“Nel suo modo di suonare c’era qualcosa che faceva nascere in petto un ineffabile lancinante dolore delle immagini e dei paesaggi mentali che soltanto la qualità del suo suono e il suo fraseggiare sapevano trasmettere”.
Questa è la considerazione fatta dallo scrittore giapponese Haruki Murakami per riassumere l’impatto e l’impressione che lui aveva avuto riguardo alla musica di Chet Baker.
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Se esiste un musicista la cui personalità e levatura artistica sono strettamente rappresentate dal suono e dal modo di fraseggiare questi è senza ombra di dubbio il trombettista e cantante Chet Baker, nato a Yale in Oklahoma nel 1929, e morto nella primavera del 1988 ad Amsterdam quando fu trovato, senza vita, una mattina, sul marciapiede davanti all’albergo dove risiedeva, probabilmente caduto dalla finestra della sua camera in circostanze mai del tutto chiarite.
Chet Baker
La sua fine tragica è stata l’epilogo, scontato, di una vita condotta quasi sempre su due binari. Da una parte quello che lo portava verso l’alto, determinato dalla sua musica e dalle sue qualità artistiche, che lo hanno fatto diventare uno dei musicisti più importanti nell’ambito del jazz del secolo scorso, e dall’altro quello che per quasi quarant’anni lo ha trascinato sempre più in basso, nell’inferno di una vita caratterizzata da un continuo rincorrere l’effimero benessere portato dall’eroina.
La sua era una famiglia molto legata alla musica. Il padre era un chitarrista professionista e la madre una pianista dilettante. Di conseguenza Chet Baker si avvicinò alla musica molto presto, anche se non fece mai studi accademici regolari, perché fin da piccolo cominciò a sfruttare una delle caratteristiche che lo avrebbero accompagnato per tutta la vita, un incredibile orecchio musicale che fece dire, all’inizio degli anni 50, ad un altro grande del jazz come il sassofonista e compositore Gerry Mulligan:
“ Non ho mai conosciuto nessuno con un rapporto così stretto tra le orecchie e le dita”.
Chet Baker e Gerry Mulligan
La sua carriera e la sua fama decollarono quando tra la fine degli anni 40 e i primi anni 50 arrivò a Los Angeles dove ebbe subito un ingaggio nel gruppo di uno dei mostri sacri del jazz, forse il più grande jazzista della prima metà del 900, il sassofonista Charlie Parker, da tutti chiamato “Bird” ,che lo prese con se per una serie di date nella West Coast.
A questo proposito si dice che Chet Baker si presentò all’audizione dove c’erano molti altri trombettisti. Lui era il quarto o il quinto, e quando fini la sua performance Charlie Parker mando a casa tutti gli altri sostenendo di aver trovato “il suo uomo”.
Chet Baker e “Bird”
Ma la vera fama gli arrivò quando entrò a far parte di un gruppo molto particolare il cui leader era appunto Gerry Mulligan. Gruppo particolare perché era un quartetto senza pianoforte o chitarra, quindi senza strumenti armonici, formato dal sax baritono Gerry Mulligan, la tromba di Chet Baker, la batteria di Chico Hamilton e il contrabbasso di Carson Smith.
La mancanza di uno strumento armonico di sostegno come il pianoforte o la chitarra, fece sì che questo gruppo sviluppò una sonorità particolare, determinata dall’intreccio di linee melodiche create dai due strumenti dei band leader, Mulligan e Becker appunto. Fu con questo gruppo che Chet Baker incise il suo primo successo che lo fece conoscere al grandissimo pubblico. Una versione memorabile della ballad “ My Funny Valentine” che rappresenta uno degli esempi più eclatanti del suo stile e della sua sonorità .
My funny Valentine è tratto dal musical scritto nel 1937 da una delle coppie di autori di canzoni e di spettacoli più importanti di tutti negli Stati Uniti, Richard Rodgers e Lorenz Hart, il cui titolo è “Babes in Arms”.
E’ uno spettacolo che conteneva, tanto per dire, brani divenuti poi degli standard della musica e della cultura americana come “My Funny Valentine” appunto, “Lady is a Tramp”, portata come è noto al successo da Frank Sinatra, oppure “Johnny One Note” e” Wish i Were in Love Again”.
Più di seicento artisti hanno registrato questo brano, ma molto pochi si sono così strettamente intrecciati con esso come Chet Baker, al punto tale che questa versione, registrata con il quartetto di Gerry Mulligan, è stata selezionata per essere conservata alla “Library of Congress” negli Stati Uniti.
My Funny Valentine
Qui sono presenti molte delle caratteristiche che rimarranno costanti nella vita di Chet Baker, al punto da diventare la sua “cifra stilistica”. Una di queste è il suo suono caldo, meraviglioso , enfatizzato anche da un’esecuzione di gruppo molto asciutta che lo impreziosisce ancora di più.
Questo brano, determinò un’enorme successo sia di critica che di pubblico per Chet Baker, al punto che una delle riviste più importanti nel mondo del jazz, come “ Down Beat” ,lo incoronò nel 1954 “ miglior trombettista del mondo” nonostante in giro ci fosse un certo Miles Davis, e lo definì anche “miglior cantante” , anche se uno dei più famosi in quel periodo era Nat King Cole.
Questo perché, parallelamente alla carriera diciamo così di trombettista, Chet Baker stava sviluppando anche quella di cantante. Fra le due attività c’era un legame forse più concettuale che tecnico, nel senso che Chet Baker suonava come cantava, e cantava come suonava. Le due cose erano strettamente legate, e sia il timbro della sua tromba che è quello della sua voce erano molto caldi, intimi e toccanti, erano un tutt’uno.
Chet Baker non era un grande tecnico dello strumento. Difficilmente lo si sentiva fare dei virtuosismi, ma non è questo l’importante. Era un’artista in grado di fare con la voce tutto quello che avrebbe potuto fare con lo strumento e viceversa. Questa è una prerogativa di molti grandi trombettisti, cioè strumentisti che pensano la musica quasi sempre i in orizzontale, seguendo le linee melodiche, come Louis Armstrong o Dizzy Gillespie o Clark Terry, che praticamente cantavano nel loro strumento.
Il suo successo era determinato anche dal suo aspetto fisico. Era infatti un ragazzo, un uomo, estremamente avvenente, e assomigliava a James Dean sia nella natura carismatica della sua persona ,che, purtroppo, in quella un po’ distruttiva, tipica dell’esistenza del grande attore così prematuramente scomparso.
Praticamente aveva tutto, fama, successo sia come trombettista che come cantante. Era ammirato e amato dalle donne al punto che ne conobbe molte, ma proprio in quel periodo cominciò la sua inesorabile discesa nel mondo della droga e dell’eroina in particolare.
Quello della droga, in quel periodo, era un problema enorme che affliggeva i musicisti, jazz molti dei quali cominciarono a drogarsi cercando così di emulare la bravura di quello che era il re del jazz in quel momento, il sassofonista Charlie Parker, che a causa dell’eroina morì giovanissimo a 35 anni, costituendo, suo malgrado, un esempio nefasto per tantissimi musicisti che credevano che la sua strabiliante tecnica e musicalità fossero dovute anche all’uso di eroina.
A differenza di molti altri, alcuni dei quali morirono giovani come Billie Holiday, o ne uscirono con molta fatica come Miles Davis, Chet Baker non si liberò mail da questo mostro e ne fu accompagnato per tutta la vita, fino alla sua morte appunto nel 1988.
Tutta la sua esistenza è stata caratterizzata da vicende travagliate. Un continuo peregrinare dapprima negli Stati Uniti e poi in Europa, in tournée per i concerti spesso tenuti anche in locali di basso livello, e il suo costante rincorrere l’eroina. Il tutto con la tendenza ad avere un rapporto estremamente burrascoso e spesso duro e cattivo con le donne che lo accompagnavano.
Il contrasto tra quella che è stata definita la sua “faccia d’angelo” e la parabola discendente nel mondo della tossicodipendenza fu una costante dei suoi giorni, e i suoi tentativi di disintossicarsi furono sempre di breve durata e anche molto velleitari. In realtà non cercò mai veramente di liberarsi del tutto dalla sua schiavitù.
Quando però suonava la sua anima e il suo mondo interiore venivano fuori in maniera dirompente e tutto il resto passava in secondo piano.
Nel libro “Come se avessi le ali” edito da Minimum Fax, scritto 10 anni dopo la sua morte, raccogliendo le sue memorie, la moglie Carol Jackson, una modella bellissima che ha speso tutta la vita seguendo Chet Baker, scrive :
“ Quanto ai miei ricordi personali su Chat mi ci vorrebbe un libro intero, per scalfire appena la superficie. Come la luce del sole ridisegnava i suoi zigomi pronunciati, la curva ampia e morbida del suo braccio quando reggeva la tromba, come suoi occhi si facevano intensi e distanti quando suonava. Rapide immagini di lui che tornano su all’improvviso, facendomi venire un nodo alla gola. C’è sempre in una persona molto di più di quello che il pubblico riesce a vedere, e mai come nel caso di Chet Baker si può fare questa affermazione, e posso dire di aver toccato questo con mano”.
Chet Baker fu essenzialmente un interprete.
Rare sono infatti le sue composizioni e quasi tutte provengono dal periodo nei primi anni 60 quando ci trovò spesso in Italia, dove ha sempre avuto un grandissimo successo un grandissimo seguito, e dove fu anche arrestato per possesso di stupefacenti.
Una di queste composizioni, molto particolare, si intitola “ Chetty’s lullaby”, la ninna nanna di Chet.
E’ un brano che fa intravedere quelle che avrebbero potuto essere le sue grandi capacità compositive. La registrazione prevede un sestetto più un’orchestra guidata da Ennio Morricone che ha scritto anche l’arrangiamento ed è particolare anche perché la lingua usata per il canto è l’italiano , lingua che Chet Becker aveva imparato anche a seguito del suo soggiorno nelle carceri di Lucca dove appunto era stato segregato per 16 mesi.
Chetty’s Lullaby
Nonostante la sua fama e le sue capacità raramente Chet Baker fu un band leader. Non aveva la voglia ne la capacità di prendersi degli impegni perché era del tutto inaffidabile a causa dei suoi problemi con la droga.
Preferiva farsi guidare sempre dal suo orecchio musicale che gli rendeva le cose facili, ma che non gli ha mai fatto approfondire tutti quegli aspetti della musica che il direttore di un gruppo deve conoscere, come l’armonia e la capacità di arrangiare i pezzi. Era molto più comodo, per lui, arrivare all’ultimo momento e suonare senza assumersi troppe responsabilità.
Non era un musicista adatto a portare avanti progetti. Era quello che si definirebbe, un cane sciolto, che si ispirava all’epopea del beat con il motto “Vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo”.
Nelle vicende tremende che hanno caratterizzato la sua vita c’è stato anche, negli anni 60, un fatto mai del tutto chiarito. Una rissa, pare, in cui degli spacciatori, probabilmente irritati per la sua insolvenza, lo picchiarono fracassandogli tutti i denti davanti e costringendolo a smettere di suonare, perché per un trombettista e per qualsiasi suonatore di strumenti a fiato, i denti sono fondamentali.
Chet Baker fu costretto così a smettere di suonare e si trovò a sbarcare il lunario lavorando in una pompa di benzina. Questo fino al giorno in cui un suo collega, Dizzy Gillespie, lo trovò e, turbato nel vederlo in quelle condizioni, lo aiutò dandogli i soldi per comprarsi una dentiera in modo da farlo ricominciare a suonare.
Lui si impegnò molto per riprendersi anche se, per i primi anni, fu costretto a cambiare l’impostazione che aveva. Ma riuscì a recuperare quasi del tutto il suo suono e le sue capacità, anche se da allora divenne sempre più intimo come qualità sonora, e più riflessivo, musicalmente parlando, come si può evincere dai brani registrati successivamente.
Tra le molte frasi significative da lui pronunciate in quegli anni ce ne sono un paio che rappresentano in pieno il suo modo di vedere e di pensare alla musica.
“ Ho sempre creduto che le cose davvero importanti siano avere e coraggio, fare dello swing e trovare le note più belle”
“Volevo fare le cose a orecchio. Se suona bene per me va bene anche per gli altri. Forse questa storia delle regole funziona per chi non ha orecchio ed energia creativa”.
Negli ultimi periodi fu spesso in Italia dove collaborò, tra gli altri col pianista Enrico Pieranunzi, che definirà il modo di suonare di Chet
“ Il miracolo del modo di cantare sia con lo strumento che con la voce, possedendo una musicalità stupefacente e unica. Io gli ho rubato qualcosa, perché il jazz è fatto di furti con destrezza”.
Un anno prima di morire Chet Baker registra, durante una tournée in Giappone, quello che probabilmente è il suo lascito testamentario da un punto di vista musicale e il suo epitaffio come artista, “Almost Blue”.
Anche in questo caso prende un brano di un musicista e compositore molto importante , in altro ambito che è quello della musica pop rock come Elvis Costello, e lo reinterpreta a modo suo rendendolo un capolavoro immortale.
Questa versione ci fotografa Chet Baker in uno dei suoi movimenti più vulnerabili e onesti. Dopo l’incidente ai denti il suo modo di suonare era più soffiato ma si era ulteriormente arricchito da un punto di vista umano ed emotivo.
All’inizio dell’esecuzione interpreta la melodia con la tromba, con un suono veramente toccante che arriva nel profondo dell’anima di chi lo ascolta e che mette a nudo sia l’ascoltatore che l’interprete lasciandoli senza parole.
La sua tromba è sostenuta da pochissime suoni, da pochissime note fatte dagli altri musicisti sui quali spicca, stranamente, il fraseggio eseguito dal batterista sul rullante con le spazzole, che qualche commentatore ha definito “quasi una pioggia che scroscia ininterrotta sui vetri”. Un’immagine secondo me molto efficace, che si sposa perfettamente con l’atmosfera nebbiosa e calda di questo pezzo.
Almost Blue tema tromba
Anche il testo del brano è molto toccante, frutto della sapiente penna di Elvis Costello:
“ Almost Blue
almost doing things we used to do
There’s a girl here and she’s almost you
and all the things that you promised
with your eyes I see in hers too”
“Quasi triste
sto facendo quasi le cose che facevamo prima
c’è una ragazza qui e lei è quasi te
quasi tutte le cose che hai promesso con i tuoi occhi
li vedo anche nei suoi”
Poi, a un certo punto, c’è un verso che suona quasi autobiografico:
“Almost blue
flirting with this disaster became me
it named me as the fool who only aimed to be
almost blu”.
“Quasi triste
flirtando con questo disastro che sono diventato
e che mi chiamo, come lo sciocco che mirava a essere solo
quasi triste”.
Uno degli indicatori della bellezza, della importanza e della caratura di questo brano, è dato anche da un fatto abbastanza curioso. Se si va a guardare su YouTube, si può notare come questa versione di Almost Blue ha avuto circa 43 milioni di visualizzazioni ad oggi, il che rappresenta una cifra impressionante per un brano di jazz , una testimonianza dell’universalità del “linguaggio dell’anima” che Chet Baker ha sempre avuto nella sua carriera e in questo brano in particolare.
Dopo questo toccante inizio suonato con la tromba c’è quasi un momento di, diciamo così relax emotivo, rappresentato dal “solo” del pianoforte, peraltro molto bello, ma che non raggiunge, ovviamente, l’intensità timbrica ed emotiva della prima parte.
Questo momento finisce attorno al quinto minuto, il brano dura circa 7 minuti e mezzo, quando Chet Baker esegue il tema del brano con la voce cantando, ovviamente, le parole.
Qui, veramente, da un punto di vista emotivo, lui ti stende definitivamente, perché in quella voce c’è tutta la storia di un uomo dotatissimo da un punto di vista musicale, con una carica emotiva pazzesca, con una vita alle spalle segnata dalle peggiori disavventure capitate o cercate. E’ la voce di una persona di 57 anni che ne dimostra però averne 80, per quanto sembra aver vissuto e per quanto è stato ferito dalla vita. Questa voce ti prende e ti porta nel profondo del tuo animo e della tua sensibilità ,ed è la voce della sua anima…..
Almost Blue tema voce
Dopo questa esecuzione la considerazione fatta all’inizio dallo scrittore Haruki Murakami, diventa palese…..
“Nel suo modo di suonare c’era qualcosa che faceva nascere in petto un’ ineffabile, lancinante ,dolore delle immagini e dei paesaggi mentali, che soltanto la qualità del suo suono e il suo fraseggiare sapevano trasmettere”.
Ottimo articolo, e Chet è un dolore che si rinnova ad ogni suo ascolto. Grazie.
Chet Baker è un musicista che supera la distinzione in generi e che arriva diritto, se uno lo sa accogliere. Grazie a te per aver apprezzato.
Molto apprezzato anche il tuo blog, che verrò a visitare spesso, tempo permettendo.
Mi fa molto piacere e ricambio volentieri.