Un dono d’amore ricevuto e, purtroppo, mai aperto.
Ventiquattresima puntata
Se qualcuno dovesse mai chiedermi qual’ è, per me, il suono della melodia del Novecento io risponderei, senza esitazione, che è quello del secondo movimento denominato “Adagio Religioso” che fa parte del terzo concerto per pianoforte e orchestra di Bela Bartok.
Questo brano da, intanto, l’occasione per chiarire il senso di molti dei titoli dei brani di musica classica che possono sembrare, giustamente, un po’ aridi e per addetti ai lavori.
Questo perché la maggior parte di noi, abituata ai titoli delle canzoni di musica leggera che sono, per lo più, descrittivi e danno un’idea più o meno precisa dell’argomento che verrà trattato tipo “Life Goes On “o “Questi posti Davanti al Mare” per indicarne due che sono stati oggetto delle Molliche n. 4 e 18, si può trovare in difficoltà, ad esempio, sentendo parlare di “Secondo Movimento del Terzo Concerto per Pianoforte e Orchestra”.
Questo è dovuto al fatto che i titoli dei brani di musica classica sono, per lo più, titoli tecnici, cioè indicano il tipo di composizione e, soprattutto, con quale formazione deve essere eseguita.
“Quinta Sinfonia in Do minore” di Beethoven, per fare un esempio penso a tutti noto, vuol dire che è la quinta composizione di tipo sinfonico, cioè che deve essere eseguita da un’orchestra, cioè un organico costituito da strumenti ad arco, fiati di tutte le famiglie e strumenti a percussione, strutturata in quattro movimenti, o parti, che utilizza principalmente, ma qui il discorso è un po’ più complesso le note relative alla scala di Do minore.
Nel nostro caso “Terzo Concerto per Pianoforte e Orchestra” vuol dire che è la terza composizione scritta in una forma, il concerto, che prevede uno strumento solista, in questo caso il pianoforte che dialoga con un’orchestra e che l’intero brano è strutturato in tre parti, la prima con andamento veloce, la seconda lento e la terza, generalmente, un po’ più veloce della prima.

Un altro aspetto importante di cui tenere conto è che non potendo essere la musica, per la sua natura, descrittiva quando non è presente un testo cantato, questi titoli lasciano all’ascoltatore la possibilità di crearsi, ascoltando il brano, le proprie suggestioni e, eventualmente, la propria storia senza essere influenzati o indirizzati, da indicazioni precise, come accade, invece, ad esempio, con i video clip delle canzoni di musica leggera che, mostrandoti la “storia ufficiale” del brano ti tolgono l’immaginazione e la possibilità di crearti una narrazione diversa.
Nello specifico della nostra Mollica, “Adagio religioso” è , un po’, l’insieme delle due cose perché il termine “Adagio” è tecnico e indica che il movimento va eseguito lentamente mentre “religioso” da un’indicazione sullo spirito con il quale questo brano deve essere eseguito e anche la modalità con la quale dovrebbe essere ascoltato.
L’autore di questo brano è, come detto all’inizio, il compositore ungherese Bela Bartok (1881-1945).

Oltre a essere un eccellente pianista e un compositore tra i più importanti del secolo scorso, è stato anche, soprattutto all’inizio della sua carriera, un valente etnomusicologo cioè uno studioso delle tradizioni musicali orali non solo della sua terra ma anche di quella delle nazioni confinanti. Bartok girava per i villaggi raccogliendo , scrivendo e catalogando tutti i canti popolari tradizionali che, ovviamente , avevano una forte valenza ritmica dovuta anche allo stretto rapporto tra il “fare musica” e la vita sociale, e questo aspetto si riverbererà successivamente anche in molta della sua produzione musicale nella quale il ritmo avrà spessissimo un ruolo di primo piano, cosa che permetterà alla sua musica, anche a quella più complessa e articolata, di essere accolta con favore dal pubblico.
Questa attenzione costante alla pulsazione ritmica ottiene risultati spesso pirotecnici come, ad esempio, in questo brano tratto dal “Quinto movimento” del quarto quartetto d’archi
Nonostante l’impatto sia molto forte, a volte brutale, con una sonorità così aspra, ilo “motore ritmico” che è chiaramente percepibile ce lo fa sentire più vicino e più fruibile.
La cosa più eclatante è che questo è un quartetto d’archi, una formazione composta da due violini, una viola e un violoncello, cioè strumenti che, in genere, sono caratterizzati da una sonorità molto calda e avvolgente che, in questo brano, vengono utilizzati invece in modo molto aggressivo.
Bartok amava ricavare dagli strumenti anche sonorità poco consuete come , ad esempio, nello stesso quartetto il quarto movimento è suonato tutto con la tecnica del pizzicato che non è una novità assoluta tranne per il fatto che, in alcuni punti , viene utilizzata una tecnica chiamata “pizzicato Bartok” che si ottiene sollevando la corda e facendola sbattere in modo violento sulla tastiera , ottenendo un suono percussivo molto forte, come in questo caso
Bartok amava anche sviluppare forme musicali classiche in modo particolare come ad esempio in questa composizione, scritta quando viveva ormai negli Stati Uniti, denominata “Concerto per Orchestra” dove non c’è uno strumento solista come avviene di solito nei concerti ma tutte le sezioni dell’orchestra sono chiamate, di volta in volta, a svolgere il ruolo di primo piano. Va da sé che questa composizione è molto impegnativa e richiede un grande virtuosismo orchestrale e un perfetto amalgama tra tutte le varie sezioni
Oltre a questa forte impronta ritmica e , possiamo dire, aggressiva, Bartok era molto attento anche alle sonorità e alla ricerca di effetti particolari come risulta evidente da questo estratto tratto dall’unica opera che ha scritto” Il Castello di Barbablù” la cui trama immagino tutti conosciate nella quale, per rappresentare la stanza il cui pavimento è ricoperto da lacrime utilizza una sonorità di questo tipo molto particolare e interessante

Il brano è stupendo come, del resto, tutta l’opera il cui unico problema è che essendo stata scritta in ungherese ha sempre avuto grossi problemi ad essere rappresentata nonostante ne sia stata fatta anche una versione in tedesco.
Nell’ultimo periodo della sua vita, trascorso negli U.S.A. Bartok versa in condizioni difficili sia da un punto di vista economico che di salute, essendo afflitto da una forte leucemia che lo porterà alla morte nel settembre del 1945. Nell’estate di quell’anno si dedica, cosa che non aveva mai fatto, alla composizione nello stesso periodo di due brani, il “Concerto per viola” che gli era stato commissionato e il terzo Concerto per pianoforte che, in pratica , rappresentava una sorta di auto commissione, nel senso che Bartok lo voleva comporre come regalo di compleanno per la moglie, Ditta Pasztory, pianista anch’essa, compleanno che cadeva alla fine di ottobre.
La cosa particolare è che lui decise di occuparsi principalmente della stesura del Concerto per Pianoforte trascurando sia quello per Viola, che risultò largamente incompiuto, sia tutta una serie di altri lavori su commissione che avrebbero potuto sollevarlo dalle ristrettezze economiche in cui versava.
E fece tutto questo come regalo, come lascito, che poi si rivelerà un addio per amore della moglie.
Questo regalo non fu mai “scartato” dalla moglie che, sopraffatta dal dolore per la morte del marito, non ebbe mai il coraggio di suonarlo e la prima esecuzione di questo concerto avvenne anni dopo ad opera di un altro pianista amico di famiglia.
Questo dono d’amore si apre con una sonorità molto lirica e tenue di una sezione d’archi che esegue, in pianissimo, questa melodia
Dopo questa introduzione così carica di pathos e, se vogliamo, di presagi, l’orchestra si ferma ed entra il pianoforte eseguendo una serie di accordi che vanno a formare una melodia di pochissime note che lascia l’ascoltatore con un senso di aspettativa. Questa frase musicale, così sospesa rappresenta, secondo me, l’essenza della melodia nel 900
Questa melodia è qualcosa di geniale ed è molto particolare nella sua estrema semplicità.
Ti prende e ti rovescia come un calzino e ti mette completamente a nudo.
C’è aspettativa, malinconia, c’è forse rimpianto, c’è speranza, forse, c’è amore, tanto, anche pensando che questo era un regalo.
Dopo questa melodia il brano prosegue con un intreccio sempre più fitto tra pianoforte e orchestra con il pianoforte che, un po’ alla volta, prende il sopravvento
E’ uno di quei casi in cui la bellezza non ha bisogno di spiegazioni.
Tra l’altro l’interprete principale è la pianista canadese Helene Grimaud e si sente che è una donna dal modo in cui suona e in cui tocca i tasti del pianoforte, così delicatamente in questo punto e più forte e sostenuto più aventi sempre con una sensibilità evidentemente femminile.

L’altro interprete, il direttore d’orchestra Pierre Boulez è stato anche un importantissimo compositore del 900 e qui è alla guida della London Symphony Orchestra.

Tre interpreti eccezionali per rendere questo brano ancora più bello e coinvolgente.
Dopo questa parte c’è un momento in cui pianoforte e orchestra sembrano scuotersi e uscire all’aperto per calarsi nella natura quasi ad imitare il canto degli uccelli e i rumori del bosco in modo estremamente efficace e mai didascalico
Dopo questa parte un po’ più idilliaca si ritorna all’atmosfera dell’inizio per poi avviarsi verso la fine di questo movimento con una sonorità più cupa e carica di presagi, forse, come a far risaltare il fatto che la vita ci offre una serie di situazioni molto articolate e diverse tra loro. E’ quasi il rovescio della medaglia rispetto a quanto sentito fino a questo momento, il che rende questo “regalo” molto reale e terreno e carico di un amore vero
E proprio alla fine c’è questo ritorno all’atmosfera dell’inizio quasi a chiudere il cerchio e a costituire il preludio per quello che sarà il pirotecnico movimento finale in cui il ritmo diventerà, ancora una volta, uno dei motori principali.
E’ un brano, se posso darvi un consiglio, che va ascoltato in, passatemi il gioco di parole, religioso raccoglimento. Su YouTube trovate sia la versione che ho utilizzato che a me piace particolarmente che però è statica, cioè ha solo l’immagine della copertina del CD, oppure un’altra versione dal vivo, sempre con Helene Grimaud ma con un altro direttore ed un’orchestra diversa.
In questa musica ci sono tante cose, delicatezza, presagio, c’è un’analisi del passato, c’è tensione verso il futuro, timore per quello che potrà essere e accettazione, alla fine, di tutto quello che la vita ci ha portato di buono e meno buono.
E il fatto che Bartok abbia dedicato questo brano alla moglie tenendo anche conto delle sue caratteristiche sia psicologiche che di tecnica pianistica ti fa capire, una volta di più, come al di la delle analisi tecniche che si possono fare quello che alla fine è il motore che sta alla base dei grandi capolavori della musica, e non solo, è quasi sempre l’amore.
Fantastico! Bartok più lo ascolti e più lo apprezzi! Questo concerto non smetterei mai di ascoltarlo… Amore e genio allo stato puro.
Bartok non delude mai perché il suo approccio al ritmo lo fa sentire sempre molto vicino e fruibile anche quando il brano è complesso. Il terzo concerto per pianoforte poi ha anche un pathos e una liricità che lo rendono unico.