/Oh la la

Francesca Bana

Una canzone specchio del tempo in cui viviamo

Puntata numero 39

È difficile fare un disco che può creare divisioni nel pubblico . Penso però che sia    nostro dovere dividere la gente perché questo e ciò che rende la nostra musica viva è interessante anche se si corre il rischio di perdere dei fan.

È molto più pericoloso quando ti dicono:” Questo disco suona come l’ultimo che hai fatto”.

Questo e il pensiero artistico del cantautore australiano Nick Cave da lui esplicitato in una conversazione con il suo amico e collaboratore Warren Ellis, mentre parlavano del loro ultimo lavoro il cui titolo è “Carnage”.

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Sono sempre stato affascinato dalla personalità del cantautore Nick Cave, anche se questa definizione è riduttiva  essendo anche uno scrittore, un attore è uno sceneggiatore, sin da quando l’ho scoperto, devo dire non molti anni fa, in seguito ad un incontro abbastanza fulminante, da un punto di vista artistico, con un suo brano intitolato “No more shall we part”, che ho poi inserito nella musica a sostegno di uno spettacolo teatrale al quale stavo lavorando.

Ciò che mi ha sempre colpito è la sua capacità di portarti a scavare, con i testi e con il suono della sua voce così personale a volte gutturale, fin nel profondo del tuo animo alla scoperta, possiamo dire, degli anfratti più nascosti, per poi prenderti per mano e risollevarti con delle melodie delicatissime e intense che sembrano sbucare nei suoi pezzi quasi dal nulla.

La sua carriera in realtà è lunghissima perché è cominciata più o meno nei primi anni 80. E’ una carriera caratterizzata da vari periodi, dal quasi punk rock degli,  inizi fino alla svolta di sapore spirituale più che religioso degli ultimi anni.

Una carriera che lo ha visto quasi sempre in compagnia di un gruppo, i “Bad Seeds “, il suo gruppo, che è sempre stato il suo alter ego tanto è vero che il marchio “Nick cave and the Bad Seeds” è uno dei binomi più famosi più conosciuti e più amati dai fan di tutto il mondo.

La sua è stata , ed è, una vita artistica e personale molto travagliata, caratterizzata negli ultimi anni da eventi veramente nefasti che avrebbero potuto minare per sempre la sua capacità di  scrivere  musica. Nel volgere di sette anni infatti sono venuti a mancare due figli, l’ultimo nella primavera di quest’anno. Perdite che ovviamente lo hanno segnato nel profondo.

La canzone di cui ci occuperemo oggi è tratta dal suo ultimo lavoro, uscito un anno e mezzo fa in piena pandemia, il cui titolo  è già tutto un programma “Carnage”, che vuol dire carneficina , e che è stato concepito a detta dei suoi autori appunto in quel periodo nel giro di due o tre  giorni di lavoro intensissimo e febbrile.

Perché questo è il primo disco di Nick Cave senza il suo gruppo i, Bad Seeds ,ma solamente con un membro di questo gruppo, il polistrumentista Warren Ellis che collabora con lui dalla metà degli anni 90.

Nick Cave e Warren Ellis

Il disco è frutto di una collaborazione veramente particolare e intensa, che deriva da una convinzione profonda e personale, che lo stesso Nick Cave  ha avuto modo di spiegare, con queste parole, sempre rivolgendosi al suo partner artistico durante quell’incontro di cui parlavo all’inizio.

“Posso sedermi al piano e scrivere una canzone, sono perfettamente capace di farlo, ma è un tipo di canzone che è limitata da quello che riesco a fare musicalmente. Se mi siedo al piano e canto diventa un certo tipo di canzone. Quando mi allontano da questo modo di comporre e lascio che tu intervenga, la canzone può andare dappertutto. Quando mi siedo al piano non riesco a improvvisare e a cantare, perché so che cosa succederà quando le mie mani toccano i tasti. Quando canto la musica che stiamo facendo insieme non so dove la musica stia andando , perché l’atto creativo riguarda tantissimo il fatto di aprirsi e di esporsi anche se si è molto vulnerabili. Bisogna essere audaci e vulnerabili ha lo stesso tempo”

Questa dichiarazione è il manifesto di quelle che si può definire “l’Arte a quattro mani”. Manifesto suggellato anche da un’altra affermazione sempre dello stesso Nick Cave che, riferendosi sempre al suo partner e collega Warren Ellis, afferma che:

“l’amicizia ti rende una persona migliore sia in ambito creativo che non, e sono convinto che la nostra collaborazione mi rende un migliore musicista”.

 Devo dire che in questo lavoro questa filosofia di vita e artistica si percepisce perfettamente.

E’ un disco particolare, interessantissimo, che va per certi versi metabolizzato non essendo di primissimo impatto, a parte in alcuni brani, soprattutto perché è un disco fatto di “canzoni non canzoni”, cioè di brani in cui la forma della canzone, quella costituita da strofa poi un’altra strofa, un ritornello, preceduta magari da un intro , con un bridge in mezzo, cui segue una coda finale, viene  messa da parte.   Sia la musica che i testi rappresentano quasi un libero fluire di idee che poi trova un comune percorso grazie all’alchimia del rapporto tra questi due musicisti.

Uno degli esempi più eclatanti lo troviamo nel brano intitolato “White Elephant” in cui c’è un monologo praticamente recitato da Nick Cave, con un testo durissimo, pieno di metafore che alludono ad alcuni degli episodi capitati negli Stati Uniti in quell’anno, tipo l’uccisione di quel manifestante determinata da un poliziotto che con il ginocchio gli schiacciava il collo impedendogli di respirare.   Su questo testo   recitato, successivamente Warren Ellis ha composto una struttura musicale,  in cui il testo stesso si incastra perfettamente però con una certa libertà. La cosa interessante è che lo stesso Nick Cave ha affermato che brano funziona appunto perché quando lui ha registrato in studio il testo, non sapeva assolutamente che cosa poi Warren Ellis avrebbe costruito musicalmente. E come spiega lui stesso:

“Se avessi sentito quella parte così ritmica probabilmente avrei recitato il test in un altro modo più preciso musicalmente, ma meno interessante da un punto di vista artistico ed espressivo

White Elephant

Come avrete potuto facilmente notare questo praticamente è quello che,  in musica, si potrebbe definire quasi un “recitativo” . Nick Cave, in pratica, recita una poesia e l’accompagnamento molto cupo pesante e denso che Warren Ellis ha costruito sostiene benissimo un testo di cui torneremo a parlare più dettagliatamente affrontando il discorso su Balcony Man.

Ci sono molti momenti estremamente interessanti in questo lavoro, come la sopraccitata White Elephant che, dopo questo inizio così ritmico, sfocia in quello che potremmo definire quasi un gospel, sia da un punto di vista ritmico che melodico. Qui il testo alleggerisce molto l’atmosfera e lancia dei segnali di speranza rispetto alla cupezza della parte iniziale. “A time is coming”, cioè sta arrivando un tempo,” a time is nigh”,  il tempo è come un nostro vicino,” For the Kingdom in the Sky “, per il Regno dei cieli,” Don’t ask who”, non chiedere chi,” Don’t ask why”, non chiedere perché, perché c’è un Regno nel cielo e “ We are all coming home for a while”, arriveremo tutti a casa per un po’ . E il contrasto tra queste due parti è veramente particolare

White Elephant finale

Ma ci sono molti altri momenti molto interessanti in questo disco, come la ieratica “ Lavender fields” , con le sonorità prodotte da tastiere così filtrate  al punto che non si capisce esattamente che tipo di strumenti siano stati usati . E’ quasi un salmodiare ripetitivo, che ti avvolge un po’ alla volta. Su queste sonorità Nick Cave snocciola un testo che, come gli altri , non segue una trama narrativa, ma è costituito da una serie di  di immagini che ti prendono , ti colpiscono e ti lasciano pensieroso s riflettere.

Lavender Fields

Una delle cose fondamentale in tutto questo lavoro, come giustamente ha rilevato un critico musicale, è il fatto che, in un periodo in cui le canzoni e i video tratti dalle canzoni ti spiegano tutto e ti fanno vedere tutti i dettagli, è fondamentale che ci siano ancora dei brani musicali ,e dei testi ,che lasciano all’ascoltatore la possibilità di crearsi un mondo e un suo immaginario.

Per inciso questa affermazione mi trova non solo totalmente d’accordo, ma di più, e devo dire che i testi di questo disco ti lasciano aperto veramente un immaginario incredibile.

Oltre a questi momenti interessanti, secondo me nel disco ci sono almeno tre gemme, che ti arrivano e ti colpiscono in modo particolare per l’unione molto ben calibrata tra musica e testo.

La prima è la “title track”, Carnage che, a dispetto del titolo, in realtà è un brano dolce con delle melodie appena accennate di tastiera sulle quali si intersecano frasi di testo veramente notevoli, accompagnate dagli slanci melodici di cui parlavo all’inizio. Questa, ad esempio, è una delle  più significative e toccanti che io abbia mai letto in una canzone . “ It’s only love whith a little bit of rain”,  intraducibile in italiano perché qualsiasi traduzione tu gli possa dare non ne rende il significato . La stessa frase viene ripetuta più avanti, sempre con una linea melodica che ti prende, anche perché cantata da una voce baritonale come quella di Nick Cave che quando si lancia in queste frasi melodiche acquista ancora più personalità, leggermente variata” it’s only love driving through  the rain, rolling down the mountains like a train”

Carnage

L’altra perla è “ Albuquerque” che, basandosi su una semplicissima sequenza di accordi e su una melodia fatta di pochissime note suonate al piano, ma molto toccanti,  presenta un testo  intriso dal sentimento causato dalla pandemia,  “and we won’t  get to Amsterdam or that lake in Africa darling” , non andremo ad Amsterdam o su quel lago in Africa cara, e qui c’è un rimando al testo di un’altra canzone sempre sullo stesso album. E poi “and we won’t get to anywhere, any time this year darling”  non andremo da nessuna parte e in nessun periodo di quest’anno . E  in un verso successivo si dice che” non andremo nemmeno ad Albuquerque” intesa quasi come una specie di “Shangri la”, un luogo mitico dove fantasia al quale la fantasia corre veloce

Albuquerque

Ma il brano che alla fine mi ha colpito di più è l’ultimo del disco e si intitola appunto “Balcony man” l’uomo del balcone, o dal balcone, o al balcone.

Da un punto di vista musicale e un brano strano perché è complesso e contemporaneamente semplice.

Complesso perché più che una canzone assomiglia, e questo può sembrare un paragone veramente ardito ma non lo è, a un’aria d’opera, perché c’è una prima parte che in pratica è un recitativo,  seguita da una seconda che comincia improvvisamente caratterizzata da una melodia veramente toccante e struggente che ti prende un po’ alla volta e ti entra dentro.

 Entrambe le parti sono caratterizzate da elementi veramente semplici musicalmente parlando. All’inizio c’è un tappeto praticamente immobile, suonato dalle tastiere, e quando entra il pianoforte, comincia la melodia e il brano diciamo così decolla, siamo talmente presi che facciamo fatica a renderci conto che in realtà il tutto è costituito da pochissimi elementi e che la successione degli accordi è molto semplice e lineare.

Suonata solo col pianoforte più o meno è questa

Struttura di accordi

Nell’ultimo articolo, quello in cui vi parlavo di Desafinado di Tom Jobim, accennavo alla complessità del brano e vi dicevo che è molto più complesso di qualsiasi brano di musica leggera voi possiate sentire oggi, ma dicevo anche che questo non era un giudizio di merito ma solamente una constatazione.

 Quello che voglio ribadire, Infatti, è che non è detto che una musica complessa sia bella e interessante, ovviamente Desafinado e tutta la Bossa Nova sono sia complesse che belle e interessanti,  come non è detto che  una canzone semplice sia poco interessante e artisticamente di scarso valore.

 Balcony  man ne è un esempio. E’ un brano con una struttura che sembra complessa ma in realtà è molto semplice. Si basa su una sequenza di accordi veramente lineare che però utilizzata in un certo modo e con l’aggiunta del timbro di voce particolarissimo di Nick cave e della linea melodica che questa voce canta finisce per diventare un prodotto di altissima qualità.

È un testo, quello di Balcony man, che rappresenta perfettamente il momento che abbiamo vissuto tutti noi durante la pandemia. In quel periodo tutti noi eravamo dei “balcony man” cioè degli uomini sul balcone che guardavano fuori, impossibilitati a fare, con l’immaginazione che andava a mille.

E’ un testo che vi consiglio di leggere attentamente che comincia con “che cosa devo credere io sono the balcony man quando tutto è normale fino a che non lo è più.”  Troviamo poi una metafora veramente interessante “ I’m two hundred pounds of paked ice sitting on a chair and in the morning sun putting on my step dancing shoes o my lap dancing shoes in the morning sun”,  “sono 100 kg di ghiaccio pressato seduti su una sedia nel sole del mattino e mi infilo le mie scarpe di danza nel sole del mattino”. Qui troviamo un riferimento alle lacrime d’elefante di cui parla anche testo di White elephant appunto. Queste lacrime d’elefante hanno a che fare con i ricordi di Nick Cave che gli arrivano perché lui ha una memoria da elefante, e sono ricordi da cui tutti noi ci facciamo prendere e ci fanno venire lacrime a dimensione di elefante, animale, che è risaputo, dotato di una grande memoria.

Altre immagini significative le abbiamo quando questa frase cambia leggermente trasformandosi in “100 kg di sangue ed ossa sdraiati sulla tua sedia preferita “oppure un’altra in cui lui diventa “100 kg di octopus “cioè un polipo,” sotto un lenzuolo, che balla intorno al tuo mondo con le mie mani e i piedi, e so che tutto questo è vero”.

questo è il recitativo iniziale

recitativo iniziale

Ovviamente la magia di questo brano bisogna farsela arrivare addosso, perché quando comincia la parte melodica c’è questa bellissima immagine in cui lui dice “ I’m the balcony man, I’m Fred Astaire, you think you have a plan until i hit the stairs”, sono l’uomo del balcone sono Fred Astaire ,  pensi di avere un piano finché non scendo le scale

entrata pianoforte

 Ci sono altri punti poi che ti colpiscono profondamente, come  verso la fine quando ripete per molte volte la frase” this morning is amazing and so are you “, questa mattina è meravigliosa e anche tu lo sei.

E questo è sempre detto da un uomo che sta sul balcone e guarda quello che succede, perché non si può muovere perché ,come diceva in Albuquerque,” non si potrà andare da nessuna parte, cara ,quest’anno”.

Dopo questa frase ripetuta il brano finisce con due versi fulminanti che chiudono sia la canzone che il disco. “You are languid and lovely and lazy “, sei languida e amabile e pigra. Poi la musica rallenta e il testo lentamente dice.” And what doesn’t kill you” ….. e qua c’è una pausa carica di pathos “just makes you crazier”,  quello che non ti uccide ti fa diventare più pazzo.

E forse è   quello che tutti noi abbiamo pensato durante quel periodo della pandemia.

È un brano che va ascoltato molto attentamente, come tutti in questo album, lasciandosi  colpire da queste immagini, elaborandole, facendosi cullare da questi spunti melodici che fanno  di Nick  Cave   uno dei cantautori più importanti del panorama musicale mondiale.

 E’ anche uno degli artisti più attenti a quello che succede intorno a noi, e a quello che la musica sta vivendo in questo periodo.

A questo proposito volevo concludere con un’altra sua osservazione interessante e particolare, centrata sul rapporto tra la musica e quello che succede intorno a noi, nei mass media soprattutto.

Non so se la frattura che la tv ha creato nel linguaggio della comunicazione sia insanabile. La gente è derubata del linguaggio lirico dell’immaginazione. Ma se c’è anche una sola speranza di tornare alla cultura dell’intensità, bisogna provarci. Edgar Allan Poe, TS Eliot o Dickinson non importa chi, ma bisogna dare luce alla poesia, perché la poesia invoca la luce.”