a ulteriore dimostrazione della grandezza di questo musicista, uno di quelli che hanno contribuito maggiormente alla diffusione della musica e della cultura afroamericana nel mondo
Vi consiglio di guardare il filmato, che è impreziosito anche dalle camicie molto variopinte di Pat Metheny e DeJohnette che devono, evidentemente, essere andati dallo stesso fornitore……..anche l’aspetto estetico ha la sua importanza.
Per chiudere, cercando di rendere ancora più evidente cosa voglia dire suonare musica jazz e quanto conti, in questo ambito, la conoscenza e l’ascolto reciproco, riporto qui un’esperienza, quasi un aneddoto, raccontato dallo stesso Herbie Hancock riguardo un episodio avvenuto negli anni 60 quando era in tournée col quintetto di Miles Davis:
“Stoccolma, metà anni 60, sul poalco con il Miles Davis Quintet. Siamno in tour. Lo show è incandescente, la band affiatata, tutti sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda. La muasica fluisce. Cìè contatto con il pubblico, è una magia, un incantesimo.
Tony Williams, il batterista prodigio che ha cominciato a suonare con Miles da ragazzino, è un vulcano.
Le dita di Ron Carter volano su e giù sul manico del contrabbasso. Il sax di Wayne Shorter urla come un indemoniato. Noi cinque siamo diventati un’entità sola, seguiamo la corrente della musica.
Stiamo suonando “So What”, un classico di Miles e raggiungiamo ml’apice quando ci lanciamo verso il suo assolo. L’intero pubblico è stregato.
Miles attacca, apre la strada all’assolo e, un attimo prima di scatenarsi fa un respiro.
Proprio in quel momento io suono un accordo completamente sbagliato. Non ho idea di come mi sia venuto, so soltanto che è l’accordo sbagliato nel momento sbagliato, e ora eccolo li che penzola in bella vista come un frutto marcio.
“Oh merda”, penso. E’ come se avessimo costruito una meravigliosa casa sonora e io le avessi appena dato fuoco.
Miles si ferma per una frazione di secondo, quindi suona delle note che, non so come, per miracolo, fanno sembrare giusto il mio accordo in quell’attimo, credo proprio di essere rimasto letteralmente a bocca aperta.
Che razza di stregoneria era? Da li Miles spiccò il volo, sfoderando un assolo che portò il brano inj una direzione nuova.
Il pubblico era in delirio.”
Grazie, emozionante seguirti.
Grazie a te, spero di essere stato abbastanza chiaro nonostante alcuni aspetti un po’ tecnici che però era importante sottolineare.
Chiarissimo e il dipanare della spiegazione è molto bello, sintatticamente e musicalmente.
Mi fa molto piacere, veramente.
Post splendido per uno dei grandi artisti del nostro secolo
Assolutamente. L’ho visto in concerto lo scorso anno di divertirsi ancora in mezzo a musicisti alcuni dei quali avevano meno della metà dei suoi anni. Grazie per l’apprezzamento.
Grande post, fantastico. Possiamo condividerlo sul portale Tracce di Jazz Magazine?
Assolutamente si, mi farebbe molto piacere. Sono contento ti sia piaciuto. Grazie veramente.
Per me il jazz è la musica della motivazione; il genere che ascolto più spesso e non mi stanca mai, non mi deconcentra quando disegno, anzi! Lo ascolto quando devo andare un po’ via con la mente e farmi un viaggetto in una dimensione altra (solo musica, ci tengo a sottolineare 😀 :D). E’ un viaggio sempre nuovo. Lui l’ho scoperto a 21 anni, quando ero a Dresda, o a Leipzig, non ricordo bene e mi presi un paio di cd in un megastore; Hancock e Petrucciani. Li associo a quel periodo e ovviamente il cuore mi batte ascoltandoli anche solo per quello. Non sapevo nemmeno perché, ma scelsi quelli fra migliaia di cd, senza saperne nulla di jazz. Sono stata molto, molto molto fortunata. Non li ho più lasciati. Sono felice che tu ne abbia parlato, perché mi hai “letto” un’artista che per me è immenso, nel tuo modo magico e super competente. Grazie! E quei cd li ho sempre lì, da anni, insieme ad altri che ho preso in seguito nel tempo; sono stati spesso la mia salvezza.
Il jazz è stato il terzo genere conosciuto e praticato dopo il rock e la classica e prima di scoprire il mondo del teatro con annessi e connessi. Ho sempre avuto un debole per quelli che io chiamo “i Fab Four” che non sono i Beatles per me ma i quattro moschettieri usciti dalla fucina di Miles Davis, Hancock, Corea, Zawinul e Keith Jarret. Hancock e Corea sono i più sanguigni con un approccio al ritmo sempre molto evidente. Il fatto che tu apprezzi Petrucciani depone, ancora una volta, a tuo favore. L’ho visto in concerto ed era talmente magico che, dopo poco, non vedevi più la sua figura così minuta, ma ti concentravi solamente sulla botta di musica che ti arrivava. Hai scelto delle belle “ancore”….. di salvezza. Grazie.
Hai elencato tutte le mie stelle polari! Per me non c’è storia; questi artisti mi risollevano l’anima anche se la vita ogni tanto me la mette sotto le suole. Era appena morto mio padre, quando scoprii questa musica e sì, per me sono stati letteralmente delle ancore di salvezza. La parola esatta è “gratitudine”. Petrucciani è pura magia, per me. Ma anche Keith Jarret ha qualche cosa che ti porta altrove, come in una fiaba magica. Io non lo so spiegare tecnicamente, ovviamente; posso solo raccontare l’effetto che hanno e hanno sempre avuto sulla mia vita. Se devo pensare a qualche cosa di davvero bello, pulito e potente, penserei alla loro musica.
Nel caso di Keith Jarret, ma questo vale anche per gli altri, non è indispensabile capire. Basta lasciarsi trasportare ed essere pronti ad accogliere ed affidarsi a loro e a quello che trasmettono.
Affidarsi è una di quelle cose che abbiamo un po’ perso per strada ma è una “condito sine qua non” per cogliere quello che di buono la vita ci offre.
Certo, ma preferisco scegliere di affidarmi a loro questo mi viene facile. 😀 Mi viene meno facile su altri fronti. MI fido dei boschi e delle montagne, con rispetto e le dovute cautele; e poi mi fido della musica dell’Arte, i primi due perché li conosco abbastanza bene, gli ultimi due perché mi hanno sempre fatto un sacco di bene. Per il resto, ho fede in chi e in ciò che sostiene e difende la Vita, e oggi non sono in molti.
Non era strettamente rivolto a te🙏 ma solo per dire che oggi, purtroppo, generalmente si è troppo pieni di se stessi e poco propensi a dare agli altri la possibilità di esprimersi senza essere sopraffatti dai pregiudizi e dalla presunzione che uno si ritiene sempre migliore comunque.
La possibilità di esprimersi non è prevista in questo paese (lo scrivo minuscolo, non a caso); esprimersi significa realizzare se stessi e non fa parte degli obiettivi educativi di questa società. Chi si impone perché rivendica il diritto di esprimersi, viene castrato sul nascere; in questa società accade questo, in generale. Non sono pregiudizi reali e presunzione reale, secondo me; questi sono alibi di facciata. E’ che c’è proprio un obiettivo chiaro, a monte, di non permettere a chi ha qualcosa da dire, di dirlo, a prescindere dal mezzo che intende usare. E non è un caso se artisti, letterati, ricercatori, talenti di qualsiasi tipo, nel nostro paese sono decenni che non emergono. Intendo dire Talenti veri. Volenti o nolenti, le varie Marie di Filippi e Programmi con la x di mezzo, hanno distrutto tre generazioni di potenziali veri artisti. Il punto è che non ci si accorge che sta succedendo questo e che è voluto; perché ci sono mille veli, mille modi per camuffare una realtà che è sotto gli occhi di tutti e farla sembrare qualche cosa di diverso. IO guardo ai fatti, ai risultati. E mi chiedo perché i giovani o se ne vanno o non vogliono fare nient’altro che i calciatori o gli influencer o i ballerini e cantanti televisivi. E la qualità si vede nelle varie esibizioni canore e nei vari san remo (lo scrivo minuscolo non a caso). La mediocrità mista all’ostentata banalità. Il disamore dilaga ovunque. Ma non è importante questo; l’importante è che niente di veramente buono e di valore nasce più da anni in questo paese, in tutti gli ambiti. E nessuno si chiede perché.
L’importante è resistere, sempre, e cercare di portare avanti le proprie idee in tutti i modi. Prima o poi qualcosa comincerà a cambiare e se non succede, almeno non ci saranno rimpianti.
Alla Musica mi affido senza problemi 🙂
Per questo io preferisco pensare alle montagne, ai boschi, all’Arte e alla musica… il resto non lo posso cambiare. Lo vedo, lo capisco, ma non lo posso cambiare; ci ho provato per vent’anni e alla fine ho capito che non si può. 🙂 Io mi limito a prendere il meglio, nonostante il peggio e mi salvo la vita così. Mi piacerebbe che anche altri facessero altrettanto, perché è un bel modo per salvarsi, ma anche qui, non dipende da me. Io posso solo provare a fare quello che posso, con i limiti che ho. Poi mi consolo con chi come te sa fare meglio e molto. E si va avanti così, improvvisando al momento come i suonatori di jazz e cercando di produrre qualcosa di degno. Prolissamente parlando. 😀
E vai avanti alla grande. Te lo garantisco👍👍👍
Grazie della fiducia; farò di tutto perché sia ben riposta.